Anna Kapustina/Pexels
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LA TRAGEDIA E L’UMILIAZIONE: IL MARACANAZO

6 anni fa si disputava il mondiale di calcio in Brasile, dove i padroni di casa hanno subito la famosa sconfitta per 7 a 1 contro la Germania. Un’innegabile tragedia sportiva, certo, ma non è stata la prima volta nella storia della Seleção che una tale umiliazione è andata in scena. Il teatro era il Maracanã. L’atto era la finale di un mondiale in casa. L’epilogo è sconcertante.

Nel 1950, dopo 12 anni di assenza causata dalla Seconda Guerra Mondiale, ritorna in scena il campionato mondiale di calcio. Il Brasile, da padrone di casa, cerca ancora la vittoria del massimo torneo internazionale. Questa volta sembra essere l’occasione propizia, vista la caratura dei giocatori e la vittoria nell’anno prima della Copa América. 

Il mondiale brasiliano va in scena con una formula unica: 16 squadre partecipanti si dividono in 4 gironi da 4 squadre, i vincitori di ognuno vanno a formare un girone finale, da cui emergerà il vincitore. 

Il Brasile non smentisce le aspettative, e supera agilmente la prima fase con due vittorie (contro Messico e Jugoslavia) e un pareggio (contro la Svizzera). A qualificarsi al girone finale si aggiungono Spagna, che supera un’Inghilterra favoritissima, Svezia, che esclude l’Italia campione del mondo uscente, e un fortunato Uruguay, a cui basta vincere contro la modesta Bolivia per passare il turno, visto il ritiro di Scozia e Turchia dalla competizione. 

Il Brasile è sempre più determinato e nel girone finale asfalta i suoi primi due avversari. Contro la Svezia finisce 7 a 1, contro la Spagna i gol sono 6. L’Uruguay invece compensa le lacune tecniche con buon cuore, coraggio e freddezza. Con la Spagna va in scena un divertente pareggio, acciuffato dall’Uruguay al 72esimo con il suo capitano, Varela. Contro la Svezia è il bomber Óscar Míguez a siglare una doppietta che permette la vittoria finale per 3 a 2.

Questo porta la terza giornata dell’ultima fase ad essere una finale particolare. Brasile e Uruguay si affronteranno al Maracanã, ai tempi lo stadio più capiente al mondo, per decretare il vincitore del mondiale. Il Brasile ha il vantaggio iniziale dalla sua parte data dai punti in classifica, per cui potrebbe anche solo pareggiare per trionfare, oltre al vantaggio dello sfegatato tifo dei propri connazionali. 

E’ una vigilia in cui filtra uno spensierato ottimismo carico di arroganza per il popolo brasiliano. La vittoria finale, considerando il più umile avversario, sembra a un passo. Vengono già stampate e vendute magliette celebrative per la vittoria, e la mattina della partita viene improvvisato un carnevale celebrativo per le vie di Rio de Janeiro. Persino i giornali locali davano per già vinta la competizione. Emblematico dell’alterigia è poi il discorso pronunciato a inizio partita a squadre schierate dal prefetto del distretto federale Ângelo Mendes de Morais, che affermò:

«Voi, brasiliani, che io considero vincitori del Campionato del Mondo. Voi, giocatori, che tra poche ore sarete acclamati da milioni di compatrioti. Voi, che non avete rivali in tutto l’emisfero. Voi che superate qualsiasi rivale. Siete voi che io saluto come vincitori!»

Il 16 Luglio 1950 la partita viene osservata da 200000 spettatori, un numero record mai più ripetuto nella storia, dei quali solo qualche centinaio tifa Uruguay. Il primo tempo vede il Brasile attaccare senza sosta, senza però riuscire ad incidere. Dopo due minuti dalla ripresa, Ademir crossa al centro per Friaça, che porta in vantaggio il Brasile. Lo stadio è febbricitante e in festa, ma gli uruguagi non mollano, e acciuffano il pareggio grazie al gol del forte regista Schiaffino. 

Il pareggio va ancora bene al Brasile, ma nell’aria si comincia a respirare la paura di una possibile rimonta. Al 79’, Ghiggia corre sulla fascia palla al piede. Il portiere brasiliano Barbosa, vedendo 3 avversari in area, accenna un uscita allo scopo di bloccare un possibile cross dentro. Ghiggia sfrutta questa intuizione e calcia direttamente in porta nel lato sguarnito da Barbosa, ed è 2 a 1. La rimonta si è concretizzata e lo stadio cala in un silenzio assordante. Inutili gli sforzi negli ultimi 10 minuti dei brasiliani, al fischio finale a trionfare è l’Uruguay. 

«Solo tre persone sono riuscite a zittire il Maracanã. Frank Sinatra, Papa Giovanni Paolo II e io»

Alcides Ghiggia

L’entusiasmo e l’arroganza si sono spenti come un fuoco, lasciando spazio al freddo sconforto dell’intera nazione. 10 persone tra gli spettatori sono state colte da infarto al fischio finale, in due si sono suicidati buttandosi dagli spalti, in molti hanno accusato un malore. La sfarzosa cerimonia di premiazione programmata per il Brasile fu cancellata, lasciando il posto ad un pietrificato Jules Rimet, presidente della FIFA e inventore della competizione, che consegna la coppa agli uruguagi e si limita ad una sobria stretta di mano di congratulazioni, senza proferire parola. Non fu neanche suonato l’inno nazionale, poiché la banda era stata istruita a suonare solo quello brasiliano. 

Chi per lo sconforto, chi per scommesse perse, diversi brasiliani si tolsero la vita. Alla finale seguirono 3 giorni di lutto nazionale. Il bilancio finale recita 90 morti, di cui 34 suicidi e 56 morti per arresto cardiaco. Il portiere Barbosa fu preso come capro espiatorio dall’intera nazione e mai perdonato. 

Dopo quella partita ci fu una vera rivoluzione nella Seleção, che non giocò per due anni consecutivi. Venne cambiato il colore della divisa da bianco blu alla nota verde-oro. 

Il Maracanazo rimarrà un’indelebile pagina della storia del Brasile. Paragonata addirittura a Hiroshima, la tragedia è totale per un paese che ripone nel calcio una passione smisurata. Omaggio all’Uruguay per averci creduto fino in fondo e non aver ceduto alla paura dell’assordante pubblico di casa. Le circostanze hanno reso loro un’impresa ancora più grande, tanto quanto il silenzio dello stadio più grande al mondo intriso di delusione.

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