Giorgia Meloni 2023 - via Wikimedia Commons

Il primo 17 maggio del Governo Meloni è la sagra dell’ipocrisia

18 Maggio 2023

Come tutti, tutte e tutt* sanno ormai da tempo, il 17 maggio ricorre la Giornata internazionale contro l’omofobia, la transfobia e la bifobia. La data non è stata scelta a caso, poiché proprio Il 17 maggio del 1990 c’è stata la cancellazione dell’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali e la definizione da parte dell’OMS come “una variante naturale del comportamento umano“. 

Negli anni la ricorrenza si è diffusa con un certo successo e oggi viene “celebrata” non soltanto dalle associazioni LGBTQI+ e dai singoli cittadini, ma anche da aziende di ogni dimensione, pubbliche amministrazioni, scuole, università, esponenti politici e cariche dello Stato.

Da diversi anni, ad esempio, il messaggio per il 17 maggio del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella rappresenta probabilmente il punto più alto di questa sensibilità istituzionale: non soltanto perché, come è giusto che sia, Mattarella ricorda sempre oltre all’omofobia e alla bifobia anche la transfobia (cosa che tatticamente sfugge a più di un politico), ma anche per il richiamo ai valori costituzionali cui il Quirinale fa riferimento quando parla della lotta alle discriminazioni che colpiscono le persone LGBTQI+. Mattarella, as usual, promosso a pieni voti.

Non si può dire lo stesso del Governo Meloni, cui va dato atto del tentativo “furbetto” di rigirare la frittata. Facciamo una breve esegesi del testo.

“Nella Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia il Governo ribadisce il suo impegno contro ogni forma di discriminazione, violenza e intolleranza. La tutela e la difesa della dignità di ogni persona è sancita dalla Costituzione ed è una priorità che tutte le Istituzioni, ad ogni livello, devono perseguire”.

La dichiarazione parte a bomba. Peccato che sia in totale contrasto non solo con gli ultimi 10-15 anni di dichiarazioni pubbliche, contenuti social e voti tra Camera, Senato e Parlamento Europeo degli esponenti del governo della Presidente Meloni nel proprio passato politico, ma che sia un approccio completamente diverso rispetto a quello tenuto da Meloni e dai suoi ministri e sottosegretari da quando governano.

Come si concilia questo impegno contro le discriminazioni omotransfobiche con gli attacchi continui alle famiglie arcobaleno? Come si concilia la tutela della dignità di ogni persona con il tentativo di separare le coppie di genitori dello stesso sesso dai propri figli, con buona pace dei diritti dei minori a cui vorrebbero cancellare almeno un genitore? Come si concilia l’impegno delle istituzioni con le circolari di Piantedosi che gettano nell’incertezza giuridica (e quindi amministrativa, burocratica, economica, sanitaria ed educativa) i figli e le figlie di coppie omogenitoriali? Come coniugare la difesa della dignità umana con il continuo allarme che governo e maggioranza lanciano sulla “teoria gender”, contro le persone trans* e anche contro misure minime di civiltà come la carriera alias? Non basta un comunicato stampa striminzito per nascondere ciò che il governo pensa, dice e fa nel quotidiano.

Prosegue il comunicato: “[…]Impegno che questo Esecutivo sta portando avanti con determinazione, anche sul fronte della prevenzione e del supporto alle vittime, a partire dallo sblocco delle risorse necessarie per il rifinanziamento dei centri contro le discriminazioni”.

Come si fa a non vedere la contraddizione evidente tra questo impegno a sbloccare le risorse per i centri contro le discriminazioni e le vere e proprie barricate che la destra (ahimè con la complicità di più di un parlamentare sedicente progressista) contro OGNI proposta di legge contro i crimini d’odio che colpiscono le persone LGBTI+? Vedremo, quando sarà informazione di dominio pubblico, se alle dichiarazioni seguiranno stanziamenti sufficienti di risorse. 

E qui arriviamo all’ultima parte, la più furba: “[…] In questa Giornata rinnoviamo, inoltre, l’impegno dell’Italia in ambito globale affinché la comunità internazionale tenga accesi i riflettori sulle inaccettabili persecuzioni e sugli intollerabili abusi che le persone subiscono in diverse Nazioni del mondo sulla base del loro orientamento sessuale. Discriminazioni e violenze, come ricordato oggi dal Presidente della Repubblica Mattarella, che in più casi sono addirittura legittimati dagli ordinamenti giuridici. Non possiamo voltarci dall’altra parte”.

Benissimo, almeno sulla carta, questo afflato internazionale al richiamo alla depenalizzazione a livello globale delle persone LGBTQI+, che ancora oggi rischiano il carcere in 67 Paesi e addirittura la pena di morte in 10 Stati. Ma questa attenzione globale cozza sia col presente sia col passato di Meloni e dei suoi ministri.

Anzitutto basterebbe ricordare l’adulazione pluriennale di Salvini e Berlusconi e – seppur in tono minore – anche dell’attuale Presidente del Consiglio nei confronti di Putin. Un presidente autoritario che da anni perseguita le persone LGBTI+ nel proprio Paese, da cui arrivano da tempo conferme non solo di censura delle manifestazioni e dei Pride, ma anche di torture e sparizioni forzate. Ma tralasciamo Putin.

Il Governo Meloni non ha fatto niente per condannare e per presentare le proprie osservazioni alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, come invece hanno fatto i Paesi di maggior peso nell’UE, contro le leggi omofobe e autoritarie volute dal governo ungherese di Orbàn – provvedimenti che prendono spunto proprio dalle leggi approvate a Mosca. Stesso discorso sulle cosiddette “zone libere dall’ideologia LGBTcreate in questi anni in Polonia, altro Paese il cui premier è grande amico di Meloni. E sempre il Governo guidato dalla Presidente di Fratelli d’Italia è stato fortemente criticato da una larga maggioranza del Parlamento europeo per la retorica d’odio usata dall’esecutivo contro le persone LGBTI+, in particolare contro le famiglie omogenitoriali.

Torniamo ai Paesi che ancora oggi criminalizzano le persone LGBTI+: a larga maggioranza si trovano in Africa o in Asia e molti di questi Paesi sono a maggioranza di fede musulmana (altri, invece, sono cattolicissimi, cosa che dovrebbe metterci in guardia non tanto su quale fede sia prevalente in un Paese, ma su come gli alti tassi di bigottismo siano sempre connessi ad atteggiamenti discriminatori verso le minoranze).

La questione della fede venne utilizzata, prima nel 2019 e riciclata poi nel 2022, proprio da Meloni in un tweet per il 17 maggio: “Giornata mondiale contro l’omofobia: in tante Nazioni l’omosessualità è ancora considerata reato e, in alcuni Stati musulmani, addirittura punita con la morte. Ma in pochi parlano o condannano ciò e spesso si preferisce fingere di non vedere. Basta ipocrisia, basta persecuzioni”.  

Anche in questo caso possiamo dire: (quasi) tutto bello in teoria, ma la pratica è ben diversa.
Poche settimane fa, sempre nell’aula del Parlamento Europeo, gli eurodeputati della destra italiana si sono opposti ad una risoluzione proprio sul tema della depenalizzazione dell’omosessualità e delle persone transgender alla luce dei recenti sviluppi in Uganda – altro Paese in cui le persone LGBTI+ vengono perseguitate.

Il Governo Meloni, inoltre, ha modificato il Decreto Paesi Sicuri aggiungendo alla lista altri due Paesi che perseguitano per legge l’omosessualità: Nigeria e Gambia. Per i richiedenti asilo provenienti da queste nazioni l’Italia prevede minori garanzie procedurali e tempi più stretti per provare la fondatezza della richiesta di asilo. In pratica rende la vita più difficile a chi scappa da questi Paesi e chiede il riconoscimento di una forma di protezione (status di rifugiato, sussidiaria o forme residuali d’asilo), col rischio di rimpatriare anche persone LGBTI+ in uno Stato in cui vengono attivamente perseguitate.

Oltre la retorica e i reel su Instagram, anche questo primo 17 maggio del Governo Meloni è stato la sagra dell’ipocrisia.

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