Disney queer coding
Base di Sharon McCutcheon/Pexels

IL FASCINO QUEER DEI CATTIVI DISNEY

24 Giugno 2021

Nella vita di ogni gay c’è la fase in cui si pensa di essere gli unici al mondo, quella in cui si scopre di non essere soli e quella in cui si vedono gay ovunque. La sensazione che ho provato quando ho scoperto cosa fosse il queer coding dei cattivi Disney è stata un po’ quella. Dopo l’incredulità iniziale, ho rivisto un po’ dei miei lungometraggi preferiti ed effettivamente ho trovato riscontro di ciò che avevo letto. In fondo se tanti trovano affascinanti i villains, qualche motivo ci dev’essere.

Cos’è il queer coding

Il queer coding non è altro che una tecnica narrativa che consiste nell’attribuire alcune caratteristiche fisiche e comportamentali tipicamente queer a un personaggio di finzione. Lo scopo è indurre il pubblico a vederlo come omosessuale o, appunto, più genericamente, queer. Per coloro che non sono pratici dell’astrusa terminologia LGBT+, per queer si intendono tutti i non eterosessuali e cis-gender. I cattivi in questione non sono apertamente o dichiaratamente queer, gli autori si sono limitati a caratterizzarli in modo stereotipato. Si potrebbe dire, quindi, che la malizia sta negli occhi di chi guarda. Ma non è proprio così.

I topos ricorrenti fanno un po’ sorridere pensando agli enormi passi avanti fatti in termini di emancipazione dalla comunità arcobaleno. Tuttavia, come sempre in questi casi, c’è quel fondo di verità che è sufficiente a frocizzare, permettetemi la licenza poetica, i cattivi più amati della storia. Le movenze di questi personaggi sono sempre teatrali, femminee per quelli maschili e rudi per quelli femminili, i vestiti sgargianti o comunque appariscenti, il make-up pesante. Sono tutti tanto vanitosi, quanto passivo-aggressivi. Sono spesso ironici e hanno un tono di voce fortemente stereotipato. Nessuno di loro ha un partner, tanto meno dei figli. É importante anche sottolineare che la malvagità di questi cattivi è completamente scollegata dalla loro queerness, che è semplicemente una caratteristica accessoria e mai approfondita.

Qualche antefatto e un po’ di storia

La maggior parte dei lettori potrebbe pensare che sto esagerando, che si tratta della dittatura gender che vuole trasformare ciò che non è in ciò che è. Metto le mani avanti e dico, innanzitutto, che questi tratti sono marcati con diversa intensità e che nemmeno tutti i cattivi ne sono oggetto. Inoltre, serve considerare che, quando sono stati prodotti i film, non era immaginabile nè proporre dei personaggi queer sotto una luce positiva, nè ostracizzare esplicitamente l’omosessualità.

L’origine del queer coding affonda le sue radici nel codice Hays, redatto negli anni trenta, che bollava come immorale la presenza di personaggi omosessuali. Nei decenni successivi, soprattutto negli ambienti conservatori statunitensi, c’era preoccupazione per l’impatto che avrebbe potuto avere sul grande pubblico proporre personaggi simili. La presenza queer è stata così scoraggiata, ma non è stata rimossa dal cinema americano. La medesima tecnica di cui abbiamo parlato per i cartoni animati era infatti applicata per tutti i film. Alcuni manierismi, modi di dire e di vestire stereotipati vennero mantenuti nonostante tutto. Essi rendevano tali personaggi riconoscibili agli altri membri della comunità, pur mantenendo una parvenza di rettitudine al pubblico in generale e, cosa più importante, ai censori.

Questo tipo di caratterizzazione, un po’ per strizzare l’occhio alla comunità LGBT+ e un po’ per demonizzarla, si è incardinata con estrema resilienza nel modo di raccontare i cattivi. Recentemente sembra le acque si siano un po’ mosse. Dopo le indiscrezioni che secondo cui Elsa di Frozen sarebbe lesbica (nei prossimi film ne sapremo di più), negli ultimi giorni si è fatta strada che i due protagonisti di Luca, l’ultimo film di Disney Pixar, siano più che amici. Come nei casi dei cattivi, non c’è nulla di esplicito e forse non è nemmeno così importante stabilirlo. Ma uscire dai canoni precedenti è già un passo avanti.

I più famosi cattivi queer coded

Uno dei più famosi non è nemmeno umano, uno tra i miei preferiti tra l’altro, ed è Scar, lo zio di Simba ne Il Re Leone. Si muove ondeggiando i fianchi e gesticolando (sì, anche con le zampe!), sfoggia una criniera nera lucente che lo rende unico tra i leoni. Ponendo attenzione al muso, si può notare che la zona intorno agli occhi sembra truccata. Non ha rapporti con le leonesse, tanto da non avere figli nemmeno durante il proprio arido regno, ma si circonda di iene: i personaggi femminili meno femminili che ci siano. La comunità LGBT+ ha accettato l’ambiguità di Scar al punto di aver lamentato una scarsa rispondenza di questi canoni nell’ultimo live action.

Allo stesso periodo di produzione appartengono Hercules e Aladdin, i cui cattivi, Ade e Jafar, presentano quasi tutti gli stessi tratti, pur umanizzati, di Scar. Tutti e tre hanno grandi abilità organizzative e strategiche, ma non possono diventare legittimamente re (o sultano). La possibilità di regnare gli è preclusa, in quanto la loro diversità (pur essendo diversamente declinata) preclude loro ogni chance. Nel caso di Ade è plastica la contrapposizione a Zeus, come Scar verso Mufasa, sia dal punto di vista fisico che caratteriale.

É da sempre di dominio pubblico, invece, il fatto che Ursula de La Sirenetta sia stata ispirata da una drag queen, Divine dei Pink Flamingos.

Altri cattivi meno conosciuti

Il mio cattivo preferito in assoluto è Rattigan, malvagio cospiratore londinese in Basil l’investigatopo. Il protagonista, anch’egli sessualmente ambiguo, è ispirato da Sherlock Holmes. Rattigan abita in un covo arredato con tende di raso rosa, gioielli e fontane di champagne rosé e ha come animale domestico una gatta di nome Lucrezia. Non solo suona l’arpa, ma incide addirittura una canzone d’addio in cui confessa il suo amore per Basil. Molto vanitoso ed egocentrico, non sopporta che gli ricordino che è un ratto, meno nobile degli altri topi sudditi della corona. Ricorda niente? É probabilmente uno dei più efferati e violenti tra i cattivi targati disney, ma, nonostante ciò, si muove e parla secondo gli stereotipi descritti in precedenza.

L’ultimo lungometraggio in 2D prodotto dalla Disney, La principessa e il ranocchio, vede come antagonista il Dottor Facilier, uno stregone voodoo. Incarna il classico stereotipo dell’omosuessuale truccato che gesticola, si muove in modo poco virile e indossa magliette attillate per evidenziare il suo fisico. Come per altri cattivi di cui abbiamo parlato, Jafar e Rattigan per esattezza, la gestualità è inequivocabile e va ricordato che la fonte-simbolo del loro potere è un bastone…anche in questo caso si lascia poco spazio all’immaginazione.

https://www.youtube.com/watch?v=bjmMX_w2tJg

L’ultimo cattivo queer coded veramente degno di nota è Ratcliffe, il colonialista di Pocahontas. Decisamente effemminato, è ossessionato dalla moda e si veste con sgargianti sfumature di fucsia, indossando addirittura dei nastri tra i capelli. Gli piace pavoneggiarsi sul ponte della sua nave circondato da marinai mascolini, a cui delega ogni compito che implichi forza fisica. Non si vuole mai separare dal suo carlino bianco, Perlin, ed è sempre preoccupato dell’opinione che gli altri hanno di lui. Insomma, difficile immaginare un personaggio più stereotipicamente gay.

https://youtu.be/XgOCTN14nzA

Il fascino queer che ci ammalia

Il queer coding è nato sostazialmente con intenti discriminatori, per distribuire patenti di immoralità, ma la comunità LGBT+ si è appropriata di quei personaggi, rendendoli veri e propri simboli. Il problema è che la maggior parte di questi villains sono figure completamente negative da cui si può attingere veramente poco, oltre l’omosessualità latente.

Alla fine, è inutile negarlo, i cattivi Disney ci affascinano quanto i buoni e forse di più. Più spigolosi, meno lineari, forse addirittura sexy. Non perché siamo alla ricerca dell’antieroe, quanto perché ci sentiamo inadeguati rispetto all’eroe intelligente, bello e prestante. Percepiamo qualcosa che ci accomuna e ci piace, perché con i buoni ciò accade raramente. Proviamo empatia verso chi, in qualche modo, viene emarginato in quanto diverso. Intravediamo qualcosa di noi in loro, anche nei loro eccessi. Alla fine con i cattivi non condividiamo solo vizi e debolezze, ma anche modi d’essere.

Questo articolo è dedicato ad Ale, che mi ha fatto conoscere l’argomento e si è diplomato proprio ieri a pieni voti

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