Famoso, sostanzialmente, non è altro che una mera compilation di canzoni scialbe, plasticose e funzionali solo per essere spammate a raffica su Tik Tok. Ce lo si poteva aspettare? Assolutamente sì.
Quando Sfera Ebbasta ha pubblicato, ormai più di un mese fa, la tracklist di Famoso, mi si è disegnato un piccolo ghigno sul volto. Non ero stupito, perché dopo il colpo di scena “Quavo” in Rockstar ho imparato a non dare più nulla per scontato quando si ha a che fare con il rapper di Ciny. Piuttosto, ero soddisfatto, felice per un artista che nel giro di cinque anni è riuscito nell’impresa di passare dall’essere un perfetto sconosciuto a una star di caratura internazionale.
Al contempo, però, ero tutt’altro che incuriosito dal nuovo, imminente, lavoro. Famoso, dopotutto, è un progetto facilmente inquadrabile. È un’opera studiata per vendere. Per essere più precisi, vendere all’estero, perché il mercato italiano è già stato conquistato nel 2018. Il tema dell’importanza che Famoso riveste nel contesto musicale italiano, però, l’abbiamo già trattato qualche settimana fa.
A questo punto, è tempo di porsi una (prima) domanda piuttosto scontata: quanto vale davvero Famoso?
Vediamo di rispondere subito, per togliere le castagne dal fuoco: poco, molto poco. Famoso, sostanzialmente, non è altro che una mera compilation di canzoni scialbe, plasticose e funzionali solo per essere spammate a raffica su Tik Tok. Ce lo si poteva aspettare? Assolutamente sì. Ma facciamo un passo indietro.
Anni fa, finito l’ascolto di Rockstar, mi chiesi dove Sfera sarebbe potuto andare a parare col disco successivo. Dopotutto, la sua scalata sembrava essere giunta ai titoli di coda, e non solo metaforicamente parlando.
Dal punto di vista musicale, infatti, Sfera era riuscito a ideare, in un lasso di tempo relativamente breve, tre progetti dalle identità ben definite. Si è passati dalle sonorità grezze e street di XDVR al pop caramelloso e spensierato di Rockstar, passando per l’affascinante panorama melodico dell’omonimo disco d’esordio; il tutto senza che i capitoli di questa ideale trilogia si snaturassero, perdendo ciò che li rende, nel bene e nel male, unici: il marchio di Sfera.
Da Rockstar in poi, il rapper di Cinisello è diventato niente meno che un Re Mida dal tocco di platino. Tutti gli artisti bramosi di ottenere certificazioni sicure e immediate non dovevano fare altro che stringere un patto con il diavolo dai capelli rossi. E lui, d’altro canto, si limitava a reiterare la formula vincente per adempiere ai suoi compiti: una strofa molto orecchiabile, solitamente breve, condita da un testo quanto più essenziale. Minimo sforzo, massimo risultato.
Arriviamo, quindi, a Famoso. Tuttavia, prima di esaminare l’opera in sé ritengo sia necessario mettere a fuoco un elemento del documentario omonimo, uscito in esclusiva su Amazon Prime Video lo scorso 27 ottobre.
Per buona parte del lungometraggio (che dura quasi due ore, decisamente troppo), tra interviste e filmati di repertorio viene ripetuto esaustivamente come Sfera non si fosse mai visto come un rapper esclusivamente italiano.
Il suo vero obiettivo – certamente ambizioso – era diventare qualcuno anche fuori dai confini nostrani, magari facendosi portabandiera dell’intera nazione. Un discorso già proposto e riproposto in passato che qui viene esasperato, a voler ribadire ulteriormente le intenzioni dell’artista (e dell’etichetta): conquistare le classifiche mondiali.
Ho voluto evidenziare questo tratto perché è fondamentale che Famoso venga analizzato con la consapevolezza di questa premessa: si parla di un prodotto confezionato appositamente per il mercato estero. Detto questo, possiamo finalmente parlare del disco.
Famoso, rispetto ai suoi predecessori, presenta subito una grossa differenza: al suo interno sono presenti ben nove ospiti, sette dei quali stranieri. Il copione, dall’altra parte, è lo stesso di Rockstar: Sfera celebra ossessivamente il proprio status, sguazzando allegramente tra soldi e donne, senza dimenticarsi di punzecchiare gli immancabili “haters”. Il liricismo raggiunge qui un livello davvero infimo, ma non è un deficit così grosso come l’opinione generale vorrebbe far credere. Dopotutto, la scrittura dei testi non è mai stato il cavallo di battaglia di Sfera, che ha sempre celato questo suo handicap dietro a delle melodie squisitamente catchy e alle mirabolanti strumentali di Charlie Charles. Le quali, eccezion fatta per Bottiglie Privè, questa volta sono del tutto assenti.
L’assenza dello storico produttore è il tallone d’Achille dell’album: Charlie Charles era la bussola di Sfera, colui che indicava la retta via da percorrere (e mantenere). Era il direttore d’orchestra che coordinava alla perfezione ogni nota, accordo, strumento presente nel progetto di turno. Senza di lui, Famoso assume, in tutto e per tutto, la forma di un playlist qualsiasi, composta da brani stereotipati perlopiù appartenenti ai generi che vanno di moda al momento.
Ecco, quindi, che abbiamo la trap – quantomeno nella sua versione più accessibile – (Abracadabra), il reggaeton (Baby), il pop anni ’80 (Giovani Re), il banger dal sound epico (Tik Tok, titolo piuttosto eloquente), una specie di b-side di Rockstar (6 AM) e il freestyle vecchio stampo per far battere i cuoricini ai fan di vecchia data ($€ Freestyle). Quest’ultimo, assieme alle piacevoli Hollywood e Salam Alaikum, è una delle pochissime note liete del disco.
Altro, enorme, problema di Famoso è nientemeno che lo stesso Sfera, autore di prestazioni sbiadite e insipide. Nei duetti si limita a fare da contorno all’ospite di turno, mentre nei pezzi solisti appare particolarmente anonimo, specie se queste sue prove vengono messe a confronto con quelle regalateci in XDVR, Sfera Ebbasta e Rockstar. Da parte sua non ci sono spunti interessanti, lampi di genio, sorprese inaspettate o anche solo frasi ad effetto. Non c’è nulla che non abbia il sapore di una minestra riscaldata.
Ed è qui che viene da porsi un’altra domanda, ricollegandoci alla premessa fatta pocanzi: Famoso riuscirà effettivamente a vendere fuori dall’Italia? Beh, senza dubbio alcuno Baby riscuoterà un buon successo nei paesi sudamericani, considerando la gigantesca campagna promozionale del singolo e la presenza di un’istituzione come J Balvin, che spero non abbia bisogno di presentazioni. Ma il resto? A meno che le aspettative di Sfera e Universal siano più moderate di quanto vogliano far credere, probabilmente il disco avrà grandissimi riscontri solamente in patria.
Dopotutto, perché un americano dovrebbe ascoltare Famoso? Per due strofe di Future e Offset, che già imperversano nella scena USA? Direi di no. Magari perché è scritto da uno degli artisti più popolari d’Italia? Forse, ma per far conoscere Sfera Ebbasta a questo ipotetico yankee certo non consiglierei un disco di cartapesta in cui la personalità del suo autore scompare senza lasciare tracce.
Tirando le somme, Famoso è stato anche più deludente di quanto mi aspettassi, soprattutto perché lo scenario, a questo momento, appare davvero disastroso. Certo non per Sfera, le cui tasche si gonfieranno ancora di più, e non posso certo biasimare il suo contento: ciò che sta ottenendo è indiscutibilmente meritato, dopo quanto è riuscito a creare nell’ultimo lustro. E già che ricadiamo per l’ennesima volta sul discorso dei soldi, è curioso che il disco riveli, anche abbastanza chiaramente, il prezzo che Sfera ha dovuto pagare per raggiungere la tanto agognata fama internazionale. Un prezzo molto caro, perché Sfera ha dovuto di fatto rinunciare a ciò che più lo distingueva dagli altri: la propria identità. Uno “scambio equivalente“, come direbbero in Fullmetal Alchemist. La prospettiva di una copia di Famoso, sinceramente, non mi entusiasma. E la prossima volta sono abbastanza sicuro che non entusiasmerà nessuno.