Romano Prodi, Sandro Pertini, Giulio Andreotti, 1978 - Wikimedia Commons

L’Italia è fatta. Bisogna fare gli italiani

28 Maggio 2023

Sotto la corona di sua maestà sabauda, il 17 marzo 1861, avvenne la nascita del Regno d’Italia grazie alla mobilitazione militare delle truppe piemontesi e delle forze risorgimentali del patriota Giuseppe Garibaldi.

L’intervento bellico non fu l’unico elemento di supporto ai moti nazionali, vi era sostegno alla causa risorgimentale anche da parte degli intellettuali, i quali tuttavia peccavano di una lacuna ancora oggi persistente: un fondamento comune. L’élite risorgimentale era frammentata tra monarchici, repubblicani e persino neoguelfi che auspicavano uno Stato guidato dal Pontefice. Lo Statuto Albertino, concepito nel 1846 per il Regno di Sardegna, divenne il testo costituzionale del Regno d’Italia attraverso una proprietà transitiva di “savoizzazione”: il modello istituzionale subalpino venne applicato alla nuova entità statale.

Solo nel giugno 1946 l’Assemblea costituente eletta a suffragio universale diretto permise la redazione di una costituzione pensata appositamente per l’Italia. Un perno comune dell’intelligenza italiana dell’Ottocento (oppure ‘800, ma con due apostrofi: dell’’800) fu la volontà di stabilire l’italiano fiorentino come lingua ufficiale, un compito difficile affidato all’istruzione pubblica. La lingua italiana fu usata a partire dalla  Prima Guerra Mondiale, quando al fronte diversi uomini di diversi dialetti della penisola dovettero comunicare sotto un’unica bandiera.

Negli anni ’50 del Novecento (in base a cosa hai usato prima, manterrei la stessa scrittura, in numeri o lettere, per uniformità) con l’accesso delle masse al mezzo della televisione, il noto conduttore Mike Bongiorno diffuse l’idioma con i telequiz e programmi come “Non è mai troppo tardi” portarono l’uso dell’italiano nei focolai domestici. È stato necessario quasi un secolo per diffondere l’uso della lingua ufficiale fra la popolazione, tuttora i dialetti costituiscono un mezzo per comprendere il pensiero delle diverse realtà peninsulari, dalla vulgata brusca e meccanica delle valli settentrionali alle spavalde e borgatare espressioni del centro-Italia.

Il fondamento nazionale, poggiando sull’identità di una comunità unita, costituisce la trave portante dell’architettura istituzionale.

“Liberté, égalité et fraternité” è l’iconico slogan dello Stato francese, figlio della rivoluzione di fine Settecento , e che anima ancora lo spirito delle ricorrenti proteste nelle città della Francia.

L’indipendenza statunitense è frutto di un’insurrezione contro la “perfida Albione” che non garantì rappresentanza e libertà alle colonie in America e contro l’eccessiva regolamentazione (vedasi il Boston Tea Party). Dopo circa 250 anni, gli Stati Uniti d’America, una federazione di 50 Stati aventi ciascuno potere su numerosissime questioni cruciali, si reggono ancora sui pilastri dei diritti negativi e del “liberismo economico”.

L’Impero tedesco sorse con l’unità nel 1871, con il Kaiser Guglielmo I e il Cancelliere Otto Von Bismarck, la cui politica si basava su una dicotomia tra espansionismo territoriale e instaurazione di un sistema previdenziale. Quest’ultima policy era volta a diventare la fucina del legame nazionale tra i tedeschi, una prima misura di welfare che avrebbe eguagliato i cittadini sotto l’ala dell’assistenza del governo in temi cruciali come il lavoro, l’istruzione, la sanità e il supporto alle famiglie.

Benito Mussolini: “l’uomo della provvidenza”

Le diverse vicende storiche delle costituzioni di entità nazionali qui sopra indicate hanno caratteri diversi tra loro.

L’Italia del 1861 dovette ancora attendere dieci anni per l’acquisizione del territorio della Santa Sede, cosa che avrebbe creato avversione tra Papa Pio IX e lo Stato italiano. Per decenni ciò che usciva dalle auguste labbra del Vicario di Cristo ebbe un peso pari quasi a quello del Capo di Stato, se non maggiore per via dell’autorità spirituale e della diffusione della fede cattolica.

Solo nel febbraio del 1929 con i Patti Lateranensi, Mussolini Presidente del Consiglio comprese che per avere il consenso delle masse italiane era necessario tendere la mano al clero. Il Duce non era certamente un cattolico osservante, è notissimo il suo ateismo e la ripugnanza per la Chiesa.

La riconciliazione tra Stato italiano e Vaticano è una chiara esplicazione del successo del Partito Fascista, in particolare nel contesto post bellico degli anni ’20: il vento bolscevico dell’est soffiava sulle agitazioni operaie nelle fabbriche settentrionali e la rabbia irredentista dei reduci del primo conflitto mondiale crebbe per le mancate annessioni al territorio italiano previste dal Patto segreto di Londra, contestato (o contestate?) dal Presidente americano Wilson alla Conferenza di Parigi. Nel disordine generale e in un’economia arrancante, un maccheronico giornalista romagnolo marciò nell’ottobre del 1922 per prendere il potere. La forza travolgente di Mussolini era dovuta alla cognizione/intendimento (comprensione vuol dire anche ‘tolleranza, condiscendenza)del popolo italiano nella sua lacuna di identità, celebre infatti la sua massima: “Io non ho creato il fascismo, l’ho solo tratto dall’inconscio degli italiani”.

La mancanza di un insieme di valori comuni ha portato il popolo italiano a cedere al culto della personalità di Mussolini, “l’uomo della provvidenza” capace di dare lustro al paese all’estero con l’invasione d’Etiopia nel 1935-36. La stessa persona che fu amico del cancelliere austriaco Dollfuss e che non batté ciglio sull’Anschluss e che in seguito acconsentì alle richieste di Hitler sull’espansione verso l’est Europa.

L’intuito di Mussolini si rivelò però limitato sul palcoscenico internazionale: la performance bellica italiana nella Seconda Guerra Mondiale fu pessima e costò al leader fascista non solo la carica di Presidente del Consiglio, ma anche la vita.

La nuova polity italiana

L’anno successivo alla fine del conflitto, il suffragio universale diretto premiò l’ordinamento repubblicano e un’Assemblea costituente stipulò un testo costituzionale appositamente per lo Stato italiano. Questi due eventi sono le colonne dell’attuale struttura istituzionale in cui il popolo si rispecchia.

Italia e Germania persero la Seconda Guerra Mondiale, Paese,  quest’ultimo, nel quale si tenne un processo contro i crimini di guerra tedeschi: il tribunale di Norimberga era intenzionato a dimostrare le persecuzioni e le stragi naziste contro le minoranze e sentenziare una condanna per i responsabili delle stragi. Questo fu l’inizio del processo di denazificazione della Germania per, come è consuetudine dire, “fare i conti con sé stessi”. In Italia un evento simile non accade mai: Mussolini e i gerarchi fascisti vennero giustiziati sommariamente e le masse, una volta acclamanti, furono le stesse a scagliarsi violentemente sui loro corpi.

Rammentando una massima di Winston Churchill: “Bizzarro popolo gli italiani. Un giorno quarantacinque milioni di fascisti. Il giorno successivo quarantacinque milioni tra antifascisti e partigiani”. Nel 2022, Ignazio La Russa ha ammesso che in Italia siamo tutti “eredi del Duce”. Dopo la configurazione istituzionale del 1948, l’Italia assistete a una situazione politica caratterizzata da crisi di governo e un periodo di terrorismo rosso e neofascista. Per decenni questo clima non destò problemi, anche dal momento che vi era fiducia nella classe politica. La Democrazia Cristiana e il Partito Comunista erano i principali contendenti, raccolsero entrambi numerosi consensi sebbene il secondo non governò mai. La partecipazione alla “cosa pubblica” era vissuta con dovere civico e responsabilità, non solo alle urne ma anche nei tesseramenti ai partiti. Anche nell’Italia repubblicana si fecero avanti personalità del calibro di Giulio Andreotti, Bettino Craxi ed Enrico Berlinguer.

Gli anni ’90 segnarono uno spartiacque generale: internazionalmente vennero ridisegnati i confini ad est a seguito del crollo sovietico e il blocco americano trionfò con l’unipolarismo, mentre in Italia i partiti tradizionali dovettero confrontarsi con i processi per corruzione, screditandosi così davanti all’opinione pubblica, e il PCI dovette rinnovare la propria proposta politica. Già alla fine degli ’80 il sistema aveva iniziato a scricchiolare con un costante calo dei consensi nei confronti dei partiti e la scalata di un nuovo soggetto politico avverso alla “partitocrazia” e allo Stato centrale, la Lega Nord.

Il decadimento dei partiti storici generò smarrimento, le associazioni d’interesse che esercitavano lobbying sull’attività legislativa non erano in grado di far valere i propri interessi.

Silvio Berlusconi: “l’uomo della provvidenza del XXI secolo”

Lo spartiacque fu il 1994: la campagna elettorale per le elezioni politiche si era impostata sullo scontro bipolare, gli eredi della DC non erano competitivi e il PCI si scisse nel Partito Democratico della Sinistra e nella Rifondazione Comunista, alleati con i socialisti dell’alleanza progressista. Gli ex comunisti non ebbero l’occasione di guidare un governo nemmeno dopo il tramonto democristiano, e il merito di ciò va all’uomo della provvidenza dell’età repubblicana: Silvio Berlusconi, cavaliere del lavoro e imprenditore milanese nei campi dell’edilizia, dell’editoria e della televisione, oltre che Presidente del Milan.

Il cavaliere meneghino è il padre del centrodestra italiano e il 26 gennaio 1994 annunciò l’iconica e storica scesa in campo davanti alle sue telecamere. Seppe cogliere lo scontento dell’opinione pubblica e lo smarrimento nel quadro politico; perciò, si alleò con  Lega Nord e Alleanza Nazionale, la destra figlia della svolta di Fiuggi del ’93. Il carisma del venditore e il suo excursus professionale caratterizzarono Berlusconi come l’astro nascente in una palude di professionisti della politica pronti a corrompersi per il proprio tornaconto elettorale. Il Cavaliere si presentò come il self-made man non interessato a drenare i soldi dei contribuenti per favorire le proprie tasche. Le sue promesse, costanti nei decenni successivi, erano direzionate all’aumento delle pensioni e all’abbassamento delle tasse.

Il leader forzista; eppure, non era così estraneo alla politica: fu grande amico personale di Bettino Craxi, che in qualità di Premier emanò dei decreti grazie ai quali le trasmissioni del Cavaliere poterono continuare dopo un’interruzione su ordinanze pretoriali. Nel marzo 1994 Berlusconi vinse le elezioni e divenne Presidente del Consiglio, ma la discontinuità si rivelò solo una parvenza e il suo primo governo crollò nel dicembre dello stesso anno. Fino ad oggi, il Cavaliere può rivendicare di aver guidato il governo più duraturo dell’età repubblicana (2001-2005), prima di lui dall’Unità d’Italia ci riuscì solo Benito Mussolini.

Gli anni del governo di centrodestra furono tutt’altro che impostati sul liberalismo di cui il leader di Forza Italia parlò: nessuna liberalizzazione, deregulation o ridimensionamento fiscale e nemmeno il paventato federalismo tanto a cuore alla Lega Nord.

Le differenze con la politica della Prima Repubblica furono i toni: Silvio Berlusconi inaugurò la politica dei “non professionisti”, in contrasto con l’ex classe politica professionale e corrotta. L’approccio con l’elettorato era basato su un linguaggio semplice, ricco di slogan e proposte vaghe. Le boutade erano quasi costanti: un esempio ancora oggi le classiche barzellette del Cavaliere e il suo comportamento maccheronico durante i summit esteri.

Il declino politico di Berlusconi fu caratterizzato da una sfiducia nel suo quarto governo nell’affrontare le conseguenze ancora intense della crisi del 2008, inoltre l’Unione Europea era nel pieno della crisi del debito sovrano. A lui subentrò il “tecnico” Mario Monti e l’appoggio al suo governo lacerò il centrodestra: gli esponenti più a destra fondarono “Fratelli d’Italia”, contrari all’appoggio al governo tecnico.

L’elettorato nel 2013 non indicò né al centrosinistra né al centrodestra la chiara direzione per governare il Paese, emerse un partito anti-establishment come alternativa agli schieramenti convenzionali: il Movimento 5 Stelle. Un altro rintocco per la fine della politica di Silvio Berlusconi fu la condanna per evasione fiscale, con conseguente decadimento da senatore, oltre che dall’iconico titolo di Cavaliere. L’ex Premier non poté candidarsi per sei anni a qualunque carica istituzionale e coordinò il suo partito rimanendo comunque un personaggio politicamente influente, ma dietro le quinte.

“Cambiare tutto per non cambiare nulla”

L’Italia era esausta, come lo è tutt’ora. La situazione socioeconomica peggiora sempre di più e la classe politica si rivela incompetente e trincerata nei privilegi istituzionali. La XVII legislatura (2013-2018) fu lo sfondo dell’accordo tra Centrodestra e Centrosinistra per il governo, percepito come una “collusione” in barba ai rispettivi elettorati.

Emerse il populismo anti-establishment da parte del Movimento 5 Stelle: contro la “casta” e i “poteri forti” rappresentati dai politici interessati alle “poltrone”, dall’Unione Europea e dalle multinazionali. Gli strumenti del Movimento sono la “democrazia diretta” e i “mezzi d’informazione alternativi ai mass media”. Nel centrodestra crebbe la nuova Lega, guidata da Matteo Salvini: dopo decenni di avversione a Roma e alla politica meridionale, il nuovo segretario di partito cercò di riappacificarsi con il Mezzogiorno e di puntare la propaganda sul contrasto all’immigrazione illegale e sull’uscita dall’eurozona.

Queste due nuove forze politiche si rafforzarono, in sintonia con la politica internazionale scossa dalla Brexit e dall’elezione inaspettata di un Presidente americano peculiare come Donald Trump. Le elezioni del 2018 videro il trionfo del M5S e del centrodestra a trazione Lega. Il linguaggio e l’inesperienza politica furono il tesserino da visita del nuovo Parlamento, i nuovi decision maker caratterizzati da una personalità esplicitamente e volutamente avvezza (volevi dire avversa?) alla politica tradizionale, rivendicando il populismo. La composizione parlamentare permise chiaramente un governo sostenuto da una maggioranza pentastellata-leghista. Nell’estate del 2018 prende vita il governo Conte, guidato da un professore “super partes” coadiuvato dai veri burattinai esecutivi: i vicepresidenti Salvini e Di Maio. Il minimo comun denominatore di queste forze fu il concetto di politica, eppure gli screzi su temi importanti persistettero in entrambe: infatti, nelle elezioni amministrative si presentarono separatamente e sulle opere infrastrutturali cruciali rimasero divisi.

Le divergenze vennero a galla pubblicamente nell’agosto 2019 e il governo Conte si dissolse. Il centrodestra si ricompattò completamente ed invocò elezioni, ma il M5S si concesse al centrosinistra per un nuovo esecutivo. Questa decisione dei pentastellati si rivelò un raggiro senza precedenti: l’apparenza di integrità tanto sventolata si è sciolta come neve al sole, l’alternativa al “sistema” si è adeguata a quest’ultimo. Infatti nella XVIII legislatura si assistette ad altre due crisi di governo, confermando il dato sulla durata media di un esecutivo di un anno e sei mesi circa.

Il bisogno perpetuo e l’incognita identitaria

I “grandi proclami”, il “nuovo che avanza”, “l’uomo della legge e dell’ordine”: termini diversi e necessità continue nella storia d’Italia. Ciclici episodi con connotati differenti, ma sempre all’insegna della condanna/critica dello status quo consolidato, che a sua volta si presentò come alternativa ad un altro sistema stabilito.

Certo, accade in tutte le democrazie ed è sintomo di salute istituzionale che una comunità si rinnovi politicamente e culturalmente senza sradicarsi dagli elementi valorosamente ereditati. La differenza tra “l’aggiornamento naturale” e il “cangiante consenso” si evidenzia nella realtà odierna, con diversi esempi, come la posizione italiana sul conflitto in Ucraina: il Presidente Meloni è chiaramente a supporto dell’aggredito ma si è alleata con partiti di governo con legami documentati con l’aggressore russo, oppure in economia con la dicotomia dissonante tra “meno tasse” e un costoso assistenzialismo gravante sulle tasche dei contribuenti (quest’ultima condizione volutamente ignorata).

Insomma, non è chiaro come l’Italia intenda posizionarsi dal momento che non è in sintonia con una sua identità definita, quindi s’affida al politico che pare “tutt’un pezzo”. 

La prefigurazione di Montanelli

Indro Montanelli una volta disse che gli italiani avrebbero goduto di un futuro brillante, mentre l’Italia no.

Un’analisi interessante e dimostrasi vera nei decenni: il popolo italiano non è saldato da una storia comune ed è convenientemente individualista. Quindi gli italiani sono adatti ad assimilarsi in un “calderone multinazionale” per via della mancanza di resistenze nazionali.

Montanelli era certo che i professionisti italiani all’estero avrebbero raggiunto ambienti professionali di alto livello nelle diverse discipline; quindi, prefigurò il fenomeno che oggi viene definito come “fuga di cervelli”. Questa capacità è sia una virtù che un difetto, l’assimilazione istantanea non combacia con un’identità in grado di sostenere una nazione; infatti Montanelli conclude il suo pensiero con l’immagine di un’Italia in declino e destinata a scomparire. 

La componente nazionalpopolare

La memoria popolare indica Sandro Pertini come il Presidente della Repubblica più amato dagli italiani. La sua verve diretta e schietta conquistò l’animo nazionalpopolare, ancora oggi è iconica la sua esultanza ai mondiali di calcio del 1982. Pertini si servì di un linguaggio semplice, non banale e capace di raggiungere le case degli italiani. L’ex Capo di Stato sapeva che la componente nazionalpopolare italiana è molto forte.

Quel “patriottismo da vulgata” riecheggia in occasioni tutt’altro che istituzionali, come per esempio Sanremo o tipicamente i mondiali di calcio. Chiaramente, non si intende denigrare la gioia di una vittoria generalizzandola come rigurgito da stadio; anzi, l’identità collettiva è espressione di libertà.

D’altro canto, uno Stato non può essere scevro dall’ideale comune e non deve fondarsi su sentimenti cangianti: urge perciò determinare una linea politica essenziale sulla quale l’arena politica possa discutere. Quali sono i valori per cui battersi? Quali sono i valori che caratterizzano l’Italia? Domande con risposte vacue o che dividono l’opinione pubblica.

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