L’Italia, come molte realtà occidentali, ha subito l’influenza, se non la fascinazione, del modello consolidato statunitense.
L’Italia aveva abbandonato il bipolarismo forzato già a fine Ottocento – inizi Novecento, grazie allo sviluppo di sensibilità difformi dal liberalismo classico di Giolitti o Croce. Si andava dal liberalismo con caratteristiche sociali di Gobetti al socialismo “liberale” di Rosselli, dal riformismo socialista di Matteotti all’intransigenza rivoluzionaria di Gramsci, dal radicalismo di Sacchi al repubblicanesimo di Bovio fino all’anarchismo di Malatesta.
Dalla liberazione dal nazifascismo in Italia, che festeggeremo il 25 aprile, l’Italia non ha più vissuto fino agli anni ‘90 l’impostazione “destra-sinistra” in maniera marcata. La Democrazia Cristiana, va detto, sfumava moltissimo col suo grande centro. Ma anche a destra e a sinistra c’erano moltissime sfumature.
La sinistra costituita dal Partito Comunista Italiano di Togliatti e Berlinguer era diversa, come soluzioni alle istanze, rispetto a quella del Partito Socialista Italiano di Nenni, Craxi, Lombardi e Pertini. A destra della Democrazia Cristiana, il Partito Liberale Italiano di Einaudi e Malagodi proponeva, alle stesse istanze, soluzioni diverse rispetto alla Destra Nazionale di Covelli o al Movimento Sociale di Almirante.
Dalla svolta secondo-repubblicana in poi, con l’abbattimento – politicamente lecito o illecito, ognuno valuti secondo la propria sensibilità – delle identità politiche storiche su cui si è fondata la Resistenza italiana e la Repubblica, qualcosa è cambiato.
Non c’è più stata una scelta in ragione di una visione. La politica ha scelto di dividere il campo come tra due mezzadri. Ciascuna delle due parti ha sempre agitato la superiorità, la moralità, la competenza rispetto agli altri. Intere generazioni sono cresciute con l’immaginario per cui da un lato c’è il bene e dall’altro c’è il male.
Nel frattempo, “Francia o Spagna purché se magna”. Così gli eredi di Matteotti, Craxi e Pertini devono andare con gli eredi di Togliatti, Gramsci e Scalfaro perché se no “non sono di sinistra”. Così gli indipendentisti di Miglio devono stare con i centralisti nazionali eredi di Almirante e Rauti perché se no “vincono i comunisti”.
Ogni volta, qualcuno ha cercato di riportare la politica al centro. Ci provò Segni con il suo “Patto per l’Italia” che non fu molto fortunato. Ci provò Casini con l’Udc nel 2008 e, con Monti, nel 2013. Ci stava riuscendo il PD, grazie alla sua “centralizzazione”, nel 2018 con la nascita di LeU. Ci stava riuscendo il Terzo Polo.
Qui siamo all’oggi. Ed è con il qui e l’adesso che dobbiamo fare i conti. Sempre tenendo conto dell’evoluzione storica.
Il Terzo Polo ha due componenti forti dipinte specularmente rispetto a ciò che sono in realtà. La componente “Azione” dipinta più a sinistra ma concretamente più a destra, e la componente “Italia Viva” dipinta più a destra ma concretamente più a sinistra.
È noto infatti che Azione abbia attinto, e miri ad attingere ancora, a Forza Italia. Come è noto che Italia Viva, benché spinta dall’altro lato dalle forze che si autoincensano di centrosinistra, continui ad avere dialoghi e collaborazioni con esponenti moderati di quel campo.
Il Terzo Polo nasce come una speranza per gli elettori: non di vedere una forza liberale, ma di vedere un campo laico, plurale e riformista.
Rispetto all’annacquato progressismo corporativo e consociativo di certo centrosinistra, al conservatorismo marcato di un certo centrodestra e all’assistenzialismo populista di certi trasversali, il terzo polo rappresentava, e rappresenta tutt’ora, una possibile alternativa laica, con due anime. Quella più a destra, che prende i pezzi di Forza Italia, che ha un’impronta fortemente liberal-popolare. Quella più a sinistra, che per esempio ha presentato il primo ddl sul matrimonio egualitario di questa legislatura e che ha sostenuto nella scorsa il ddl Nencini sul centenario di Matteotti (ripreso dalla senatrice Segre), ha una declinazione più liberal-sociale.
Era preventivabile che una fusione “a freddo”, senza un lungo periodo di decantazione, riflessione e con leaderismi e protagonismi forti, si sarebbe schiantata alla prima curva. Insomma, li vedreste insieme, dall’oggi al domani, degli ex DS come Scalfarotto e Bellanova e degli storici ex forzisti come Gelmini e Carfagna? Era ovvio che la promessa elettorale del partito unico dei liberali fosse squisitamente velleitaria. Ma avrebbe potuto essere percorsa questa strada, nel medio e lungo periodo.
Ma si sa, la gatta frettolosa fa i micini ciechi. Una personalità forte e accentratrice come quella di Calenda vuole ovviamente dettare una linea e un tempo. Ma il dirigismo aziendalista in politica, si sa, non funziona. Porta simpatia, ma poi trionfa la politica. Così la grande retorica popolar-pariolina di Calenda ha portato frutti eleggendo di più tra le file di un gruppo dirigente politicamente più solido: quello di Italia Viva.
È davanti agli occhi di tutti: Calenda ha disinnescato mediaticamente l’odio verso Renzi indirizzando l’attenzione dell’opinione pubblica al contenuto politico di Italia Viva, oltre che a quello di Azione.
Il terzo polo, quindi, deve rimanere. Non come partito politico: altrimenti, come detto in maniera efficace in un titolo di questa testata, più che polo diventa un palo.
Il terzo polo, al netto dei leaderismi, da sempre deleteri per l’offerta politica, può essere la coalizione-composizione di approdo per tutte le componenti laiche. E non solo Liberali.
Repubblicani, Socialisti, Socialdemocratici, Popolari laici, Liberali. Il terzo polo può essere ancora uno spazio fondamentale per riportare la Politica nella politica italiana. Una Politica laica e plurale forte dell’eresia riformista, che troppo manca all’Italia.
La speranza del terzo polo non è una speranza dei liberali. I liberali sono ovunque. Ci sono nel PD, soprattutto ora che con la segreteria di Elly Schlein la visione politica sarà molto “obamizzata”. Ci sono in Più Europa, in Forza Italia, anche nella Lega.
La speranza del terzo polo è per tutti coloro i quali vogliono fare Politica convintamente, secondo i basilari principi laici. Per garantire la sopravvivenza di questo spazio, la cui breccia è stata creata nel 2019 con la nascita di Italia Viva, servono tre cose.
La fine del trasformismo dei vertici, che saltano da Monti a Gelmini, passando da Zingaretti, Letta e Bonino. Il superamento dei leaderismi “onnipotenti”, che hanno caratterizzato le stagioni più tristi e ridicole della politichetta italiana con le alleanze “sotto il nome di Tizio” o “contro Caio”. La costituzione di un tavolo di dialogo e collaborazione permanente con tutte le forze, anche minori ed extraparlamentari, dello spettro laico: socialisti, repubblicani, liberali, socialdemocratici, radicali.
Quest’ultimo è il passaggio fondamentale per permettere crescita, sviluppo dei temi e condivisione di visioni. Soprattutto, un tavolo plurale di voci sagge e voci giovani, riprendendo quella che il compianto direttore di Mondoperaio, Luigi Covatta, chiamava “alleanza nonni – nipoti“.
È una speranza. Sempre che i protagonismi in Azione e Italia Viva non cerchino di distruggerla.