Ted Goldring / Flickr

Gli uomini vengono da Marte, le donne da Venere

15 Novembre 2021

Tre settimane fa Alessandro Barbero ha espresso, in modo svelto e non approfondito, un suo dubbio in merito alla differenza tra uomini e donne in campo lavorativo: «È possibile che in media, le donne manchino di quella aggressività, spavalderia e sicurezza di sé che aiutano ad affermarsi? Credo sia interessante rispondere a questa domanda. Non ci si deve scandalizzare per questa ipotesi».

Barbero ha ovviamente lanciato una provocazione senza spiegare per filo e per segno ciò che intendeva, ma credo non gli interessasse e che fosse consapevole di ciò che stava dicendo. Il senso delle sue parole è condiviso nel profondo da buona parte degli italiani: semplicemente lui l’ha espresso senza orpelli. Barbero stesso infatti fa riferimento alla tendenza popolare a dire che le donne farebbero molte cose meglio degli uomini. Frase inflazionata e dalla radice ovviamente sessista. A mio avviso sarebbe traducibile in: “Siccome le donne mancano di quella aggressività propria degli uomini e sono, invece, empatiche e timorose, prenderebbero decisioni migliori”. 

Il bisogno umano dei ruoli sociali

Barbero sostiene che le donne nel lavoro abbiano in media meno successo degli uomini e che gli esempi contrari che abbiamo siano casi eccezionali. Questa descrizione non è fantascientifica. É reale. Nonostante il progresso donne e uomini sono ben lontani da una sostanziale uguaglianza sul piano carriera. Barbero quindi si chiede se le donne non manchino di quella spavalderia, aggressività e sicurezza necessarie per affermarsi in campo lavorativo. 

Di norma non si può analizzare l’individuo, o una categoria specifica, senza contesto perché l’identità di questo soggetto, o di questi soggetti, è data in parte da quali ruoli assume nel gruppo sociale e quali reazioni instaura con esso. Quindi se c’è qualcosa che non va nelle donne nel mondo del lavoro, sarà necessario comprendere se parte del problema si trova anche nelle dinamiche di stereotipi e consuetudini radicate nella società (quanto ci piace questa parola super abusata).

Uomini e donne 

Soffermiamoci sull’Occidente democratico: la storia da tenere in considerazione principalmente è quella dell’Europa centrale e dei Paesi che poi hanno conquistato le zone che oggi sono gli Stati Uniti d’America e il Canada. In queste regioni, le norme sociali, il senso di giustizia e i valori erano cristiani, con qualche presenza di Ebraismo e , più tardi, Islam. Tutte e tre credono alla stessa origine della razza umana: Adamo ed Eva secondo il cristianesimo e, secondo islam ed ebraismo, prima Adamo e Lilith, disobbediente e pretenziosa, poi Adamo ed Eva, quest’ultima costola, compagna e madre, punita, per il peccato originale da lei per prima commesso, con le mestruazioni e la gravidanza.

Queste sono alcune delle basi su cui l’idea che abbiamo di uomo e donna si è poggiata per almeno due millenni. Eva: l’ultima creatura, generata da una costola. Adamo: polvere (o terra) con il soffio di vita di Dio, condannato a lavorare e faticare per tutta la vita.

Dando un’occhiata al Nuovo Testamento notiamo che le donne non agiscono, non prendono decisioni e non muoiono. La morte stessa non è un’azione associata alle donne. Maria viene assunta in cielo, delle altre donne si smette semplicemente di raccontare. Se raramente si parla di donne che muoiono, più spesso si legge di donne piangere per la morte.

Madri e compagne che accudiscono.

Quando un’idea o una credenza (in questo caso la rappresentazione della donna e le sue differenze rispetto all’uomo) è così radicata in una società come lo è stato per la nostra, cento anni di rivoluzione non bastano.

I due ruoli

Non c’è qualcosa di giusto o di sbagliato nella necessità di formare delle categorie. É naturale che nei secoli per darci spiegazioni sulle differenze tra uomo e donna abbiamo usato delle ipotesi non verificate scientificamente, diventate poi fondamento della società. Le regole sociali derivano dalla necessità di semplificare la convivenza con i propri simili e la creazione di ruoli è la strada più efficace a questo fine.

Gli studi di psicologia sociale dimostrano che nella formazione di un gruppo è cruciale che i soggetti giochino un ruolo perché si possa effettivamente parlare di gruppo sociale. 

Il ruolo di genere è tra questi. (Non sto dicendo che sia giusto, può essere anche sdoganato, la società può anche mutare).

Il cerchio della vita

Ora pensiamo ai primi anni di vita di ogni singolo individuo: la differenza tra uomo o donna non passerà in secondo piano. Se non è la famiglia è la scuola, o il contesto in cui l’individuo, crescendo, esprimerà la propria personalità e farà i conti con questa differenza. I bagni sono divisi, le squadre sportive sono, in media, maschili o femminili, sono spesso le mamme ad andare a scuola a prendere i bambini, le maestre sono quasi sempre femmine, e se siamo in una famiglia non laica o vedremo che il prete celebra la messa e la suora che lo aiuta, che l’imam è un uomo e che le donne in moschea vanno solo a pregare, o che il cohen nella sinagoga è sempre un uomo. Gli esempi che riceviamo creano le categorie e le riempiono di caratteristiche. Nasce così lo stereotipo.

La nostra personalità è segnata, in piccola o in gran parte a seconda della persona, da questa sostanziale differenza. La sua eliminazione è al momento impossibile. La sua esistenza è, poi, il presupposto per la classificazione delle persone non binarie o delle persone che affermano di avere un’espressione di genere diversa dalla propria identità di genere. Vestirsi, truccarsi e comportarsi con dei modi più conformi a un genere piuttosto che a un altro, a prescindere dal sesso biologico, è allo stesso tempo una rivoluzione ma anche un rafforzamento dell’idea che tra le due esista una sostanziale differenza.

Queste idee si trovano tra i mattoni più alla base di questa società.

Che lavori fa una donna? 

Quando alle elementari studiai la preistoria, sentii la prima distinzione, a livello storico, dei due ruoli: “L’uomo andava a caccia e a raccogliere la legna, la donna raccoglieva i frutti della terra”; la donna era fisicamente più debole dell’uomo. Ribadiamo che l’ambiente che ci circonda durante la crescita alimenta e deforma le categorie e gli stereotipi. Il mondo del lavoro, fino ad oggi, ai bambini è stato presentato con delle professioni più indicate per i maschietti e altre per le femminucce. Basti pensare alla questione dottore-infermiera.

Il ruolo di infermiere/a, cioè di una figura che si prende cura dei pazienti, si associa di più a una donna, mentre quello di dottore/essa a un uomo in quanto figura competente ma distaccata. Infatti dottoressa è tra quei sostantivi femminili che finiscono in “-essa” tanto reputati come sessisti, in quanto usati inizialmente in modo dispregiativo, una parodia di ciò che faceva l’uomo. Quando si aggiunge quel suffisso è come se si distinguesse la professione con la creazione di una nuova parola.

Questa distinzione si può trovare davvero facilmente, come possiamo vedere, nell’educazione, nella letteratura, nel linguaggio.

Barbero non ha torto

Verso la fine dell’intervista Barbero arriva al compromesso, ipotizzando che sia questione di tempo ed educazione delle nuove generazioni e questa divergenza si attenuerà. Conoscendo il personaggio, non è difficile immaginare che avesse in mente questa argomentazione dall’inizio del discorso e che ci volesse arrivare dopo aver scosso (e leggermente offeso) chi legge e ascolta.

Credo, dunque, che la prima parte del suo commento sia una provocazione legittima, da non prendere alla lettera, e che comunque, trattandosi di una questione ricchissima di spazi grigi e poco definiti, serva anche a trovare i limiti del dibattito e a capire perché ci siano.

Quella della mancanza di intraprendenza rimane una tesi poco articolata e lievemente estrema e non poteva ottenere altro che risposte estreme.

A un’azione è sempre opposta un’uguale reazione

Nel dibattito del politicamente corretto non vengono usate frasi di poco peso, e se vengono usate passano in secondo piano. L’attenzione in merito ruota intorno alla polemica e sale nel momento delle accuse. Io punto il dito contro Barbero, Barbero contro le donne. La tematica è talmente ampia e legata alla sfera personale dell’individuo che consente a chiunque di esprimere il proprio punto di vista in modo legittimo. E in questa cerchia viene incluso Barbero. Non perché abbia ragione, ma perché se abbiamo il diritto di pubblicare un libro intitolato “Odio gli uomini” (ovvia provocazione), la stessa cosa deve essere concessa dall’altra parte, altrimenti la lotta per la parità si trasforma in una vendetta verso chiunque abbia puntato il dito.

Quindi cosa si può dire sulla faccenda? Nulla che non sia già stato detto da utenti Twitter con un personaggio di un cartone animato come immagine del profilo. Ma possiamo ricordarci che sfruttare qualsiasi dettaglio di una tematica solo per avere ragione non risolve nessun problema. Mi trovo d’accordo con la fine del discorso di Barbero: ci vorrà tempo. Nonostante trovi giusto iniziare oggi a mettere in discussione queste differenze, non mi aspetto cambiamenti sostanziali nell’immediato, e anche se ci fossero avrebbero lati negativi che porterebbero ad una nuova messa in discussione del sistema.

LASCIA UN COMMENTO

Your email address will not be published.

Éric Zemmour, se un polemista reazionario sogna l’Eliseo

le proposte di Calenda per i giovani

CALENDA: “5,5 MILIARDI PER TAGLIARE LE TASSE AI GIOVANI, DA ALTRI PARTITI SOLO RETORICA”