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IL PRIMO PENSIERO: UN GRANDE EPISODIO NEI PRIMI ANNI DI VITA

20 Maggio 2020

Il mio primo pensiero: ripercorro un episodio cruciale dei primi anni di vita, sperando vi possa far divertire per poi rimanere in silenzio, per un attimo.

Questo è il mio primo pezzo su AlterThink, e da qui in avanti tutte le mie pubblicazioni finiranno nella categoria I pensieri. Così ho realizzato che, in un certo senso, questo è anche il mio primo pensiero. Un’idea angosciante: cosa avrei potuto scrivere, quale sarebbe potuta essere la mia prima impressione su questo misero pianeta? Vuoto.

Rimuginavo tra me e me ad oltranza in cerca di una risposta: “Il mio primo pensiero… il mio primo pensiero…”. A un certo punto è arrivata l’illuminazione: avrei pubblicato il primo pensiero della mia vita! Mi sembrava un’idea brillante. Tuttavia provate pure a recuperare dalla memoria il vostro primo vero pensiero: vuoto, nero (o almeno grigio scuro). Probabilmente sarà stato qualcosa di semplice, elementare, forse anche istintuale; ma ciò nonostante, un episodio vibrante, decisivo. Eppure io non sapevo e tutt’ora non saprei bene dove collocarlo; ma sospetto in un momento compreso tra la mia nascita e questo preciso istante.

Un quando: la fissa

Ora, non so perché, ma girandoci e rigirandoci m’ha preso la fissa che questo primo pensiero io ce l’abbia avuto all’asilo. Principalmente perché non ho altri ricordi precedenti; ma anche perché sono convinto che l’asilo sia un punto di non ritorno per molti. L’asilo rappresenta un momento di svolta sopratutto per chi non va al nido, come il sottoscritto: si scopre l’amicizia, il piacere di passare del tempo in compagnia, l’odio per alcuni coetanei, la vergogna e il senso di inferiorità verso coloro che già all’asilo si delineano come coloro che ce la faranno. Spoiler: difficilmente andrà così. Nonostante questa enorme ricchezza di emozioni ed esperienze, c’è un ricordo ben preciso che ho deciso di eleggere come nascita del mio pensare.

Il fatto

Un giorno in cortile facevamo tra amici un gioco inusuale: uno andava con il monopattino lungo un sentiero, e gli altri al passaggio gli tiravano della ghiaia. Ci davamo il cambio per fare il conducente e da parte nostra non c’era alcuna volontà di nuocere all’altro; d’altronde a breve uno di noi sarebbe stato l’ “altro”. Era tutto un mix di ebrezza per la trasgressione, il rischio di essere colpiti, e il brivido di doversi dare sempre più velocità per schivare i sassi; insomma, una scarica costante di adrenalina che neanche Saetta McQueen, ai tempi d’oro eh.

Beh, magari vi sorprenderà ma il gioco durò poco: la maestra F. arrivò, vide la scena di dinamica lapidazione, e iniziò a strillare rimproveri a destra e a manca. A quel punto però lei punì soltanto quelli che in quell’istante stavano lanciando i sassi (tra cui il sottoscritto), ma non il conducente, tale N.

La morale

Certo, concordo con voi che era la cosa apparentemente giusta da fare: non punire il povero pilota. Eppure io per tutto quel giorno, come anche per tutti i giorni fino a questa parte, rimasi a chiedermi come fosse possibile che la maestra F. avesse del tutto frainteso la natura del gioco: era del tutto una cosa tra eguali amanti del brivido, il reciproco riconoscimento dell’animale tendenza all’ilinx. Non c’era bullismo.

Difatti credo che fosse proprio questo che mi attanagliava il cuore: l’idea che qualcuno potesse ritenermi capace di una sì grave azione, sopratutto quando non era affatto questo il caso. Insomma, a pesarmi sul petto era l’essere stato ingiustamente incolpato e giudicato. D’altro canto avevo solo cinque anni e stavo crescendo nello Stato della Chiesa: la parte di me che stava maturando non poteva che prendere quello che passava il convento. Evidentemente il Verbo si era già impossessato di me, e credo, con un po’ di rammarico, che da quel periodo Lui non mi abbia più lasciato: ormai è un virus endemico. Ma questa è un’altra storia.

Il punto

Ho voluto raccontare quest’aneddoto perché mi piace, e sopratutto perché io e i miei colleghi di AlterThink ci accingiamo a raccontare una realtà, la quale sempre sarà, e non potrà che essere, la nostra realtà; umanamente anelanti e incapaci di cogliere l’immagine totale.

Così mi viene da pensare che, forse, per essere dei bravi narratori si debba barcamenarsi costantemente tra quei bambini all’asilo e la loro maestra F.: da un lato essere disposti a lanciare dei sassi ai propri coetanei, così da spronarli e farli andare veloci con il loro monopattino; dall’altro tenere a mente le incomprensioni e i danni che quei sassi potrebbero comportare. Chiudendo, vi chiedo: vi sentite più la maestra F. o i bambini lapidatori? Non rispondetemi, pensiamoci.

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