L’epica di genere letterario incontra il fenomeno videoludico.
Quando nell’ormai lontano 2009 Rockstar Games ufficializzò il videogioco Red Dead Redemption, avventura open world western nell’America del 1911, non aveva idea di come questo titolo avrebbe influito prepotentemente nel mercato. Anzi, forse lo sapeva bene. Ma è certo che non lo sapevamo noi videogiocatori. Il co-fondatore di Rockstar, Dan Houser, afferma allora che Red Dead Redemption è stato un “incubo” da creare e che lo sviluppo del gioco, dal punto di vista tecnico, fu un “gran mal di testa”. Rockstar stessa ha dichiarato che Red Dead Redemption è “più ambizioso” di Grand Theft Auto IV e che sarebbe diventato il “gioco open world definitivo”.
Il successo meritato
Dunque è chiaro come la casa di produzione statunitense stia sfidando se stessa prima di tutto, tirando in causa il loro più grande successo commerciale. Red Dead Redemption nel 2010 esce definitivamente, e i videogiocatori di tutto il mondo e la critica specializzata urlano al capolavoro.
Storia, gameplay, grafica, comparto tecnico. Tutto è ai massimi livelli, divenendo un titolo senza eguali nel campo del videogioco. Rockstar dunque si afferma leader nel settore, unica nel suo genere con fatturati da far impallidire Hollywood. Forte dei successi conseguiti nel tempo, la casa della stella annuncia, circa 7 anni dopo, che sta lavorando al seguito del grande capolavoro che è stato Red Dead Redemption.
Salto in avanti (o indietro?)
Red Dead Redemption 2 uscirà il 26 ottobre 2019, e probabilmente è quella la data che segnerà l’anno zero nel calendario del videogioco tutto. Essendo un sequel, come il titolo Red Dead Redemption 2 asserisce, ti aspetteresti un proseguo nella linea narrativa della storia. Invece, con totale sorpresa, la storia viene ambientata circa 10 anni prima. Se nel primo capitolo hai seguito l’avventura di John Marston alle prese con una redenzione da antieroe che metterà l’amore e la vita davanti a tutto, in Red Dead Redemption 2 prendi le parti di Arthur Morgan. Egli, così come John Marston che ritroviamo ora più giovane, fa parte della banda del cinico Dutch Van der Linde.
“Credimi Arthur. Ho un piano”
Tipica espressione di Dutch
Fioccano SPOILER!:
Quello che combattiamo nel precedente capitolo come primo antagonista, capeggia qui un gruppo di sbandati fuorilegge che vive la giornata. Arthur Morgan, suo discepolo, segue il proprio leader convogliando pedissequamente i suoi ideali. Nel corso dell’avventura però, Arthur Morgan svilupperà un proprio senso etico che andrà a scontrarsi con quegli stessi ideali che Dutch tenta visceralmente di instaurare nel mondo. La banda di cui fai parte, con la quale crei dei legami molto forti ed empatici, piano piano va a sgretolarsi. Tutta la storia di questo incredibile titolo è l’allegoria di una macchina da corsa pronta ad esplodere.
La ripida discesa all’inferno di un gruppo di uomini che il mondo sta sputando via. Non appartengono più a quel tempo. Il cambiamento della civiltà si fa vivo e arrogante e con l’avvento del nuovo secolo fatto di industrie e locomotori, gente indomita come loro deve farsi da parte.
Da vivi, accettando l’idea di cambiare vita.
Oppure da morti, comprendendo che non si può fuggire da ciò che realmente siamo.
Una caduta libera, vorticosa, fino alla rovina etica e fisica di un mucchio selvaggio (i riferimenti al film di Sam Pekinpah si sprecano) che ha amato il sogno e detestato la realtà.
“The many miles we walk…the many things we learned”
la strofa di una canzone in un momento toccante del gioco.
Difficilmente in un videogioco si trova tanta passione. La storia, scritta egregiamente senza sbavature, porta il protagonista Arthur Morgan a vivere con ardente esaltazione gli eventi che caratterizzano quell’epoca. Sarai tu videogiocatore a scegliere se intraprendere il viaggio con umanità o freddezza, modalità narrativa che nelle tue mani cambierà inesorabilmente l’epilogo del gioco. Ma mentre ci si inoltra nella storia missione dopo missione, è impossibile non perdersi nel meraviglioso scenario che Rockstar egregiamente ha costruito. Vaste praterie, montagne innevate, nebbiose foreste ed aridi deserti.
I dettagli proposti in fase di esplorazione sono ai limiti della perfezione.
Chi vi scrive fa fortunatamente parte di quel pubblico che ama follemente il cinema western e Red Dead Redemption potrebbe essere inserito tranquillamente nelle migliori storie del genere. Emozione è la parola giusta da usare per descrivere la struttura che compone questo poema epico.
Vedo il fuoco nei tuoi occhi.
Arriverà un momento in cui Arthur Morgan, dopo una visita dal dottore, scopre di essere malato terminale di TBC (quanti giochi fanno cose del genere?).
Allora da un’altra nuova prospettiva, ci si troverà davanti alla crudeltà della vita, che non guarda mai in faccia nessuno e non fa distinzioni. Che mette equamente tutti nel piatto della bilancia. La stessa vita che lui, così come era stato idealmente cresciuto insieme alla sua banda, aveva preso con passionale sorte. Avanti! Alla ricerca delle nostre follie e delle nostre glorie! Così sembrava urlare lo spirito della banda. E Arthur con lei, infine tradito dallo spirito d’amore verso quello stile vita che Dutch sembrava voler sostenere, egoisticamente.
Nel mio caso, a compimento del viaggio ho scelto con commozione il finale “cattivo”.
Arthur arriverà in fondo alla storia con un triste epilogo drammaticamente reale in cui le sue colpe verranno espiate nell’unico fatale modo possibile. Non prima però di aver concesso a John Marston una via di fuga. Ho amato pilotare la storia e vedere come Arthur alla fine si trova impotente davanti a quelle convinzioni, ora avverse, con le quali ha costruito una vita intera. Quando, avviandosi alle fasi finali del gioco, devi premere un tasto che invita soltanto a cavalcare, ripercorri nella testa di Arthur le idee che hanno costruito ora l’imbuto mefistofelico che sta per inghiottirlo completamente (musica, regia e lacrime protagoniste assolute).
Sei spacciato Arthur Morgan. Hai sbagliato tutto, hai interpretato male ogni cosa..ma l’architettura della vita è più grande di te, e tu giocatore non puoi che chinare il capo in segno di rispetto verso la potenza travolgente degli eventi. La mia storia si è conclusa così. Il protagonista di tante scorribande morirà di notte e sotto la pioggia. Ucciso prima da Dutch nell’anima e definitivamente nel corpo da Micah Bell, lo squilibrato avvelenatore di menti antagonista del gioco, che non ci pensa un secondo a piantarci una pallottola nel cranio dopo una memorabile scazzottata di montagna.
Il racconto non finisce li, però. Una straordinaria sorpresa attende i videogiocatori che sbigottiti dalle emozioni dell’epilogo si incamminano verso una vendetta del tutto singolare, trovando dunque un collegamento con il primo Red Dead Redemption!
Ma questa è un’altra (triste) storia.
Fuorilegge per la vita.
Per concludere, questo gioco è veramente un capolavoro.
Ti cambia.
E cambierà ogni modo di approcciarsi al videogame. Sotto tutti gli aspetti.
Ha reso gigante l’ottava generazione arrivando a prendere il massimo dei voti in più di un’occasione; ha reso immersivo l’openworld come nessuno prima e ha dettato le basi per la futura maniera di narrare le storie in un videogioco.
Dite grazie, videogiocatori.
A Rockstar Games e a Red Dead Redemption 2.
E lunga vita ad Arthur Morgan e i suoi, per chi come me ha lottato e pianto insieme a loro.
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