Secondo i dati Eurostat l’inflazione nell’area dell’euro a giugno ha raggiunto quota 8,6%. La BCE ha scelto di aumentare i tassi di interesse per la prima volta dal 2011, ma una stretta monetaria precoce potrebbe innescare una recessione nei paesi più fragili.
INFLAZIONE RECORD
Secondo i dati Eurostat l’inflazione nell’area dell’euro a giugno 2022 ha raggiunto quota +8,6%, in aumento rispetto al +8,1% di maggio. A pesare sul dato è l’andamento dei prezzi dell’energia (+41,9% su base annua, in aumento rispetto al 39,1% di maggio), mentre l’inflazione core si attesta al +3,7%. Cibo, alcol e tabacco registrano un +8,9% (rispetto al +7,5% di maggio), i beni industriali non energetici il +4,3% (contro il +4,2% di maggio), mentre i servizi il +3,4% (leggero calo rispetto al +3,5% del mese precedente). La guerra in Ucraina è stato solo l’ultimo tassello di uno schema inflazionistico avviatosi già nel 2021, con le prime riaperture post lockdown. A pandemia ancora in corso, i paesi europei si sono trovati a dover gestire il ritorno di un conflitto armato nel cuore del continente. In aggiunta, uno dei due paesi direttamente coinvolti alla vigilia delle ostilità risultava essere il principale partner energetico. Così crisi energetica, umanitaria e alimentare hanno dato vita ad una tempesta perfetta che nel migliore dei casi consegna uno scenario di stagflazione, dinanzi al quale nessun banchiere centrale vorrebbe mai trovarsi.
LE MISURE DI BCE E FEDERAL RESERVE
A fine giugno si è tenuto a Sintra l’ECB Forum on Central Banking 2022, al quale hanno partecipato Christine Lagarde (BCE), Jerome Powell (Federal Reserve) e Andrew Bailey (Bank of England). Il tema predominante di questa edizione è stato l’aumento del livello dei prezzi. L’Eurotower è pronta ad aumentare il tasso di rifinanziamento principale di 25 punti base il 21 luglio e potrebbe aumentarlo di altri 50 in settembre, seguendo lo stesso orientamento della Federal Reserve che ha alzato i tassi di 75 punti base a giugno. Dai verbali della riunione di giugno emerge che la banca centrale americana potrebbe effettuare un’ulteriore stretta a luglio, con un nuovo rialzo dei tassi di 50 o 75 punti base. Dalle minute pubblicate si evince che la lotta all’inflazione è la priorità assoluta, anche a costo di innescare una recessione. Se l’inflazione americana (+8,6% a maggio) da tempo rispecchia un surriscaldamento dell’economia, l’aumento dei prezzi europeo è principalmente importato e trainato dalla volatilità dei beni energetici. L’economia europea potrebbe non essere pronta a camminare da sola, a fare a meno dell’ombrello di sicurezza monetario garantito dalla BCE. Se nel breve periodo l’inflazione riduce il valore reale dei titoli di debito pubblico non indicizzati, nel lungo periodo l’aumento dei tassi di interesse potrebbe innescare una nuova crisi del debito sovrano. Contestualmente, l’aumento del livello dei prezzi potrebbe compromettere l’efficacia dei Piani Nazionali di Ripresa (Next Generation EU).
ALLO STUDIO UNO SCUDO ANTI-SPREAD
La stretta monetaria annunciata dalla BCE sta facendo crescere i timori per una nuova crisi del debito sovrano. Per questo a Francoforte si sta studiando l’introduzione di uno scudo anti-spread in grado di contenere il rischio di frammentazione del mercato dei bond sovrani. Se ne era parlato anche in uno dei panel del Global Policy Forum 2022 (promosso da ISPI, Bocconi, OCSE e T20 Indonesia) con ospite Livio Stracca, Vicedirettore Generale Macro Prudential Policy & Financial Stability della BCE, che sollecitato sulla questione aveva in realtà glissato, mettendo in chiaro la delicatezza politica del dossier. Il presidente della Bundesbank, Joachim Nagel, ha già espresso le sue perplessità. Secondo i falchi uno strumento di questo tipo dovrebbe essere attivato solo se il meccanismo di trasmissione della politica monetaria dovesse risultare compromesso o, comunque, andrebbe introdotto imponendo severe condizionalità fiscali ai paesi beneficiari. In sostanza, tale scudo ricalcherebbe il funzionamento delle Outright Monetary Transactions annunciate (e mai attivate) da Mario Draghi nel 2012. All’epoca fu sufficiente il solo effetto annuncio per contenere gli spread e salvare l’integrità dell’area dell’euro.
COME POTREBBE FUNZIONARE
La BCE ha posto fine al quantitative easing, il programma di acquisto di titoli pubblici sul mercato secondario (Asset Purchase Programme), tuttavia continuerà a reinvestire i proventi dei titoli a scadenza detenuti nell’ambito del Pandemic Emergency Purchase Programme (PEPP). Se il livello degli spread dovesse raggiungere soglie insostenibili, la BCE potrebbe interrompere gli acquisti di titoli a minor rendimento (ad esempio i Bund tedeschi o gli Oat francesi) e dirottarli sui titoli a maggior rendimento (ad esempio i Btp italiani o i Bonos spagnoli), in modo da riequilibrare il mercato, proteggere i paesi più fragili potenzialmente esposti ad attacchi speculativi e ridurre il loro rischio di ridenominazione, ovvero di default, uscita dall’euro e pagamento dei debiti in altra valuta.