Il 24 febbraio 2022 ha inizio l’operazione militare speciale, come è stata definita da Vladimir Putin al popolo russo. Un’operazione speciale volta a difendere il popolo russofono in Crimea e nel Donbass costantemente sotto attacco dai militari ucraini, a ripristinare la sfera di influenza russa su tutta la popolazione slava, e, infine, a mettere fine all’“ubriaco” e “nazista” governo ucraino. L’operazione, però, non è andata come ci si aspettava: sarebbe dovuta essere una guerra lampo, una blitzkrieg; Kiev sarebbe dovuta cadere rapidamente attaccata da est e da nord dalla Russia e dal suo fedele alleato, la Bielorussia. Invece i militari russi sono stati respinti dai soldati e dai civili ucraini, parecchio agguerriti e volenterosi di difendere la propria patria. Ora il piano militare sta lentamente cambiando: il desiderio di Putin sembra essere diventato quello di annettere le intere regioni del Donbass (territori ricchi di carbone, gas e petrolio), creare un corridoio fino alla Crimea, conquistare Odessa e ricongiungersi con la Transnistria – regione orientale della Moldova. A quel punto Putin potrebbe sentirsi “sazio” e potrebbe ritenersi disponibile a trattare con Zelensky da una posizione di forza.
Non è chiaro perché sia scoppiata la guerra. O meglio, ci sono davvero tante possibili spiegazioni che possono aver portato Putin a scagliare un vibrante attacco ai suoi fratelli ucraini. Avevo già parlato, in un precedente articolo, delle possibili spiegazioni, cause e concause, e avevo individuate tre: la sovranità limitata dello stato ucraino, il fallimento dello stato-nazione ucraino e l’oscillazione dei governi ucraini tra l’Occidente e la Russia. Tutti e tre rimescolati possono essere utili per avanzare delle (im)possibili soluzioni per la guerra in Ucraina.
Adesione all’Unione Europea ma neutralità militare
La soluzione numero uno, forse anche quella più sensata e ovvia, di cui si è spesso dibattuto e per cui anche Zelensky ha espresso parere favorevole è la seguente: fare entrare l’Ucraina al più presto nell’Unione Europea e allo stesso tempo renderla neutrale dal punto di vista militare. Si è sentito parlare spesso di finlandizzazione dell’Ucraina, o di prendere spunto dal modello svedese, austriaco o addirittura svizzero. Ho qualche perplessità: anzitutto, l’Ucraina rispetta i canoni democratici (stato di diritto, elezioni trasparenti, ecc.), economici (libero mercato, concorrenza ecc..) e territoriali (confini chiari, netti e sicuri) per fare parte del club dei 27? E poi, nel caso entrasse, come si comporterebbe l’Ucraina in merito all’ipotesi di una difesa comune europea? Nonostante l’Unione Europea – da alcuni definita unione a centri concentrici – permetta ai propri membri di scegliere l’intensità della propria integrazione, per esempio concedendogli la clausola di opt out, il dubbio rimane. Sullo scacchiere internazionale l’Unione Europea ne uscirebbe rafforzata mentre gli USA e soprattutto la Federazione Russa sarebbero i perdenti.
Ucraina dell’Est e Ucraina dell’Ovest?
La soluzione numero due, pericolosa e paurosa perché rievoca i fantasmi della guerra fredda, sarebbe la divisione in due dell’Ucraina. Prendendo come modelli la Germania o la Korea, si potrebbe vedere nascere un’Ucraina dell’Est e un’Ucraina dell’Ovest. Forzando un po’ la mano, la stessa Kiev, alla pari di Berlino, potrebbe essere divisa in due. Questa sarebbe una soluzione a dir poco utopistica, in quanto prevederebbe un intervento massiccio delle truppe NATO, cosa ad oggi abbastanza improbabile. Ma mai dire mai. La divisione potrebbe favorire i gruppi etnici presenti sul territorio ucraino e dal punto di vista geopolitico sarebbe un pareggio a porte inviolate tra Occidente e Federazione Russia, ma anche l’inizio dei tempi supplementari: la seconda guerra fredda. Questa ipotesi, del resto, è suffragata anche da Limes.
Una nuova Bielorussia: l’imperialismo putiniano
La soluzione numero tre, anch’essa improbabile, vede la vittoria della Russia sui suoi rivali, la destituzione di Zelensky e l’instaurazione di un governo fantoccio in Ucraina, che diverrebbe uno stato cuscinetto, completamente demilitarizzato e neutrale ma nella realtà asservito ai diktat di Mosca. Da questa ipotesi, la Russia ne uscirebbe assolutamente vittoriosa, USA e UE, invece, con le ossa rotte. L’idea non è molto lontana da quanto affermato dall’ex ambasciatore NATO Sergio Romano al XVIII Festival internazionale della Storia di Gorizia, tenutosi per l’appunto a Gorizia dal 27 al 29 maggio 2022. L’ambasciatore, dialogando con il giornalista del Corriere della Sera Carioti – emulando i dialoghi del libro La Russia imperiale di Putin dove proprio Carioti intervista Romano – evidenzia come la fine della guerra fredda abbia creato un “mondo di disoccupati” e due importanti vedove (della guerra fredda): USA e Federazione Russa. Ma se la prima ne era uscita vincente e aveva dato luogo a un grande nuovo ordine internazionale unipolare – almeno fino all’11 settembre – portando il politologo nippoamericano a parlare diffusamente di “fine della storia”, la seconda ne era uscita praticamente sconfitta in ogni campo (militare, economico, ideologico). La salita al potere di Vladimir Putin, definitivo da Romano un “intellettuale patriota e nazionalista”, ha cambiato le carte in gioco. Putin, continua Romano, ha da sempre avuto in mente di creare un commonwealth russo (l’evoluzione della CPI), una “versione moderna dell’impero euroasiatico” finalizzato alla ricerca di amicizie e in particolar modo sudditanze. L’Ucraina potrebbe in questo senso diventare una neo-Bielorussia.
Il Piano “segreto” di Boris Johnson: un commonwealth europeo a trazione britannica
Da un commonwealth a un altro. In un interessante articolo del 26 maggio scorso, edito sul Corriere della Sera, il giornalista Federico Fubini espone un interessante e potenziale colpo di scena: il ritorno in grande stile del Regno Unito. Lasciatosi alle spalle le catene burocratiche di Bruxelles con Brexit, Londra (e in particolare il suo Prime Minister) sarebbe pronta a proporre “un nuovo sistema di alleanze politiche, economiche e militari – alternativo all’Unione europea – che raccolga Paesi accomunati dalla diffidenza verso Bruxelles e anche verso la risposta della Germania all’aggressione militare russa”. Anzi, Fubini osa di più: “il modello di Commonwealth europeo che Boris Johnson ha in mente avrebbe la Gran Bretagna come leader e includerebbe l’Ucraina, la Polonia, l’Estonia, la Lettonia e la Lituania, oltre che potenzialmente la Turchia in un secondo momento.” Dunque, si tratterebbe di “un’alleanza di Stati gelosi della propria sovranità nazionale, liberisti in economia e decisi alla massima intransigenza contro la minaccia militare di Mosca”. Londra sembrerebbe intenzionata a colpire il ventre molle europeo, ovvero l’Europa dell’Est, il cosiddetto Gruppo di Visegrad che, parafrasando Romano, sembrano guardare più a Washington che a Bruxelles. Scompaginando gli equilibri sul territorio europeo, Londra, potrebbe riacquisire una grande legittimazione a livello internazionale e riagguantare quella special relationship con gli USA che con Trump si era leggermente affievolita.
Semi-presidenzialismo etnico
Esiste una quinta ipotesi, più teorica e difficile da realizzare, che ha a che fare con la forma di governo ucraina: il semi-presidenzialismo. Ipotizzando la fine della guerra immediata, si potrebbe modificare la costituzione ucraina affinché preveda che a turno il Presidente della Repubblica e il Presidente del Consiglio siano etnicamente diversi. In questo modo nel caso in cui il primo fosse russofono, il secondo dovrebbe essere obbligatoriamente ucrainofono. Questo permetterebbe all’Ucraina di riacquisire la propria sovranità, ricostruire la propria nazione-stato e mantenere rapporti cordiali con tutte le super potenze sullo scacchiere internazionale. Utopia?