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L’Italia c’è, parla Emanuele Pinelli

9 Febbraio 2022

Lunedì è stata annunciata la nascita di un nuovo soggetto politico nell’area liberale, L’Italia c’è. Il comunicato di lancio vede tra i firmatari anche Emanuele Pinelli. Già coordinatore di Figli Costituenti, presidente di Terra Libera e candidato al comune di Roma con la lista Calenda Sindaco, oggi l’abbiamo intervistato per scoprire di più de L’Italia c’è.

Come mai avete scelto questo nome?

Per dire agli italiani che il loro paese c’è, è forte, capace di difenderli e di proiettarli nelle sfide di questo secolo. Contro le pandemie, l’Italia c’è. A trainare l’Unione Europea, l’Italia c’è. Per permettere a chi lavora di avere un buono stipendio e di godersi i frutti dei propri sforzi, l’Italia c’è. Per dare un’istruzione efficiente, per vincere la sfida climatica, l’Italia c’è. Bisogna ascoltare i problemi e le priorità autentiche delle persone comuni. Per tutto quello che ci può spaventare o preoccupare del tempo che viviamo il Paese è capace di farcela.

Avete in programma di fare attività a livello locale e territoriale?

Puntiamo ad attirare tanti movimenti e liste civiche che si stanno formando per le prossime elezioni amministrative, oltre che associazioni attive nei territori. Soprattutto nei più piccoli centri, nelle province e nelle aree interne la politica ormai è gestita da liste civiche o da una maionese impazzita di partiti, per cui ci sono Comuni col sindaco del PD e il vicesindaco della Meloni.. Una volta si diceva che destra e sinistra dicessero le stesse cose:ora siamo arrivati all’estremo per cui dicono tutti tutto su qualsiasi argomento. La gente sui territori quindi si sente disorientata e vota la persona: c’è richiesta, da parte di questi movimenti civici, di un simbolo e di un programma serio intorno al quale sentirsi raccordati.

Quali sono i valori fondativi de L’Italia c’è?

È un movimento ambientalista, liberale e riformatore. Potrebbe sembrare una contraddizione la dicitura ambientalisti-liberali. Siamo abituati a immaginare i primi che fanno i picchetti per evitare i pannelli fotovoltaici sui terreni agricoli e i secondi come berlusconiani che proteggono le corporazioni. I significati sembrano rovesciati. Per noi vuol dire semplicemente ispirarsi ai valori su cui si regge uno stato di diritto democratico anche per poter affrontare in modo adeguato le questioni dell’ambiente.

Di partiti che si definiscono liberali e riformisti, però, ce ne sono tantissimi ultimamente, perché crearne uno nuovo e non collaborare a qualche realtà che già c’è?

Ma ci sono davvero partiti nati con la vocazione liberale e riformista con una vocazione ambientalista?

Liberali ambientalisti no, ma Italia Viva, Più Europa e Azioni si definiscono tali e sono solo i più importanti…

Il difetto è che dicono tutti le stesse cose ma si odiano a morte l’uno con l’altro. Calenda non fa altro che parlare male di Renzi, quando alla fine votano quasi sempre allo stesso modo. Esprimono idee sui territori assolutamente analoghe. A Roma, ho fatto la campagna elettorale insieme a renziani e calendiani: ci trovavamo sulle proposte, per una città che è grande come uno stato sovrano europeo.

Ma quindi?

È inutile dire che diciamo le stesse cose, se poi ci si boicotta a vicenda. Noi abbiamo la forza di avere proposte chiare, per esempio sulla giustizia, tema su cui, invece, Calenda ha molto titubato. Non solo abbiamo delle priorità molto chiare, ma anche le porte aperte a tutti gli altri.

Quindi i vostri interlocutori sono sia la federazione tra Azione e Più Europa e la nascitura Italia al centro di Renzi e Toti?

Io lascerei stare le identità con nomi e cognomi attualmente esistenti. La partita del Quirinale ha così terremotato lo scenario che magari ciò che esisterà già alle elezioni del 2023, soprattutto in area liberale, avrà nomi, loghi e personalità di spicco diverse da oggi. Sui territori questo fattore potrebbe essere ancora più marcato. È inutile parlare di facce e bollini: quanto di questo resisterà fino al prossimo anno di campagna elettorale e allo stesso tempo è radicato nei territori?

Il simbolo è stato presentato e depositato tra Dicembre e Gennaio da Piercamillo Falasca e Gianfranco Librandi. Quest’ultimo, senatore del gruppo di Italia Viva, però ha presentato ben 38 simboli in 9 anni di cui una decina nel 2021. L’Italia c’è non rischia di essere l’ennesima scatola vuota? Perché dovrebbe essere diverso?

Come dice Machiavelli, stavolta c’è anche l’occasione per mostrare il valore di una formazione politica come la nostra. Non tutti i partiti sono adatti a tutte le stagioni. In questo momento le idee che difendiamo sono richiestissime, soprattutto a livello locale. Ad esempio, nei piccoli comuni nessuno sa come spendere i fondi del PNRR. C’è una grande occasione, ed è chiaro che una persona previdente cerca qual è il simbolo giusto per ottenere un buon risultato.

Lei è membro anche di Italia Europea che, insieme a comitato Ventotene, oggi ha lanciato il comitato “Garantisti per il sì” nell’ottica dei referendum sulla giustizia, L’Italia c’è aderirà a questo comitato?

Sì, aderirà con convinzione.

Perché è importante schierarsi a favore dei quesiti proposti dal Partito Radicale e dalla Lega?

Da un lato è giusto, dall’altro è utile. È giusto perché il fatto che nessuno deve pagare per colpe che non ha è istintivamente radicato nella natura umana. Ciò nonostante, nel nostro Paese ci sono tante carcerazioni preventive, troppe persone messe in galera tanto per vedere e poi rilasciate perché erano innocenti, processi che sono durati dieci anni per scoprire che il fatto non sussisteva, reputazioni mandate al macero per fini politici. Tutto questo perché il sistema della giustizia permette di farlo impunemente. La maggior parte dei magistrati si comporta con lealtà e onore rispetto alla propria professione, ma questa scelta non può dipendere dalla singola persona e dai suoi valori. Deve dipendere da come il sistema è congegnato.

E perché invece ritiene che sia utile?

Non avere certezza del diritto disincentiva gli investimenti oppure li paralizza. Il caso dei rifiuti a Roma è drammatico ed emblematico. Abbiamo avuto una grande azienda privata, un consorzio, che gestiva prima la discarica e poi gli impianti di riciclo. Prima è stata presa di mira con una causa sulla vecchia discarica, finita nel nulla, poi con un’altra sugli impianti di Malagrotta, che li ha tenuti bloccati e sotto interdittiva antimafia senza alcun motivo, come poi si è scoperto. Anche impianti di altri comuni, Tivoli ad esempio, sono stati aggrediti giudiziariamente. In tutto ciò Roma ha perso l’opportunità di usare per anni i propri impianti più all’avanguardia. È saltata in mille pezzi la multi-utility tra Ama, Acea e questo consorzio. I cittadini hanno subìto le conseguenze di questa scelta, che per i pubblici ministeri è stata a costo zero.

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