LA TRAP SPIEGATA AI BOOMERS

1 Dicembre 2020

La definizione di arte è da sempre oggetto di dibattito. C’è chi crede sia definita dalla tecnica dell’artista, chi dal messaggio nascosto fra le righe dell’opera, chi dall’equilibrio di entrambi gli elementi e c’è anche chi non si pone il problema. Sembra impossibile arrivare ad una definizione univoca, eppure il filosofo italiano Dino Formaggio sembra esserci andato molto vicino. “L’arte è ciò che gli uomini chiamano arte”. Definizione che può sembrare ad un primo impatto semplicistica, ma che nella realtà dei fatti racchiude in sé l’intera essenza della potenza concettuale.


L’arte è definita intrinsecamente dal contesto che le sta intorno. L’opera Fontana di Marcel Duchamp ne è un esempio lampante. Lo stesso oggetto che un secolo fa in determinati aspetti rivoluzionò la concezione moderna di arte se oggi venisse posizionato nel bagno di un autogrill probabilmente non attirerebbe l’attenzione di nessuno. L’arte è definita dalle emozioni che genera e le emozioni generate dipendono dal contesto circostante. Per iniziare ad analizzare il concetto di Trap è quindi fondamentale individuare prima i motivi per il quale questo genere sembra oggi far vibrare parte delle anime della Generazione Z.


Prima di continuare è però necessario fare un’ultima premessa. In Italia si tende a definire erroneamente con l’etichetta “Trap” qualsiasi brano rap uscito dopo il 2016. In realtà non bastano determinate sonorità per definirne il concetto, anzi. Il fatto che poi il genere si sia mischiato con altre influenze e abbia contribuito alla nascita del calderone musicale chiamato “Urban” apre tutto un altro capitolo che, per il momento, lasciamo da parte. Per capire a pieno la Trap bisogna prima indagarne le radici filosofiche. “Trap” è un’attitudine, un modo di interpretare il mondo. Un insieme di parametri che se accostati sono in grado di formare un’immagine ben definita.


La prefazione brillantemente scritta dalla giornalista Marta Biaggione di “Sono io Amleto”, primo libro pubblicato da Achille Lauro, può aiutarci nel delinearne i tratti principali.

“La trap è una cultura chi ci introduce a un altro tempo della vita, non più fondato sulla durata ma sull’effimero […] Mentre inneggia a droghe e brand di lusso li svuota di senso, e intanto che narra l’ascesa dal nulla svela la disfatta in sè di un sistema […] Sbattendoti in faccia banconote Gucci, Luis Vuitton e Lamborghini dissacra le icone dell’alta borghesia”

Da questa definizione è facile comprendere il motivo dell’astio delle generazioni più adulte verso questa cultura: si tratta di una provocazione (e molte volte pure inconsapevole).

Come spiegato da Rancore nell’intervista a Esse Magazine, i giovani artisti che cercano rivalsa nello sfidare la società di oggi hanno due modi per farlo: tentare di demolirne le fondamenta ridando dignità alla parola e all’arte o dimostrare di poterla sconfiggere diventando ancora più materialisti di essa. Chi percorre il filone Trap punta nettamente sulla seconda via.
Contrariamente a quanto si pensi, la Trap cela quindi un forte messaggio, anche se non esattamente in linea con gli apparenti canoni morali di oggi. La Trap mostra l’abisso, il mondo per quello che in parte è, generando inevitabilmente sdegno in chi ha paura di guardare giù.

La prefazione si conclude poi con:

“Zero politica, zero impegno. Eppure una fiamma, la fiamma della giovinezza, articola un pensiero filosofico: una sorta di neoesistenzialismo inconsapevole, il colmo del nichilismo.”

I giovani sono vuoti e tristi, quindi i loro testi sono vuoti e tristi.

Questo concetto è espresso incredibilmente con efficacia nel verso scritto da Ketama126 in “Rehab”:

“Parlo sempre di droga perchè non facciamo altro, non ho contenuti perché sono vuoto dentro”

Certo, è una realtà che per quasi tutti i giovani è molto estremizzata, ma sarebbe un grave errore non riconoscervi all’interno un fondo di verità. La nostra generazione è intrappolata in un mondo di vecchi e per vecchi, un mondo che ci spara alle gambe e si lamenta pure se poi ci lamentiamo.

“Il problema dei ragazzi non è la droga”

cantano gli Psicologi in “Futuro” ed è proprio questo il passaggio fondamentale che i “grandi” fanno molta fatica a comprendere fino in fondo, proprio perché nati in un’altra epoca. Eppure noi giovani la “fiamma della giovinezza“ la abbiamo eccome, anzi è proprio la mancanza di opportunità nel liberarla che ci crea tutto questo disagio generazionale.

E’ molto facile accusare i nuovi artisti di avere una pessima influenza sui giovani, ma ci si è mai chiesti perché i loro prodotti riscuotano così tanto successo?


Incolpare il movimento Trap delle problematiche dei ragazzi è sostanzialmente invertire la relazione causa effetto. Questa nuova tendenza artistica deve essere presa per quello che è: un grido di rabbia. Si tratta sostanzialmente di ammettere che un problema c’è, eccome se c’è.

“Fibra è il motivo se rappo, mica il motivo se spaccio”
Massimo Pericolo, “Star Wars”


Da sempre l’arte e gli artisti sono protagonisti di comportamenti estremi e per certi versi “sbagliati”. Da sempre la maggior parte del pubblico sa però distinguere cosa è reale da cosa non lo è, la metafora dall’esempio, la persona dal personaggio. Amare “Shining” o “Scarface” non ti rende un assassino o un criminale. Non è la trama a fare grande un libro, bensì lo stile con la quale è scritto.

Attaccare Emis Killa per aver scritto “Tre messaggi in segreteria”, storytelling a tema femminicidio narrato tuttavia dalla prospettiva dell’assassino, è semplicemente sbagliato. Anzi, probabilmente quel brano è la dimostrazione che per smascherare la follia umana l’arte può essere molto più efficace di cento slogan sui social. Certo, un approccio non esclude l’altro. E’ importante battersi e darsi da fare per debellare il prima possibile questo gravissimo problema sociale. Censurare però un pezzo di società fingendo che non esista non è la soluzione. L’arte serve proprio a smuovere le coscienze individuali, non (solo) ad educare. Bisogna avere il coraggio di guardare in mezzo al buio per poterlo vincere. Servono però gli strumenti giusti per affrontarlo.

Se è vero che l’arte non deve avere freni morali è comunque vero che in generale una sua influenza la possa comunque avere. In questo frangente però è estremamente necessario il ruolo della figura genitoriale. Sarebbe impensabile infatti censurare ogni tipo di libro, film o videogioco con qualche accenno di violenza o vita sregolata. Diciamocelo, se bastano 3 minuti di canzone o mezz’ora su Netflix per deviare per sempre la concezione della vita di tuo figlio probabilmente non hai fatto un gran lavoro nella sua educazione.


“Quei ragazzini giocano a Gomorra e i genitori a darsi addosso”
Psicologi, “Futuro”


“Trap” è quindi sostanzialmente uno dei modi con cui la generazione Z si è ritrovata a chiamare il senso di vuoto che la accumuna. Quello più tribale, viscerale e in un certo senso fine a sé stesso. Il fatto però che i contenuti siano vuoti non significa che la poetica sia vuota di contenuti, tutt’altro.


Siamo quindi circondati di artisti incompresi che inondano Youtube e Spotify di capolavori musicali? Assolutamente no. La maggior parte sono copie di copie e non hanno nulla di artisticamente rilevante, come accade in ogni genere musicale del resto. Una buona percentuale dei prodotti è spazzatura.

La Trap è semplicemente il genere musicale che doveva socialmente e filosoficamente esistere oggi, ed è proprio questo il motivo per la quale in questi anni ha trovato terreno fertile per sbocciare. Ha destrutturato i principi cardine dell’hip-hop “Old School” ricomponendoli in qualcosa di più adatto a raccontare il presente. Ha posto le basi nel 2016 per l’esplosione in Italia di artisti come Tedua, Rkomi, Izi, Ernia o la Lovegang che hanno saputo riassemblare le macerie costruendo qualcosa di propositivo e veramente “bello”, nel pieno senso artistico del termine.

In questo ultimo periodo il movimento Trap sembra peraltro in una fase calante che lo porterà sempre di più a consolidarsi come semplice influenza musicale, dando vita tuttavia a fenomeni interessantissimi come il rap-cantautorato del genovese Bresh o dei romani Gianni Bismark e Franco126.


Non c’è aspettarsi che alla generazione dei nostri genitori piacciano i nostri stessi artisti. Dovremmo semplicemente smetterla di cercare approvazione e legittimazione nelle generazioni precedenti. Se capissero a pieno la rivoluzione, probabilmente non sarebbe stata una vera rivoluzione. Le loro anime sono cresciute vibrando con frequenze diverse dalle nostre, sempre per via del diverso contesto.


La Trap deve essere presa per quello che è: un beffardo tentativo di sovvertire lo squilibrio generazionale provando a battere il sistema giocando al suo stesso gioco. Una sorta di grido che è fondamentale non si perda nel vuoto, ma che invece ha il compito di dare la spinta ad una generazione intera per rimboccarsi le maniche e rendere questo mondo così complesso e incerto il posto che vorremmo fosse per i nostri figli.

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