schwa

NON RAGIONIAM DI LOR, MA GUARDA E SCHWASSA

9 Febbraio 2022

Questa riflessione parte da due premesse. La prima è che non ho alcuna competenza nell’ambito della linguistica e in questo articolo non troverete considerazioni sullo schwa in quanto tale. La seconda è che non sono solito utilizzare né lo schwa né l’asterisco (né la X né la U) per rendere il mio linguaggio più “gender neutral”. Sia per diletto sia per lavoro mi esercito, invece, nella costruzione di perifrasi sempre meno connotate dal maschile sovraesteso.

Non parliamo di questo segno grafico che da un paio d’anni è sempre al centro delle polemiche, concentriamoci sull’ennesima petizione su change.org, sito internet divenuto famoso in tutto il mondo per le raccolte firme serie e meno serie.

Il padre di questa petizione è Massimo Arcangeli, acclarato professore di linguistica le cui competenze sono indubbie. Il testo parte col botto: “Siamo di fronte a una pericolosa deriva, spacciata per anelito d’inclusività […]”.

Se passassi di lì per caso penserei di trovarmi dinanzi ad un appello per salvare una comunità marginalizzata, qualche minoranza in pericolo dal pugno di ferro di qualche governo autoritario e dittatoriale… e invece il problema è lo schwa.

“I promotori dell’ennesima follia, bandita sotto le insegne del politicamente corretto” anche qui non l’autore della petizione non la manda a dire. Si torna a parlare di “politicamente corretto”, espressione interessante: non ho mai avuto il piacere di conoscere una persona che si definisse politicamente corretta. Ho avuto il dispiacere di leggere, o di ascoltare, persone che combattono questa chimera del politicamente corretto come se fosse il nemico pubblico numero uno. Anzi, già che ci siamo, lə nemicə pubblicə numero uno, così lə firmatariə si triggerano un altro po’.

(oddio ho scritto “triggerare”, Dante Alighieri si starà rivoltando nella tomba peggio di una turbina)

Andiamo avanti.

“I fautori dello schwa, proposta di una minoranza che pretende di imporre la sua legge a un’intera comunità di parlanti e di scriventi, esortano a sostituire i pronomi personali “lui” e “lei” con “ləi” […]”.

Anche qui sembra di trovarsi in una riedizione del fortunatissimo 1984 di Orwell, che nel frattempo è diventato Orwəll, in cui qualche elitə ossessionatə dal politicamente corretto manda a casa tua la psicopoliziə per menarti se hai l’ardire di non usare lo schwa.

La realtà dei fatti è ben diversa. La terribile mente dietro questo complotto mondiale ha un nome e un cognome: Vera Gheno, che su twitter si descrive “Sociolinguista specializzata in pinzillacchere. Grammamante poco adulta, ma schwaccinata”. Ha 12mila follower su quella piattaforma e addirittura 37mila su Instagram, eppure non mi sembra voglia assaltare Capitol Hill a suon di “ə”.

Dal mio osservatorio privilegiato posso sicuramente confermare la diffusione dello schwa: in un articolo di giornale di Michela Murgia, che per questo è stata ampiamente perculata, nelle card e nei post sui social di varie associazioni LGBTQI+, in qualche organizzazione politica di sinistra e in alcune ONG.

Insomma, se la dottoressa Gheno ha in mente di organizzare un Colpo di Statə le consiglio vivamente di sbrigarsi, perché qua il temibile verbo della “e” rovesciata fa fatica ad imporsi.

Oddio, forse qui sto minimizzando io la situazione e vi riporto due notizie ulteriori.

Il Comune di Castelfranco Emilia, 32mila abitanti in provincia di Modena, ha iniziato ad utilizzare lo schwa in alcuni post. Apriti cielo, lo schwa dilaga nella megalopoli. Na roba tremenda che ha raccattato ben 135 like, 30 condivisioni e 21 commenti… di genitori interessati agli aggiornamenti sul tema del post, ovvero il rientro in classe di “moltǝ bambinǝ e ragazzǝ”.

E dopo avervi fornito questa ciliegina arrivano al vero motivo di preoccupazione per i firmatari di questa petizione: lo schwa e lo schwa lungo (ndr: si scrive con il “3”)  sono perfino finiti in ben 6 verbali redatti da una Commissione per l’abilitazione scientifica nazionale alle funzioni di professore universitario di prima e seconda fascia. Ammazza, ben sei verbali di una Commissione. Praticamente un’epidemia zombiǝ da cui non potrà salvarci neanche Brad Pitt.

Da persona che non usa lo schwa posso dirvi che ho qualche amicǝ che la utilizza (non posso nemmeno riutilizzare la frase “ho molti amici gay” nelle sue varianti) e vi assicuro che mi sembrano tutte persone abbastanza pacifiche. Nessunǝ di loro viene a menarmi se scrivo “ciao ragazzi, stasera andiamo a bere qualcosa in Porta Venezia” né girano coi mǝngǝnǝllǝ per punire chi usa il maschile sovraesteso.

A me sembra molto più pericolosǝ la deriva di autorǝ e firmatarǝ di questa petizione: tutte persone con ottime qualifiche professionali, professori con decine di pubblicazioni in saccoccia, incarichi di primo piano eccetera. Persone in una posizione di autorità e – in almeno due casi – anche di celebrità: tra i firmatari ci sono, infatti, anche il prof. Barbero, forse lo storico più famoso d’Italia, e il prof. Cacciari, che mi stupisco non abbia detto “CHE LO SCHWA FACCIA SCHIFO LO DICO DA ALMENO 20 ANNI”.

L’imposizione dello schwa è talmente forte che per trovare un articolo contro bisogna andare sul Corriere della Sera, notoriamente un quotidiano relegato alla clandestinità per le posizioni scomode assunte negli anni. Lì un articolo di Gian Antonio Stella si apre con la versione riveduta e schwarretta della famosissima poesia “A Silvia” di Giacomo Leopardi giusto per dirci come, secondo l’autore della petizione di cui sopra, anche Leopardi oggi firmerebbe la petizione contro questa versione politically correct della propria poesia.

Potrei continuare facendo tanti altri esempi della dittatura dello schwamente corretto in cui viviamo, ma eviterò di farlo perché tengo all’incolumità mia e dei miei cari e vorrei evitare le ire di questo regime dittatoriale che  ci costringe a scrivere con la e rovesciata.

Se siete riemersi, riemerse o riemersǝ da questo scenario distopico alla Fahrenheit 451 vi sarete resi conto dell’evidente isteria ingiustificata di questa petizione: lo schwa è chiaramente entrato nel dibattito complicatissimo sull’italiano inclusivo, ma non mi pare abbia fatto particolari vittime.

In compenso offre sta letterina strana la possibilità ad accademici e giornalisti affermati di mettersi in ridicolo con dei toni apocalittici che francamente riserverei ad altre questioni. E non lo dico da estimatore dello schwa, che continua a sembrarmi soluzione un po’ scomoda e molto di nicchia, ma da osservatore di questo Paese refrattario non solo a qualsiasi cambiamento, ma anche all’apertura di un dibattito sulle traiettorie del cambiamento stesso.

Per quanto mi riguarda io sono abbastanza sereno. Fino a pochi anni fa se ti permettevi di dire “sindaca” o “ministra” si rabbuiava il cielo e pioveva sangue. Oggi invece abbiamo addirittura #UnaDonnaPresidente… solo come hashtag mi raccomando!

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