Il 4 gennaio 2023 la Commissione EU ha dato il via libera al commercio degli insetti alimentari. Molti di noi avranno reagito con “cavallette? che schifo“, mentre il restante avrà saggiamente commentato con “tanto fritto è buono tutto“.
Diciamocelo: in fondo gli insetti non rompono il sacro rapporto fra cibo e Natura. E se anche la farina di grilli o il sugo di larve costituiscono, a detta di alcuni, una minaccia per la cultura alimentare italiana (quella Mediterranea, notoriamente a base di salame e vino bianco frizzante), non possono certo fare più schifo della carne sintetica.
I nostri palati sono delicati, esigenti, spesso ignoranti, ed in fondo è giusto così: non è compito loro chiedersi quanto impattante sia per le nostre vite e per l’ambiente circostante l’allevamento intensivo. Quanto pesi tutto il settore sulla CO2 emessa e sulla deforestazione in corso in numerose parti del globo. Quanto impatti sull’uomo l’utilizzo di farmaci ad ampio spettro sugli animali. Sono però domande che avrebbe dovuto porsi chiunque leggendo la proposta di Coldiretti Una firma contro il cibo sintetico su cui tanto si è discusso qualche settimana fa, un po’ meno ragionato, e che è giunta ormai in diversi comuni e recapitata a moltissimi agricoltori della pianura Padana, dove guarda caso l’agricoltura e l’allevamento rappresentano ancora una parte determinante del PIL locale.
Premessa che piccola certamente non è: la carne sintetica di cui si parla rappresenta un passaggio scientifico e culturale storico. Nell’evolversi della generazione umana la domanda e l’offerta di cibo è senza dubbio più volte mutata. Tuttavia il passaggio che la società sta compiendo è definibile epocale, e per questo meriterebbe un ragionamento non di pancia né di palato (un giorno qualcuno saprà scoprire il misterioso segreto del “populismo alimentare”). Coldiretti, lecitamente, fa il proprio interesse e l’interesse dei propri associati, ma afferma il falso: ed è a questo punto che ad essere illecito è il farsi fregare.
Nel testo in questione si cita l’azienda Beyond Meat, impresa tra le più importanti produttrici di carne alternativa. Tuttavia il suo business non si basa sulla carne prodotta da bioreattori (quella di matrice sintetica, per capirci), come affermato da Coldiretti, ma a base vegetale. Le carni di questo tipo ormai sono ben conosciute anche nel contesto italiano in quanto presenti da tempo sugli scaffali dei supermercati. Imitano il gusto e la consistenza della carne attraverso ceci, soia e barbabietole rosse (queste ultime, in particolare, danno ai burgers vegetali il tipico colore della carne).
A queste alternative gli allevatori hanno sempre risposto con dubbi e perplessità; tuttavia anche solo considerando i semplici benefici sulla salute umana, è innegabile che la carne vegetale non comporti aumento di malattie cardiocircolatorie, diabete e cancro. Un passaggio ad una dieta con una maggior predominanza vegetale comporta quindi benefici positivi sia per la propria salute che per quella del pianeta. Su questo, concorderete, non ci piove: c’è un mondo intero dietro la “carne alternativa” e semplificare, non distinguendo tra “carne di origine vegetale” e “carne sintetica”, è grave perché alimenta la spirale di disinformazione in cui il nostro paese è al centro.
La carne sintetica viene prodotta mediante la replicazione in bioreattori specifici di cellule animali estratte attraverso biopsia. Si è giunti a questo risultato dopo decenni di sviluppo: le cellule che servono per riprodurre la carne sono state studiate per più di 15 anni. All’inizio i risultati hanno portato a costi estremamente alti nel breve periodo: il primo hamburger, prodotto nel 2013, costò circa 330.000$. Tuttavia, nel 2016 siamo arrivati ad un costo di “soli” 1200$ per delle polpette. Sarebbe ovvio per affermare che, con l’avanzare degli investimenti e l’aumento della domanda, il costo può diminuire enormemente.
Per quanto riguarda il profilo salutistico e socio-politico, nella comunità scientifica permangono ancora dubbi e interrogativi, e non si conoscono ancora appieno le sfide burocratiche e legislative che ne determinerebbero gli impatti più grandi. Ma se anche la comunità scientifica non giungesse ad una visione unanime, porre una simile proposta, da parte di un ente di tutela come Coldiretti, non crea (banalmente, per non addentrarsi in inutili requisitorie morali) nuove prospettive economiche per il settore alimentare.
Dichiarare apertamente che “le bugie sul cibo in provetta confermano che c’è una precisa strategia delle multinazionali che con abili operazioni di marketing puntano a modificare stili alimentari naturali fondati sulla qualità e la tradizione”, è semplicemente sbagliato. Lecito è trattare, approfondire, tematizzare i dubbi che innegabilmente esistono nella comunità scientifica, sbagliato è pensare che un maligno burattinaio abbia lo scopo di mettere in secondo piano la salute dei cittadini. Se c’è un tema su cui si dovrebbe discutere è l’impatto ambientale che lo sviluppo di questa frontiera alimentare potrebbe avere: è un tema che necessita di moltissimo studio, ma che di certo darà risultati diversi rispetto a quelli citati da Coldiretti.
Sarebbe, con ogni probabilità, utile come urlare nel deserto evidenziare come una comunicazione populista rispetto alla novità e una mancanza di ascolto di coloro che da decenni si stanno occupando di queste questioni non sia il modo migliore per affrontare il futuro nostro e di chi verrà dopo di noi. Ma siccome io nel futuro ancora credo, perché è l’unica cosa che ci rimane: informiamoci, grazie.