Il main gate della COP 27 a Sharm El-Sheikh

Una COP 27 dolceamara

28 Novembre 2022

Dopo diversi giorni di negoziazioni e trattative, alla fine anche la COP 27 è giunta al termine: nonostante alcuni risultati importanti, come un fondo per risarcire i paesi più colpiti dagli effetti dei cambiamenti climatici, altri temi rimangono ancora tabù, soprattutto per gli “elefanti nella stanzaUSA e Cina, mentre l’Italia di Giorgia Meloni si rassegna ad essere una comparsa.

Anche questa Conference of Parts è giunta al termine, e si è conclusa come tutte le altre: con sonori applausi nella sala conferenze e con molte critiche, tra gli esperti e non. La location di Sharm el-Sheikh, simbolo dell’Egitto globale, turistico e soprattutto collegato ai temi della biodiversità e della natura (la zona del Mar Rosso ospita tantissime specie animali, tra cui i coralli che, nonostante i fenomeni del cambiamento climatico, lì rimangono ancora estranei al fenomeno dello sbiancamento) è stata il teatro della kermesse: un palco su cui sono però piovute critiche al governo del Cairo per diverse ragioni, prima fra tutte la questione dei diritti umani a partire dal caso Zaky, passando per l’incarcerazione degli attivisti per l’ambiente e per i diritti LGBT+, e per il tema dell’inquinamento e dello sfruttamento delle fonti fossili, in quanto l’Egitto ancora è fortemente dipendente da gas e petrolio. Alla fine, nonostante tutto, l’evento si è svolto in sicurezza e senza particolari problemi.

GLI HIGHLIGHTS DEL SUMMIT

Senza dubbio il tema della guerra in Ucraina ha scombussolato gli obiettivi che i paesi europei si erano dati alla precedente COP 26 di Glasgow lo scorso anno. Nonostante ciò la partecipazione a COP 27 è stata ampia e trasversale: oltre alla neo premier Meloni (si trattava del suo primo evento internazionale) e ai capi di stato dei paesi europei, è da segnalare la presenza di Joe Biden, nonostante la coincidenza dell’evento con le midterm, e del neo eletto presidente brasiliano Lula, che ha voluto dare un messaggio di rottura rispetto al suo predecessore Bolsonaro. Grandi assenti sono stati Xi Jinping e Narendra Modi (a testimoniare l’interessamento pressoché nullo ai temi legati ai cambiamenti climatici di Cina e India, i due più grandi inquinatori insieme agli USA) e, per chiari motivi, Vladimir Putin.

Tra i discorsi più importanti, è da segnalare l’intervento di Gaston Browne, primo ministro di Antigua e Barbuda, che ha sottolineato l’importanza di agire per salvare i piccoli stati e il videomessaggio del presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy che ha esortato alla pace e al sostegno all’Ucraina.


I RISULTATI DELLA RISOLUZIONE

Le negoziazioni sono durate giorni, e in alcuni momenti filtrava sincero nervosismo da alcune parti, come quando la presidenza egiziana ha minacciato di far saltare la soglia di 1.5 gradi e i limiti di emissioni. Alla fine si è però trovata la quadra.

Ma cosa è contenuto nella risoluzione approvata lo scorso 20 novembre? Rimane l’obiettivo di restare sotto la soglia di aumento di temperatura di 1.5 gradi, tagliando il 43% delle emissioni nel 2030 rispetto al 2019, ma viene istituito, dopo anni di trattative e annunci, un meccanismo di risarcimento alle nazioni più povere che sono colpite dai fenomeni del cambiamento climatico: è una decisione storica, che fa storcere il naso ai paesi UE ma soprattutto a Cina e USA, ma che è sicuramente un importante traguardo nell’ottica di una maggiore giustizia climatica.

Inoltre, nella risoluzione vengono stabiliti importanti obiettivi nel campo della finanza verde, uno degli argomenti più importanti di questa COP. Nonostante alcuni buoni risultati, purtroppo mancano ancora degli obiettivi stringenti per i grandi inquinatori (Cina, USA e India in primis) e l’istituzione di un meccanismo globale di Cap and Trade che permetterebbe di limitare di molto le emissioni: ma si sa che nella diplomazia climatica si segue quasi sempre il proprio interesse e quasi mai quello del pianeta.


L’ITALIA SCOMPARE DAI RADAR

E in tutto questo, dov’è l’Italia? A differenza della Conference of Parts dello scorso anno in cui eravamo protagonisti attivi (Milano ha ospitato la Pre-COP dedicata ai giovani), a questo giro i rappresentanti del Belpaese sono passati in sordina. Certo, la premier Meloni è volata a Sharm el-Sheikh e ha tenuto un discorso (piuttosto vago a dire la verità, ma questo è un tratto comune a tutti gli speeches dei capi di stato e dei ministri, salvo alcuni casi già citati precedentemente), ma di sicuro non si è distinta per particolare protagonismo.

Anzi, a dire il vero, il ministro interessato dall’argomento, ovvero il forzista Pichetto Fratin (resosi subito protagonista di una gaffe con il suo collega Paolo Zangrillo), è andato via da COP 27 addirittura prima della chiusura dell’evento, lamentandosi poi degli esiti. Inoltre, sembra proprio che il ministero dell’Ambiente sia considerato come un dicastero da “manuale Cencelli” per la Meloni, che lo ha relegato agli alleati di Forza Italia nonostante la premier si sia intestata spesso il tema della protezione dell’ambiente (“non c’è ecologista più convinto di un conservatore” – diceva lo scorso 25 ottobre alla Camera). Aspetteremo Pichetto Fratin e il governo Meloni alla prova dei fatti, ma l’inizio non è dei migliori.

Dicevamo: anche questa COP è finita con scroscianti applausi ed una diffusa insoddisfazione di diversi attivisti ed esperti. Prossimo anno la destinazione è Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, un paese che è grande esportatore di petrolio e che sembra avere pochissimo interesse ad essere ambizioso sul clima: è chiaramente troppo presto per capire come andrà, ma è probabile che si cercherà, come ad ogni summit sul clima degli ultimi anni, di cambiare tutto per non cambiare niente.

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