Carlo Calenda e Matteo Renzi
Assianir, CC BY-SA 4.0, attraverso Wikimedia Commons; Francesco Pierantoni, CC BY 2.0, attraverso Wikimedia Commons

Calenda abbandona Letta, Renzi gode

7 Agosto 2022

C’è stupore per lo stupore. Dopo aver stretto un accordo molto vantaggioso con il PD, ieri Carlo Calenda ha rotto l’alleanza tanto coi dem quanto con Più Europa. Il motivo? Nel centrosinistra sono entrati la federazione Sinistra Italiana-Verdi di Fratoianni e Bonelli, Impegno Civico di Tabacci e Di Maio. Inoltre, si sono messi alla finestra anche gli ex grillini di Ambiente 2050.

Le aspettative disattese di Calenda

Il problema, a sentir Calenda, è che Letta avrebbe dovuto imporre loro i punti programmatici del patto siglato con lui martedì scorso. In pratica, il leader di Azione sperava che quelle forze politiche avrebbero rinunciato alla propria identità pur di stare in coalizione. Esattamente lo stesso motivo per cui lui, ora, se ne va. Forse immaginava che quelle condizioni, se poste come irrinunciabili, avrebbero fatto desistere partiti e cespugli culturalmente distanti.

Quattro errori di Calenda

Calenda, tuttavia, ha sottovalutato almeno quattro elementi che era difficile ignorare. Il primo è che la futura vittoria del centrodestra, o meglio della destra sovranista, non è contendibile al momento se non da un’alleanza che tenga dentro tutto e il suo contrario. Il secondo, invece, è un peccato di ego: non è l’unico a credere in quello che fa. Personalmente credo che i valori di Bonelli, Fratoianni & Co. non siano condivisibili, ma li rispetto e non vedo perché avrebbero dovuto rinnegarli per tutelare lui e le sue idee.

Il terzo punto è che Più Europa non è un partito liberaldemocratico, non lo è mai diventato a causa dell’allucinante e antidemocratica gestione dei congressi passati. Più Europa è il comitato elettorale di Emma Bonino, organica da decenni al centrosinistra come la maggior parte dei radicali, e Benedetto Della Vedova. Avevano movente e mezzi per entrare nella coalizione anti-fascista, è stato folle pensare che non avrebbero aderito aprioristicamente, una volta che i democratici avessero offerto loro anche l’opportunità. Tanto più che Bonino è in pessimi rapporti con Renzi, per via della mancata nomina a ministro degli Esteri prima e Alta rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza poi. Non ha certo fatto mistero di essere disposta a molti compromessi pur di evitare un terzo polo con Italia Viva.

Il PD è senza identità, il resto va di conseguenza

Il quarto elemento è, invece, relativo all’ambigua natura del Partito Democratico. Qualcuno lo vive come la riedizione della DC, qualcuno come la versione tricolore dei democratici americani, qualcuno come la continuazione del PCI, qualcuno ammira Macron mentre qualcuno ammira Mélenchon, qualcuno come un autobus elettorale, qualcuno tornerebbe in ginocchio da Conte e qualcuno vorrebbe cancellarlo dalla scena politica.

Il PD, insieme ai suoi alleati più o meno fedeli, è privo di un’identità e di valori condivisi. È strutturalmente impossibilitato a fare un exploit, se non breve e duramente ostacolato come accadde a Renzi. Ha bisogno di una corte di alleati variamente assortiti, perché non ha una proposta politica chiara che sottende una visione del mondo auspicabile per una fetta di elettori.

La stessa “agenda Draghi”, che Letta rivendica, non solo non unisce tutti i membri della coalizione, impone degli importanti distinguo tra le correnti. Basti pensare all’opposizione dell’ala sinistra del PD alle riforme della giustizia, degli ammortizzatori sociali, degli ITS o del reddito di cittadinanza. E sono solo alcuni esempi.

Ha uno zoccolo duro di elettori inestinguibile, ma la sua natura composita gli impedisce di scegliere il campo del riformismo o il massimalismo. Sono due percorsi politici ugualmente degni, ma profondamente diversi. La loro ambiguità blocca il quadro politico progressista tanto quanto Forza Italia blocca quello conservatore.

L’unico collante del centrosinistra è da tempo l’avversione alla destra, tanto è vero che le accuse di “voler far vincere il fascismo” verso Renzi e Calenda già fioccano copiose. Ma non si può pensare di vincere le elezioni solo sventolando un eccessivo pericolo totalitario, senza una proposta identitaria seria e partendo da una situazione di netto svantaggio. Anche per questo tipo di retorica mobilita anche molti elettori della parte avversa, che vedono i propri leader come vittime.

Perché Renzi gode (e fa bene)

Nell’area liberale spesso si è portati a preferire un approccio tecnocratico alla politica. Troppo spesso viene data importanza alle policy, ovvero le politiche pubbliche concrete, a scapito della politics, ovvero l’insieme dei meri rapporti di forza, su base ideologica, tra forze politiche e leader. Invece, questi due piani vanno ugualmente contemplati e curati.

Non è un caso, infatti, che Renzi avesse ben chiari tutti e quattro i punti. Per una settimana ha consolidato la propria base elettorale, aprendosi anche agli azionisti scontenti dell’accordo col PD, e ora può trattare con Calenda da una posizione di forza.

La questione delle firme

Anche perché non è chiaro se Azione dovrà raccogliere le firme per presentare la propria lista. Dalle parti del partito, anche per motivare l’affrancamento da Più Europa, spingono per la tesi secondo cui Azione sarebbe esentata in virtù dell’elezione al Parlamento Europeo di un suo membro. Tuttavia, non sembra essere emersa una risposta chiara e l’unico scenario che garantisce certezza è un’alleanza con Italia Viva.

La credibilità di Calenda

Ora Calenda si trova davanti a una situazione scomoda. Aveva appena chiuso l’accordo con il centrosinistra, mal sopportando l’insoddisfazione dei liberali e relegandola a purismo inconcludente, che è dovuto tornare sui suoi passi. Stavolta scontentando la componente più di centrosinistra del partito, che si era convinta, o forse lo era già, dell’imprescindibilità dell’accordo per sconfiggere le destre. Elettorato che ora è pronto, probabilmente, ad andare tra le braccia del non proprio dinamico duo Bonino-Della Vedova.

Il terzo polo si è indebolito…ma se non ora, quando?

Come abbiamo visto, a questo punto ad Azione conviene l’alleanza con Italia Viva, tanto per motivi di consenso, sarebbero sicuri di superare lo sbarramento, ma anche formale. È vero che in questa legislatura abbiamo visto quasi ogni follia immaginabile, ma credo che il vincolo di realtà giochi un ruolo pesante a questo punto.

Certo è che questo terzo polo, nei fatti quarto in realtà, nasce tardi e monco. Va rammentato che Lista Civica Nazionale di Falasca e Pizzarotti ha già annunciato l’abbandono del centrosinistra e la collaborazione con Italia Viva. A meno che Italia al Centro, il soggetto di Toti e Quagliariello, torni sui suoi passi, la componente di centrodestra sarà presente solo tra le file di un’Azione depotenziata dagli ultimi avvenimenti. L’appello dell’ex sindaco milanese Albertini e del deputato Della Frera, tuttavia, lasciano aperto qualche spiraglio.

Inoltre, il posizionamento di Più Europa è stata una trappola furba messa da Letta che dà così l’occasione a qualche liberaldemocratico di scivolare a sinistra. Calenda dovrà giustificare la rottura dell’unico rapporto duraturo che era riuscito a coltivare, alleandosi contemporaneamente con un partito molto criticato. La nascita del terzo polo è stata rimandata per anni, ora arrivano le elezioni e il caos regna sovrano. È arrivato il momento di provarci, superare i personalismi e gettare il cuore oltre l’ostacolo, ormai le altre strade sono chiuse.

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