Spesso nelle conversazioni o nei dibattiti sorge troppo presto l’accusa di rifarsi a una tradizione precostituita, cercando così di smontare l’argomentazione altrui. Ma si può essere davvero immuni alle tradizioni? Cosa dire del contesto? Si può legittimamente affermare che per discutere efficacemente bisogna proprio comprendere le tradizioni? Cos’è una tradizione?
Il circolo ermeneutico e la tradizione.
L’assunto fondamentale da cui partiamo è il seguente: ogni asserzione umana verte su un qualcosa. Tale qualcosa è ciò su cui gli esseri umani, in quanto parlanti, parlano e discutono. Discutere viene qui inteso con l’accezione del comprendere tale qualcosa, fornirne un’interpretazione e infine esporre un discorso dopo tale processo. Questo processo lo definiamo un processo ermeneutico. Il qualcosa a cui è stato applicato, e a cui si applica, il processo ermeneutico sono stati i messaggi divini nell’antica Grecia, le Sacre Scritture, le norme e le leggi di uno stato, arrivando all’arte e alla poesia e alla stessa esistenza umana. Pertanto possiamo dire che ogni atto di discorso o di produzione umana è interpretabile, discutibile, resta da capire i termini in cui sia possibile interpretare e discutere. Ogni qual volta parliamo di qualcosa ci scontriamo con il fatto che quel qualcosa è già arrivato prima di noi. Nelle discussioni arriviamo sempre in medias res. Che si tratti dell’interpretazione di una poesia o di un discorso socio-politico estremamente attuale, il qualcosa ci precede e ci precede anche il discorso sul qualcosa fatto da altri, quella che definiamo tradizione. Tale essere preceduti dal qualcosa e dalla tradizione lo chiamiamo circolo ermeneutico.
Il circolo ermeneutico.
Il circolo ermeneutico riguarda una circolarità per cui si comprende qualcosa solo perché oscuramente pre-compresa. Vale a dire che in quanto siamo preceduti dal qualcosa tale qualcosa è stato in qualche modo da noi scorto e ascoltato, anticipati dal discorso sul qualcosa o dalle nostre intenzioni verso qualcosa. Facciamo un esempio. Davanti a un’opera d’arte, seppure non completamente edotti e informati su di essa, ci sentiamo in grado di esprimere un giudizio in base a ciò che tradizionalmente ci è stato detto, seppur in modo abbozzato. Ma c’è di più. Immaginiamo di trovarci davanti un’opera d’arte, senza conoscerne il nome e l’autore e sapere che è stata prodotta nel XVI secolo, nonostante questa sia l’unica informazione in nostro possesso proveremmo comunque a esprimere un giudizio, in base a ciò che sappiamo del XVI secolo. L’opera d’arte è presente da prima di noi e così i discorsi su di essa e sul suo tempo storico. Siamo così in uno spazio interpretativo, il circolo ermeneutico, dove per il solo fatto di esserci siamo nelle condizioni di produrre un’interpretazione, giusta o sbagliata che sia. Ricordiamo che non siamo qui per dare giudizi di valore. Tuttavia per superare il vuoto chiacchiericcio interpretativo è bene proprio insistere nel circolo e nella tradizione, chiederci cosa siano.
Tradizione.
Per tradizione intendiamo un’autorità riconosciuta e costruitasi nel tempo in grado di essere razionalmente compresa.
Il riconoscimento dell’autorità è sempre connesso all’idea che ciò che l’autorità dice non ha il carattere dell’arbitrio irrazionale, ma può essere in linea di principio compreso.
Hans George Gadamer, Verità e Metodo, Milano, Bompiani, p.581.
Insistiamo un momento sulla comprensione. La comprensione è quell’atto sia teoretico che pratico per cui un soggetto pone attenzione a ciò che nel mondo lo circonda e che può arricchirlo nelle sue possibilità conoscitive ed esistenziali. La comprensione è dunque uno sguardo, una visione, attiva e aperta verso il mondo, dove per mondo si intende ogni discorso, opera, oggetto con cui si entra in rapporto. Dunque il ruolo della tradizione, in questa ottica, quella ermeneutica e del circolo ermeneutico, viene elevato ad autorità da comprendere razionalmente. Questo ci riguarda in maniera particolare per rispondere alla domanda: avocare la tradizione come strumento di critica contro le argomentazioni altrui si rivela un’arma a doppio taglio. Nel momento in cui parliamo, anche sul più innovativo dei discorsi, siamo pre-determinati, anticipati, dal discorso stesso che arriva un attimo prima di noi e dai discorsi fatti fino a quel momento. Non vi è dunque un’unica tradizione, ma delle tradizioni, ne accettiamo alcune, ne rigettiamo altre. Possiamo però fare ben altro che semplicemente accettare o rifiutare una tradizione e così una possibilità di discorso, possiamo comprenderla a fondo fino a capire come o quando metterla alla berlina. Per Gadamer, lo ribadiamo, la tradizione è quel pre- in base a cui pre-comprendiamo, prima di comprendere e di interpretare, ma c’è di più. L’interpretazione fornita da noi rientrerà nella tradizione stessa, trasformandola, cambiandola ma non distruggendola.
Contesti.
Tutto ciò vuol dire che ogni discorso è sempre contestuale e che ogni discorso sulla tradizione, come questo, è un discorso circa il contesto. Lo stesso contesto che pre-determina il soggetto; soggetto che si determina con la comprensione e l’accettazione o il rifiuto del contesto stesso. Il contesto dunque diventa parte integrante della questione interpretativa e dell’asserzione che segue l’interpretazione, talmente tanto fondamentale da poter rispondere, con la dovuta onestà intellettuale e le opportune chiarificazioni, che “appellarsi a una tradizione” non vuol dire nulla. Si è sempre appellati da una tradizione, discutere di questa, anche se con il sorriso del monello, oltre che con roboanti proclami è già insistere nel circolo ermeneutico. La domanda che ci poniamo è dunque: siamo sicuri, prima di iniziare a criticare, di sapere cosa si sta criticando? L’ingresso nel circolo ermeneutico è, forse, condizione fondamentale per arrivare a quella fusione di orizzonti che consente un discorso proficuo.