Su queste frequenze, nemmeno molto tempo fa, si discorreva di come negli Stati Uniti non esista un concetto di “Epica”, che irrora invece la storia europea e italiana, su tutte. Si è evidenziata anche però la necessità di averne una, o di costruirsela, quanto meno, affidando, là dove possibile, allo sport o all’arte questo ruolo.
Il fatto da cui si vuole partire, in virtù di questa premessa, è la straordinaria contraddizione che impregna il sistema d’oltreoceano. Un ambiente che ci viene continuamente descritto, e attenzione, probabilmente non senza argomenti, come il terreno più fertile per la fantomatica “scalata sociale”, ma che puntualmente è capace di vacillare pericolosamente per questioni che da sempre non ha mai voluto affrontare fino in fondo.
Un passo avanti, due indietro
L’epidemia da Coronavirus degli ultimi mesi ha colpito dove fa più male, metaforicamente e fisicamente parlando. Ha messo ulteriormente in risalto la precarietà del sistema sanitario americano, dimostratosi “USA e getta”, con il suo quanto mai discutibile impianto sulle assicurazioni private. Ad aggiungersi a ciò è di nuovo risorta la questione razziale, con I fatti di Minneapolis e le conseguenti manifestazioni in tutto il paese, che hanno tenuto banco a livello mondiale nell’ultimo periodo.
Su questi due campi penso si possa dire, senza opposizioni, che quattro anni di amministrazione Trump siano stati più che sufficienti a debellarne senza pietà otto di governo Obama. Quello che l’ex senatore democratico aveva faticosamente cercato di costruire in otto anni, segnati, tra gli altri, anche da un premio Nobel per la Pace, è stato prontamente stroncato dalle politiche isolazionistiche del magnate repubblicano. Che ciò sia da imputare allo scarso spessore del “retro le quinte” di Obama o alla prorompenza effettiva delle idee di Trump non vuole essere argomento di questo testo.
Il concetto chiave per l’immagine USA a livello mondiale, su cui essi basano la gran parte della loro egemonia economico-commerciale, è l’alimentazione del “Sogno Americano”. Ogni cittadino, per propria competenza, può avere accesso incondizionato alla scalata sociale. Ognuno può essere un eroe, in sintesi. Ma allora la domanda successiva sorge spontanea. Che differenza c’è tra eroe ed eroe? Qual è la discriminante che giustifichi l’adorarne uno in un palazzetto e il soffocarne un’altro con la faccia sull’asfalto?
Black Lives Matter
L’impatto che ha avuto George Floyd sul mondo intero è stato immenso. Ha riempito piazze, scatenato fiumi umani dall’indole quasi sempre pacifica e rafforzato la consapevolezza di tutti che siamo tanti, e tanto diversi, ma di un unico genere umano. Tuttavia in questi giorni mi sono chiesto più volte: cosa sarebbe successo se al posto di Floyd ci fosse stato un Lebron James, un Odell Beckham Jr., un Jay-Z, una Beyoncè?
Se già con Floyd si sono scatenate guerriglie urbane, sfregi ad esercizi e attacchi violenti alle istituzioni, non oso immaginare le conseguenze di un atto simile nei confronti di uno dei suddetti “eroi contemporanei”, che contribuiscono a rendere grande, ancora e sempre, l’America (in Trump’s words…).
Non riesco a capire dove sia la differenza. Non riesco a capire quale sia l’elemento che permetta la distinzione di trattamento, anche e soprattutto all’interno della stessa compagine etnica.
Dovesse essere il livello di visibilità mediatico, lasciatemi dire che sarebbe davvero la peggior porcheria possibile. Trovo ripugnante che negli stadi tappezzati di telecamere si idolatrino gli sportivi, che tra l’altro trovano nella comunità nera le loro punte di diamante assolute, e all’esterno, dove la copertura è sicuramente meno capillare, si assista ad atti come quelli di Atlanta e Minneapolis.
Bow down to the King
E il ribrezzo è ancora più grande pensando che in passato eminenti personalità afroamericane abbiano sfruttato la loro posizione per sensibilizzare e tentare di invertire le tendenze. Parlarono a quelle stesse persone che sui social li avevano osannati in tutte le lingue, e dalle prime file dei palazzi dello sport li avevano inseriti nei loro personalissimi Gotha.
Mi vengono subito in mente, ad esempio, il discorso con cui Lebron James, Dwyane Wade, Chris Paul e Carmelo Anthony, stelle della pallacanestro NBA, avevano aperto la cerimonia di consegna degli ESPYs del 2016.
Oppure il celebre atto di Colin Kaepernick, ex giocatore NFL dei San Francisco 49Ers. In segno di protesta verso I continui soprusi all’America nera, si inginocchiava durante il rito dell’inno nazionale, prima di ogni partita.
In occasione di questi atti di forte valenza simbolica, gli “endorsement”, come li chiamano negli “States”, non avevano tardato ad arrivare da ogni dove. Nel giro di poco tempo però si erano tutti spenti nel nulla, addirittura, come nel caso di Kaepernick, ritorcendosi contro al diretto interessato. Non a caso infatti prima, nel pezzo, ho definito il nativo di Milwaukee EX giocatore. Egli infatti, dal 2017, e in particolare dalla risposta avversa nei suoi confronti da parte del POTUS, Donald Trump, risulta senza contratto.
Quando il troppo “stroppia”
Per questi motivi, francamente, comincia a risultarmi stucchevole la questione “Sogno Americano”, non per il concetto che esprime, ma per il suo metodo di attuazione. Se gli organi governativi, come è giusto che sia, vorranno far leva su questo fattore ancora a lungo, molto dovrà essere cambiato. Trump ha già annunciato una riforma dei Corpi di Polizia. Ma non so per quale motivo, anche qui percepisco che non si tratti effettivamente della variazione definitiva che davvero metterebbe un punto fermo sull’argomento, almeno per un po’.
Quello che andrebbe davvero riformato, visto che in questa sezione di ciò si tratta, è l’approccio verso la cultura e la storia delle comunità latino- e afroamericane.
Quando sento settori di ”America Bianca” (perdonatemi…) ancora denigrare tali identità, penso sempre che all’interno del sistema educativo statunitense debba persistere un problema molto serio.
Ricordiamoci sempre che il bambino, di per sè, non nasce razzista, omofobo, violento, ma gli viene insegnato. Il bambino, quando scopre qualcosa di nuovo, ne vuole sapere di più per stupirsene, e per gustarsi il puro sapore di conoscere. Non chiude la serranda in automatico. Il bambino, quando vede violenza, su qualunque essere vivente, umano, animale o altro, soffre, e non ne gode. Mai.
E inoltre, per quanto gli Americani si sforzino di sventolare il proprio patriottismo prima di ogni evento pubblico, con inni, parate e preghiere, sono convinto che non conoscano bene la propria storia. Per lo meno quella recente. Perchè forse qualcuno dovrebbe ricordare loro che tutto ciò per cui sono famosi positivamente nel mondo, e che gli permette di occupare lo scranno più alto a livello di influenza socio-culturale nel mondo, è saldamente in mano o alla comunità Afroamericana.
Se il Colosso Americano assumesse davvero coscienza della sua storia e del suo sogno, diventerebbe la Terra Promessa che da anni millanta di essere. Ma non solo. Probabilmente anche l’emblema della definitiva scomparsa di quella assurda piaga chiamata razzismo.
Mica male, no?