Jéshoots/Pexels
/

L’ITALIA CHIAMÒ L’EUROPA RISPOSE

L’emergenza pandemica avrebbe potuto rappresentare la fine dell’Unione europea, ma la capacità di reazione dell’asse franco-tedesco ha scongiurato, momentaneamente, questo pericolo, spuntando le armi ai sovranisti col Recovery Fund.

Le crisi interne all’Unione europea, così allo stesso modo quelle esterne, nel corso del processo dell’integrazione economica e monetaria hanno rappresentato il necessario impulso al successivo tassello da incastonarsi nel processo. Senza andare per le lunghe, perché gli esempi sono numerosi, in prima battuta si può far riferimento alla fine del sistema di Bretton Woods voluto dal presidente americano Nixon agli albori degli anni ’70, che, con la libera fluttuazione del dollaro che andò a determinare, creò non pochi problemi al funzionamento del mercato comune europeo che si reggeva sui cambi fissi fra le monete. I paesi europei ribatterono, dunque, con l’istituzione del Serpente Monetario Europeo, primo step del processo di unificazione monetaria che si concluse con l’entrata in vigore dell’euro il 1° gennaio del 2002. Nel 2010 la crisi economica causata dallo scoppio bolla dei mutui subprime nel 2006 si propaga nel Continente europeo facendo del sistema bancario la prima vittima poi mutata nella crisi dei debiti sovrani investendo i paesi con un alto debito pubblico quali la Grecia e l’Italia. Il Whatever it takes di Mario Draghi e la rimodulazione della governance economica europea sono stati gli strumenti adottati dalle istituzioni europee per evitare il crollo dell’Unione. Per ultima la crisi pandemica da Covid-19 ha reso necessario il blocco quasi totale di qualsiasi tipologia di interazione umana ed economica, le cui ripercussione economiche sono e saranno drammatiche per i paesi più colpiti, quali l’Italia, che, per l’anno 2020 registrerà una contrazione del PIL stimata fra il -10% e il -15%.

Il decreto rilancio, che rappresenta una manovra finanziaria al cubo, messo in campo dal governo italiano per contrastare gli effetti economici del lockdown si porterà dietro un aumento del debito pubblico di circa il 26% (dal 134,8% al 160%), secondo le stime ottimistiche degli economisti. Nel momento in cui ci si è resi conto della gravità della situazione economica, lo sguardo del governo italiano, bisognoso di aiuto come mai prima d’ora, si è rivolto all’Europa. La prima risposta è arrivata dalla nuova presidente della BCE Cristine Lagarde secondo la quale gli stati europei avrebbero dovuto far per conto proprio nella risoluzione dell’emergenza. La risposta della Lagarde ha fatto calare il gelo tra gli esponenti del governo e non solo lasciando presagire la fine dell’Europa unita sotto i colpi di piccone del sovranismo europeo puntando sull’incapacità dell’Unione europea di fare quadrato attorno ad un problema comune. Il punto di svolta è stato il cambio di marcia rispetto al passato di Angela Merkel, mostratisi sempre restia a scostarsi dalla strada del rigore economico. La Merkel, forse mossa dall’ambizione di essere ricordata come il leader che ha dato l’impulso all’unificazione politica dell’Unione – perché i bond comuni rappresentano proprio questo con i quali verrà finanziata la ripresa economica – ha dato il suo consenso ad una strategia condivisa trovando il favore della Francia di Macron.

Recovery Fund è il nome della risposta europea alla richiesta di aiuto dell’Italia. Un pacchetto da 750 miliardi, da reperire attraverso l’emissione di titoli di debito europei, distribuiti fra sussidi e prestiti a tassi prossimi allo zero di cui 209 miliardi spettanti all’Italia. Il negoziato sul Recovery Fund è stato duro e incerto fino all’ultimo momento, e ha visto da una parte la pretesa dei “paesi frugali” ex falchi, di diminuire la dotazione del piano e inserire la regola dell’unanimità sull’approvazione delle richieste di aiuto dei paesi e dall’altra l’intransigenza dei paesi fondatori dell’Unione di apportare le modifiche richieste dai primi. L’intesa raggiunta dopo quattro giorni di trattative ha spiazzato sia i sovranisti, bramosi di veder fallire il negoziato per ricamarci sopra una perfetta campagna elettorale contro il governo Conte e contro l’Europa unita e sia tutti gli italiani, fortunatamente non tanti, che si sono iscritti al “partito di Rutte” con la speranza che questa volta il famoso vincolo esterno (olandese) avrebbe imposto ai politici italiani spendaccioni un freno alla loro voglia matta di spesa pubblica improduttiva. Tuttavia, chi si illude che l’Italia abbia vinto la partita, ignora il fatto di essersi giocato soltanto il primo tempo. Il secondo dovrà per forza maggiore portare all’evoluzione della politica, la quale deve essere in grado di abbandonare i vecchi meccanismi di facile acquisizione del consenso, elargendo prebende a pioggia e a soprattutto a deficit, e mettere su un piano di riforme utile alla modernizzazione ed efficienza del Paese.

LASCIA UN COMMENTO

Your email address will not be published.

GADAMER E L’ERMENEUTICA PER UNA CRITICA DELLE CRITICHE

SoprUSA – LA CONTRADDIZIONE D’OLTREOCEANO