GUARIRE GLI SPETTRI CON LA PROPRIA AUTOANALISI

16 Agosto 2023

Questa recensione parte perdente, e chi la scrive, già dal principio, si arrende.

Falso ricordo potrebbe essere degnamente recensito solo da una persona, che non c’è più: Cesare Musatti.

Il padre della psicanalisi italiana – resuscitato magari in uno degli sbalzi temporali di Eugenio Annicchiarico – sarebbe in grado di curare la nevrosi letteraria dell’Autore secondo la sua celebre ricetta: con la propria autoanalisi.

E senza dubbio alcuno, l’Autore medesimo a quelle sedute vorrebbe partecipare, con gli occhi brillanti di stupore coi quali è solito scrutare il mondo incantato e inafferrabile dell’animo umano.

Non cadremo nella trappola di Annicchiarico, in quel marchingegno diabolico che ha inventato e realizzato per nascondersi e nascondere, e infine perderci con lui; siamo già vittime del suo canto da sirena, quella scrittura cesellata e netta che lui usa per intagliare l’involucro gassoso delle nuvole dei sentimenti; siamo già sedotti dalle sue figure gigantesche di donne strazianti, personaggi d’una grandezza degna della più classica delle tragedie, o del dramma wagneriano; già solidali e commossi con e per quegli uomini così incerti e dolenti, interessanti e anche squallidi, ultimi discendenti di Zeno Cosini  di Svevo o di Urlich di Musil o Wiston Smith di Orwell.

L’intreccio, composto con continui colpi di scena, discese ardite, ancor più ardue risalite, lo lasciamo trascorrere a ciascuna lettrice, a ogni lettore; qua interessa celebrare il coraggio di uno scrittore che osa sfidare i fantasmi e, ognuno per mano, li riaccompagna al proprio eterno riposo.

Annicchiarico è un lupo travestito da agnello; tanto è apparentemente sovrastato e confuso dalle erinni di un passato che sormonta il presente e s’infrange con strepito tremendo sul futuro, così viceversa guadagna terreno su ciascun tema irrisolto, su ogni dettaglio problematico della vita, riconquista ogni centimetro, ogni millimetro di speranza per le anime che la sorte gli ha affidato affinché le riscatti e le restituisca alla pace.

Il tema non è la relazione genitori-figli-nipoti; non è la controversa e dolorosa dialettica tra le generazioni; non è il rapporto con la modernità e le sue sempre nuove alienazioni. 

La missione di Annicchiarico, scrittore-paladino per la prima volta solitario, esule dal sicuro regno, di cui era signore in condominio col resto di Elias Mandreu, del noire o thriller o giallo o cos’è quella loro avvincente e gustosa letteratura, è quella di pacificatore supremo dei suoi spettri, elevati a grandi categorie dell’irrisolto umano, del dolore, del morbo, dell’infelicità, dell’abbandono, in una sola parola del Male, di vivere e di morire, d’esser incompresi e d’esser dimenticati.

È uno scrittore uscito dai saldi territori della fantasia per entrare in quelli paurosi e sfuggenti della realtà, e per riportare, lo ripetiamo, pace, ma anche giustizia e speranza.

Uno speciale tributo a Eugenio Annicchiarico, scrittore-guaritore, narratore-mago, paladino immaginario della memoria.

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