MIKI Yoshihito via Flickr

Gattaca: “mostrami i tuoi geni e ti dirò chi sei”

15 Novembre 2022

La prima volta che vidi Gattaca avevo quattordici anni. Mi era parso un buon film di fantascienza, imbellito dalla presenza di Uma Thurman, ma nulla di eccezionale: pensai che fosse del livello di tanti altri che avevo già visto, ed anzi un po’ meno avvincente. La seconda volta che lo guardai, qualche giorno fa, il film compiva venticinque anni, io ero già nei miei ventiquattro, ed avevo da un annetto iniziato ad interessarmi di quella che definirei filosofia della genetica. Dal mio sudato percorso accademico mi pare di aver capito che c’è una filosofia un po’ per tutto, perché su tutto si può tentare di costruire un ragionamento: si può, per dire, fare filosofia anche sulle serie TV. Così credo si possa parlare anche di una filosofia della genetica, posto che si filosofeggi dopo aver capito quel che si tenta di interrogare con domande intelligenti e stimolanti. Ma dicevo: avevo 24 anni, mi parve un film più che buono, confermai il giudizio su Uma Thurman, ma di fantascienza ne vidi un po’ meno rispetto a undici anni fa.

È il caso di fare un velocissimo riassunto del film, senza spoiler, perché su AlterThink spoileriamo semmai i film brutti così a perdere tempo siamo solo noi.

Già il titolo, Gattaca, suggerisce all’orecchio più attento come il film si sviluppi attorno ad un protagonista: il DNA. Il titolo, infatti, è “composto” dalle quattro basi azotate che formano il nostro DNA: adenina (A), timina (T), citosina (C) e guanina (G). Ci viene presentato un futuro in cui è possibile mettere al mondo i propri figli dotandoli di un preciso corredo genetico: si possono scegliere le loro future caratteristiche fisiche, quelle estetiche, si può intervenire in anticipo sulla loro condizione di salute. Si possono, in pratica, costruire i propri figli su misura.

Piccolo inciso: ho detto che quando rividi il film, pochi giorni fa, mi sembrò meno fantascientifico di come lo ricordavo. Questo perché parte dell’idea su cui si basa Gattaca, con molti “se” e altrettanti “ma” che non approfondirò per evitare un articolo che meriterebbe ben altra cura, si sta piano piano concretizzando: penso a storie come quella delle “CRISPR babies” di He Jiankui, che nel novembre del 2018 utilizzò CRISPR/Cas9 su due embrioni, Lulu e Nana, per modificare entrambe le copie di un gene chiamato CCR5 nel tentativo di rendere le due bambine immuni all’HIV; o alla lunga serie di articoli che da circa un ventennio fanno un gran minestrone delle nuove tecniche biomediche e biotecnologiche paventando il rischio di una generazione di “bambini-IKEA” o di un ritorno all’eugenetica. Non è mia intenzione, come anticipato, soffermarmi sul caso sopracitato, perlomeno non in questo articolo, ma per coloro che volessero capire che cosa è e come funziona CRISPR rimando ad un articolo di Marco Pregnolato, alla breve diretta che abbiamo fatto insieme un po’ di tempo fa, e a questo interessante TED Talk.

Torniamo a Gattaca. Sostanzialmente la sua società risulta divisa in due categorie: ci sono i “validi”, cioè gli uomini e le donne dal corredo genetico “progettato”, scelti per ricoprire i ruoli più prestigiosi della comunità, e i “non validi”, ovvero le persone non programmate, “naturali“, destinati allo svolgimento dei lavori più umili e relegati ai margini della società civile.

Per scelta volontaria dei suoi genitori Vincent Freeman, protagonista del film, viene concepito in modo naturale. Fin dalla nascita gli viene diagnosticata la stessa debolezza cardiaca del padre, a causa della quale, secondo i calcoli svolti a partire dalle analisi del suo sangue prelevato all’atto della nascita, sarebbe destinato a vivere per non più di 30 anni. Vincent è, va da sé, un “non valido”. Quando arriva una seconda gravidanza, i genitori di Vincent decidono che il nascituro, Anthony, sarebbe stato un “valido”.

Genetista: Lei ha specificato occhi nocciola, capelli scuri e pelle chiara. Mi sono preso la libertà di eliminare qualsiasi condizione potenzialmente pregiudizievole. Calvizie precoce, miopia, alcolismo e predisposizione alle dipendenze, propensione alla violenza, obesità.

Marie Freeman: Non volevamo… Malattie sì, ma…

Antonio Freeman: Ci stavamo solo chiedendo se non fosse meglio lasciare alcune cose al caso…

Genetista: Mi creda, abbiamo già abbastanza imperfezioni. Il vostro bambino non ha bisogno di fardelli. Tenga presente che questo bambino è pur sempre voi. Semplicemente il meglio di voi. Potreste concepire naturalmente migliaia di volte: non otterreste mai un risultato simile.

Il dialogo tra i genitori di Vincent e un genetista: una delle più celebri scene di Gattaca

Vincent, fin da piccolo, sogna di diventare un astronauta per “Gattaca”, l’ente aerospaziale responsabile delle missioni interplanetarie. Nonostante conosca alla perfezione tutto ciò che è necessario studiare per l’esame di ammissione, tuttavia il suo profilo genetico non è adatto ad una carriera nello spazio.

Vincent, tramite un fortunato incontro, riesce però a prendere in prestito l’identità genetica di Jerome, un ex atleta di nuoto geneticamente perfetto ma che, dopo un tragico incidente, è costretto su una sedia a rotelle. “There’s no gene for fate”: “non esiste un gene per il destino”, ripete Jerome in diverse scene del film.

Fine dell’asciugone. Vorrei ora condividere alcune riflessioni, senza pretesa di essere esaustivo o particolarmente brillante, che la ri-visione di Gattaca mi ha stimolato.

Il primo tema che il film solleva è, ovviamente, quello del determinismo genetico: la convinzione che tutte le caratteristiche umane siano interamente scritte e perciò determinate dal patrimonio genetico. Nel mondo di Vincent tanto l’assunzione dei dipendenti quanto la selezione di un possibile partner non si basano su colloqui o primi appuntamenti, ma su un “matching” dei profili genetici. “Mostrami i tuoi geni e ti dirò chi sei“, recita il motto della società di Gattaca.

Allo stesso tempo, il film sembra però rifiutare questa idea. Non solo, infatti, Vincent riesce ad usare l’identità di qualcun altro, ma è la sua stessa determinazione a permettergli di diventare, infine, chi vuole essere. Quel “diventa ciò che sei” che dall’essere un concetto filosoficamente molto profondo e complesso è diventata la bio preferita dei più disparati profili social dell’Internet. Sebbene il fratello, i genitori e i potenziali datori di lavoro si aspettino infatti che lui fallisca sulla base del suo profilo genetico, Vincent dimostra più volte di essere un vincente. Al contrario, Jerome, non si dimostrerà mai all’altezza delle aspettative promesse dal suo profilo genetico: quando alle Olimpiadi vince “solo” l’argento, il suo mondo crolla e, dopo un fallito tentativo di suicidio, si condanna a vivere su una sedia a rotelle.

La tensione tra il determinismo genetico da un lato, e l’influenza dei fattori ambientali, del caso o del destino-non-genetico dall’altro è un argomento estremamente importante e tutt’oggi ricorrente nelle ricerche e negli scritti sulla genetica. In tal senso una lettura certamente interessante, ma che consiglio di non prendere come unico Vangelo sul tema, è il recente saggio dello psicologo e genetista comportamentale americano Robert Plomin “Blueprint: how DNA makes us who we are” .

Descrive come “la rivoluzione di un DNA sempre più personale”, partita negli anni ’90 con il “Progetto Genoma Umano”, ci abbia dato il potere di prevedere i nostri punti di forza e di debolezza psicologica fin dalla nascita. Il progresso della ricerca genetica dimostrerebbe infatti come le similitudini e le differenze genetiche ereditate dai nostri genitori siano le cause principali della nostra individualità: l’impronta, la “Blueprint”, che ci rende ciò che siamo. Plomin si serve di una notevole mole di dati e osservazioni derivati dai suoi decennali studi longitudinali condotti principalmente su gemelli e bambini adottati, e dei cosiddetti genome-wide association study. Arriva a concludere che la genetica sappia dare maggiormente conto, e prevedere già alla nascita, delle differenze psicologiche tra gli individui rispetto a tutti gli altri fattori ambientali ed educativi messi insieme. La genetica è responsabile della salute mentale e dei risultati scolastici, così come dei nostri tratti psicologici: dalla personalità alle capacità intellettuali. “È la natura, non l’educazione, a renderci ciò che siamo” ripete allo sfinimento Plomin. Gli “stili genitoriali” non influiscono realmente sui risultati della crescita dei propri figli, “la possibilità di entrare ad Harvard non dipende da quante lezioni extrascolastiche pagherà un padre”.

Un altro esempio interessante di come la genetica stia acquisendo sempre più fascino ed importanza è “23andMe”, un’azienda fondata nel 2006 che vende test genetici. “Scopri cosa dice il tuo DNA su di te e sulla tua famiglia”, campeggia nella home del sito: “guarda come il tuo DNA si diffonde in tutto il mondo; scopri i tuoi parenti genetici; scopri come il tuo DNA influenza le caratteristiche del tuo viso, il tuo gusto, il tuo olfatto e altri tratti”. Anche su questi ed altri test genetici è periodo di saldi, qualora non sapeste cosa regalare a Natale.

È però opportuno mettere in chiaro alcune questioni. Come sottolineato perfettamente da AIRC (l’associazione italiana per la ricerca sul cancro) i test genetici possono sembrare “una sorta di palla di cristallo che promette di rivelare alle persone tutti i segreti nascosti nel loro DNA e di quantificare il loro rischio (ad esempio) di ammalarsi. Si tratta di strumenti frutto delle più avanzate ricerche sulle cause delle malattie (in primo luogo del cancro, delle malattie neurodegenerative e cardiovascolari) e come tali costituiscono l’ausilio diagnostico del futuro ma, a detta degli esperti, si sono diffusi in modo eccessivo e incontrollato. Ora arrivano anche in Italia aziende che promettono una sorta di patentino di eterna giovinezza grazie all’analisi dei geni. Anche Internet è diventata una facile via di accesso a controlli che dovrebbero invece essere affidati a strutture accreditate e sicure”. Rimando a questo loro breve vademecum per ricordare come questi strumenti importantissimi non solo dovrebbero essere “maneggiati” solamente dagli esperti, ma di come sollevino anche delicate questioni etiche.

Per tornare a Gattaca (dopo un lungo giro che spero risulti più stimolante che confuso, ma mi riprometto di approfondire ulteriormente le questioni lasciate in sospeso): il film ci presenta senza dubbio un’estremizzazione, sia dal punto di vista delle possibilità di screening genetico, sia, e soprattutto, dal punto di vista delle reali possibilità che l’odierna ingegneria genetica può offrire, di tutto ciò che negli ultimi anni stiamo effettivamente vedendo progredire.

Ma come anticipato la filosofia, la bioetica ed il biodiritto possono contribuire ad un progresso scientifico più consapevole solo se cercano di porsi le giuste domande prima che quest’ultimo ci colga fatalmente impreparati, portandosi dietro tutte le sue incredibili promesse ma anche i suoi rischi.

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