Con l’avvicinarsi dell’election day del 14 Maggio e con la fine del Ramadan, la campagna elettorale in Turchia entra nel vivo: nella sera del 19 aprile, Kemal Kılıçdaroğlu, leader del partito CHP e candidato unitario del blocco d’opposizione “Alleanza della Nazione” (Millet İttifakı), ha pubblicato infatti un video che da molti osservatori in Turchia viene già definito “storico”.
Su Twitter ha fatto registrare circa 30 milioni di riproduzioni e 100 milioni di visualizzazioni. Il titolo del video è, semplicemente, “Alevi”: il nome di una corrente non-Sunnita dell’Islam, storicamente molto diffusa in Anatolia e di cui lo stesso Kılıçdaroğlu fa parte.
Il contenuto del video esemplifica la strategia percorsa dal candidato d’opposizione per sconfiggere Erdoğan: ricucire le fratture sociali, interreligiose, e interetniche sul fuoco delle quali il populismo dell’attuale presidente ha soffiato per compattare il proprio elettorato in un blocco nazional-islamista.
Gli Alevi, stimati tra il 15% e il 25% della popolazione, in quanto musulmani non-sunniti sono a tutti gli effetti la principale minoranza religiosa della Turchia, anche se la loro identità religiosa non è mai stata riconosciuta dallo Stato turco (e qui, come vedremo, risiede parte dei loro problemi). Durante la storia ottomana subirono feroci persecuzioni, soprattutto nel XVI e XVII secolo, in quanto ritenuti manovrati dall’Impero persiano Safavide, oltre che per il fatto di essere eterodossi e al limite dell’eresia rispetto all’Islam Sunnita.
Per questi motivi, nella storia turca repubblicana, hanno generalmente sposato il Kemalismo: l’ideologia di Atatürk (e del suo partito CHP, lo stesso di cui è oggi leader Kılıçdaroğlu) il quale, fondando una repubblica laica e nazionale nel 1923, aprì per loro la strada della piena cittadinanza, con pari diritti e opportunità. È per questo che, nel suo video al minuto 1.05, Kılıçdaroğlu afferma che:
“è grazie alle opportunità dateci dalla Repubblica che ho potuto studiare, trovare un lavoro, fondare una famiglia”
Tuttavia, l’avvento della Repubblica non portò con sé l’auspicata fine delle persecuzioni e delle discriminazioni. Come accennato, lo Stato turco non ha mai riconosciuto ufficialmente l’alevismo come un culto a sé stante, non garantendogli pari dignità e diritti d’espressione, né tutele ai suoi luoghi di culto (che non sono le moschee, ma le cemevi) e alle sue cerimonie (chiamate, appunto, cem).
Oltre a ciò, la storia repubblicana turca è punteggiata da vari “massacri” (katliamlar) ai danni degli Alevi: da quello di Dersim (oggi Tunceli, la città natale dello stesso Kılıçdaroğlu) del 1937, quando lo stato allora guidato da Atatürk represse nel sangue una rivolta nella regione, a quello di Sivas del 1993, quando, durante le celebrazioni di una festa alevita, l’hotel dove ne alloggiavano i partecipanti fu circondato e incendiato da parte di una folla gridante slogan anti-Alevi, forte dell’inazione delle forze di sicurezza. E ancora oggi, i vari governi AKP – al di là di una breve e infruttuosa “apertura democratica” nel 2007 – hanno continuato a ignorare le richieste e a discriminare questa comunità.
Anche per questo, il fatto che nel video Kılıçdaroğlu dichiari apertamente:
“sono Alevi, sono un musulmano sincero, educato con la fede verso Allah, Maometto, e Ali”
assume il significato di rottura di un grande tabù. Che Kılıçdaroğlu sia un Alevi di Tunceli non è una novità. Lo è il fatto che lo rivendichi così apertamente in una campagna elettorale in cui è già stato attaccato (anche dall’interno dell’opposizione) per la sua identità, sulla base del discorso settario secondo cui “Alevi olmaz” (“non può essere un Alevi” – a governare la Turchia). E soprattutto è una novità il fatto che proprio a partire dalla sua appartenenza a una minoranza marginalizzata, Kılıçdaroğlu lanci un appello che contiene il vero e più importante messaggio politico. Ai giovani – principali destinatari di questo video – chiede di costruire insieme una Turchia libera dalle divisioni, diffidenze, odi settari: non si può scegliere dove e in quale comunità nascere, dice Kılıçdaroğlu, ma “si può scegliere di essere brave persone, oneste, morali, coscienziose, virtuose, e giuste”. Allo stesso modo, col voto da esprimere tra qualche settimana,
“si può scegliere di porre fine al settarismo devastante, di costruire un Paese più libero e ricco, di cambiare noi stessi e la società in cui viviamo”.
HELALLEŞME: LA “DOTTRINA KILIÇDAROĞLU”
Anche un messaggio senza precedenti come questo fa parte di una più ampia teoria e strategia comunicativa e comportamentale di Kılıçdaroğlu, che lo ha sempre caratterizzato ma che lui ha formalizzato (sempre con un video) il 13 novembre 2021 e riassunto in una parola: “helalleşme”, la cui traduzione più vicina è “riconciliazione”. Quest’espressione ha tuttavia un significato più profondo e articolato, che si intreccia con le radici e le tradizioni culturali musulmane della società turca. Comprenderlo è la chiave per capire che cos’ha in mente l’opposizione – al di là dei programmi economici, sociali, istituzionali – per il futuro della Turchia.
Un lettore italiano potrebbe avere familiarità col termine “halal” (helal, in turco), che indica ciò che è religiosamente permesso. Quando un musulmano arreca un’offesa, un danno o commette un torto verso un’altra persona, Dio non può cancellare quel peccato se prima costui non chieda la “helallik”, la riconciliazione, alla vittima in questione. Quest’ultimo può quindi dire, in turco, “helal olsun” (“che sia/che possa essere halal”) completando così uno “scambio di halal”. O, appunto, helalleşme. Secondo Kılıçdaroğlu, ciò dev’essere fatto a livello sociale in Turchia: oltre a occuparsi di risanare le istituzioni, l’economia, la politica, è necessario risanare la società, ricucendo le fratture profonde decenni, e acuite negli ultimi anni, che il populismo autoritario al potere ha sfruttate a fini elettorali.
“Nella mia vita ho visto tanto odio nel nostro Paese. […] Dobbiamo guarire le ferite del nostro Paese. L’helalleşme non può cambiare il passato, ma può salvare il futuro”.
Dal lancio di questo video ad oggi, Kılıçdaroğlu ha intrapreso una serie di azioni volte a promuovere la riconciliazione tra la varie comunità che abitano la Turchia. Questa prassi, divenuta ora proposta programmatica per il paese, ha sempre fatto parte del suo modo di agire e di trasformare anche il suo stesso partito, il CHP, da quando ne fu eletto leader nel 2010. Da capo di un partito che nel corso dei suoi cento anni di storia si è anch’esso reso protagonista di discriminazioni e azioni repressive contro le comunità musulmane, cristiane, curde, alevite (etc.) della Turchia, in un discorso in Parlamento ha elencato e “chiesto helallik” per queste azioni intraprese dal CHP nel passato.
A questa prima parte, di richiesta dell’helal, ha fatto poi seguire la seconda, necessaria al completamento di ciascun helalleşme: una serie di visite per “ricevere l’halal” da parte delle varie comunità marginalizzate. Dal villaggio curdo di Roboski nell’estremo sud-est turco (che subì un bombardamento delle forze aeree turche, formalmente contro il PKK, che uccise 34 civili), alle persone che persero il proprio lavoro nelle istituzioni pubbliche, solamente per il fatto di essere musulmani, nel contesto del golpe incruento del 28 febbraio 1997, realizzato per riaffermare il laicismo dello Stato.
A questi gesti dal forte valore simbolico, il CHP ha aggiunto nei suoi programmi una serie di proposte concrete, volte a tutelare la memoria di questi drammi, ma anche a soddisfare alcune delle richieste di riconoscimento di diritti culturali e d’identità avanzate dalle minoranze.