Jastrow, Public domain, via Wikimedia Commons

EUTANASIA LEGALE: PERCHÉ IL QUESITO È INAMMISSIBILE

17 Febbraio 2022

Il 15 febbraio la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile il referendum abrogativo di iniziativa popolare sull’omicidio del consenziente. Si tratta di una materia eticamente e giuridicamente complessa, che ha sollevato forti consensi nell’opinione pubblica, ma è stata quasi completamente ignorata nel dibattito politico. 

Immediata è stata l’indignazione nei confronti della Corte, tacciata soprattutto di aver posto questioni valoriali davanti al diritto dei cittadini di esprimere la propria volontà tramite il voto. A ben vedere, però, si tratta di una questione giuridica e giuridica è stata la valutazione della Consulta. 

IL QUESITO REFERENDARIO 

La proposta in questione sarebbe andata a modificare l’art. 579 c.p., rubricato “omicidio del consenziente”, eliminando due proposizioni, nel seguente modo:

Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, è punito con la reclusione da sei a quindici anni.
Non si applicano le aggravanti indicate nell’articolo 61.
Si applicano le disposizioni relative all’omicidio [575-577] se il fatto è commesso:

  1. Contro una persona minore degli anni diciotto;
  2. Contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti;
  3. Contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno [613 2].

Lo scopo del referendum era quello di facoltizzare l’eutanasia, eppure l’esito cui si sarebbe pervenuti tramite la modifica proposta sarebbe stato molto più ampio. Si noti come la normativa risultante dalla abrogazione avrebbe previsto due ipotesi: una prima in cui sarebbe stato sostanzialmente depenalizzato l’omicidio commesso nei confronti del soggetto consenziente; e una seconda che sarebbe andata a limitare l’ambito applicativo della prima, stabilendo che, in ogni caso, sarebbe rimasto penalmente rilevante l’omicidio del consenziente nel caso in cui il soggetto fosse stato minore d’età o incapace di intendere o di volere.

Ciò che emerge immediatamente è l’assenza di specificazioni quanto alle modalità in cui il consenso dovrebbe essere prestato e conseguentemente provato in giudizio, nonché quanto alle condizioni in cui dovrebbe versare il soggetto che presta tale consenso.

LA DOTTRINA FAVOREVOLE 

Sulla questione sono emerse in dottrina posizioni contrastanti. 

In particolare, chi sostiene la legittimità del quesito referendario basa la propria argomentazione su un presunto collegamento fra l’art. 579 c.p. e l’art. 580 c.p., tale per cui i limiti posti con riferimento al secondo dovrebbero essere considerati implicitamente applicabili anche al primo (Silvestri; Pugiotto).

Nello specifico, l’art. 580 c.p. regola l’aiuto al suicidio ed è stato modificato dalla Corte Costituzionale, a causa della persistente inattività del legislatore, per permettere le pratiche di cd. suicidio assistito. Ad oggi non è punibile la condotta di colui che aiuta altri al suicidio in presenza dei seguenti requisiti:

  • Era capace di intendere e di volere
  • Era tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale
  • Era affetto da una patologia irreversibile 
  • Era sottoposta a sofferenza intollerabile.

Si tratta di limiti indispensabili, in assenza dei quali la facoltizzazione dell’aiuto al suicidio potrebbe contrastare con importanti garanzie costituzionali.

La stessa dottrina sostiene che, con riferimento al consenso, sarebbero applicabili le disposizioni di cui alla Legge 219 del 2017, relativa alle Disposizioni anticipate di trattamento (cd. Testamento biologico). Sicché per essere valido, il consenso dovrebbe essere informato ed espresso con specifiche formalità.

LA DOTTRINA CONTRARIA 

Il problema relativo a queste argomentazioni sta nel fatto che si tratta di interpretazioni assolutamente prive di fondamento normativo. Così come formulata la norma consentirebbe l’omicidio di qualsiasi consenziente maggiore di età e capace di intendere e di volere, senza alcuna specifica in riferimento al suo stato di salute. 

Come spiega Flick, se fosse stato ammesso e approvato il referendum, avremmo avuto una situazione in cui “chi uccide una persona cosciente di sé che glielo chiede, anche in buona salute, non rischia il carcere; mentre rischierebbe le sanzioni dell’articolo 580 sull’aiuto al suicidio un medico o un familiare o un amico che procura il farmaco letale a una persona che non si trova nelle condizioni indicate dalla Consulta”.

In sostanza, la norma così strutturata avrebbe prodotto nuove ambiguità, contraddizioni e difficoltà applicative. Soprattutto, non avrebbe giovato agli stessi soggetti che avrebbero dovuto beneficiare dall’applicazione della norma stessa: in assenza di indicazioni chiare, l’onere della prova sul consenso prestato sarebbe ricaduto interamente sul medico che aveva eseguito la procedura, ma senza alcun tipo di certezza normativa. 

IL VERO PROBLEMA È L’INADEMPIENZA DEL PARLAMENTO   

Ciò che emerge chiaramente è che si tratta di un problema di metodo: il referendum di iniziativa popolare può essere solo abrogativo, il che significa che può solo operare su norme già esistenti, eliminandole completamente o in parte. Una materia così complessa però necessita di una regolamentazione vera e propria (circa i modi di espressione del consenso, l’accertamento preventivo della validità, i soggetti legittimati ad attuarne l’esecuzione…), e non di una semplice liberalizzazione tout court

Per troppo tempo la Corte Costituzionale ha sopperito all’inefficienza del legislatore, ma in un sistema democratico sano l’ambito di discussione di queste istanze deve essere il Parlamento.

LASCIA UN COMMENTO

Your email address will not be published.

zampe del atto di zouma

DEL CASO DI ZOUMA E IL GATTO

Referendum cannabis: “un sogno, forse una favola”