Dalla stampa alla radio, dal teatro alla tv, passando per il cinema e l’università, l’ideatore dello “show” all’italiana ha intessuto sartorialmente il suo ruolo d’onore fra i decani del panorama mediatico e culturale nazionale. Benché non sufficientemente severo con il declino dell’offerta televisiva odierna, Maurizio Costanzo ha saputo portare avanti, da “papa buono” dei teleschermi, una vera e propria “rivoluzione tranquilla”, civicamente impegnata e pluralistica. L’ex patron del “5” ha saputo plasmare un nuovo modo d’intendere la comunicazione e il giornalismo attraverso un approccio popolare e una scrittura colta, nonché ricca di tratti che hanno fatto scuola. Vita e opere di un genio della parola.
Quando Bontà Loro e il Costanzo Show hanno visto per la prima volta le luci della telecamera, chi scrive questo articolo non era ancora di casa in questo mondo. Tuttavia, nulla poteva trattenere un momento di sincera commozione nell’apprendere, venerdì, all’incirca verso l’ora di pranzo, la scomparsa di un pioniere iconico della multiforme scena in cui ha operato. “Bonasera, bentrovati e grazie”, “Consigli per gli acquisti” e il richiamo “Boni, boni” sono solo alcune delle locuzioni – sfiorate anche dalla sua riconoscibile inflessione romanesca – che hanno fatto del suo un personaggio inconfondibile anche presso generazioni che la sua televisione ha intercettato e interessato solo in parte. Strano sarebbe infatti raccontare a un ragazzo più giovane del sottoscritto come la stessa persona abbia ideato trasmissioni televisive di folgorante successo, composto il testo di un classico come Se Telefonando muovendo dall’idea di una sigla televisiva e collaborato alla sceneggiatura di Una giornata particolare.
Il secolo lungo di un giornalista poliedrico e di un intellettuale insaziabile
Ebbene, Costanzo è stato Costanzo soprattutto per questo: uomo di cultura – amava Simenon ed Ennio Flaiano, che fu suo maestro e ispiratore, in qualche senso – prima ancora che showman, autore e giornalista di straordinaria poliedricità, ha sfornato ben più di qualche trasmissione, ma inventato un modo di comunicare, dialogare e raffrontarsi ogni sera con italiani più o meno celebri, di ogni estrazione e sfera sociale, professionale e culturale.
Nel “salotto” che per quarant’anni ha trattenuto incollati i telespettatori di Canale 5 fino a tarda notte, convivevano e si confrontavano non solo idee, ma soprattutto uomini e donne. In questo, una sola puntata del Maurizio Costanzo Show avrebbe sbaragliato per efficacia ogni papabile governo di unità nazionale. L’obiettivo genuinamente rivoluzionario della televisione costanziana era, infatti, la costruzione di uno spettacolo che non apparisse mai plasticato, preconfezionato: una scaletta flessibile fatta di convivialità, effervescenza, tête à tête umani e – nel bene e nel male – anche un pizzico di “tv del dolore” facevano dell’“estetica dell’imprevisto” – per usare le parole di Vittorio Sgarbi – la peculiare cifra artistica di un prodotto sempre vivo, dinamico, mai banale. Un armonico consesso d’elementi tali da far sembrare il MCS un nostalgico miraggio, in questi tempi perversi in cui di sole call, meeting, streaming live vive un uomo egemonizzato dai costumi sterili della modernità.
La centralità della parola
Attorno alla “parola”, Costanzo ha non solo tagliato e cucito un vestito mediatico elegante e discreto, popolare e adatto a tutti, ma costruito formati sui quali nessuno avrebbe probabilmente avuto il coraggio di scommettere. La sua tonalità calda e il suo accento ben si prestano alla radio, di cui è allievo e “figlio” spirituale, come ogni buon ragazzo della sua generazione. Sua postazione di lancio è infatti il microfono di Radio1, che nel 1970 si chiama ancora “Programma Nazionale” e decide di affidare a Costanzo e Dina Luce la presentazione del primo rotocalco radiofonico di approfondimento, Buon pomeriggio. La scommessa è già di per sé ardua, perché rappresenta un tentativo pionieristico di fare informazione in orari non coperti dal giornale orario.
Le onde medie ritorneranno in grande stile nell’ultima parte del suo percorso sessantennale, con trasmissioni quali Radio Costanzo Show (RTL 102.5) e Strada Facendo (Isoradio). A questa comune passione, l’appassionato nostalgico delle FM che vi parla deve quantomeno una menzione.
Bontà Loro, o 50 minuti con “i contemporanei”
Il passo verso la tv, per Costanzo, è breve: siamo negli anni Settanta inoltrati e la crisi petrolifera asciuga anche le risorse dell’industria creativa. Dal momento che ancora la Rai opera in regime di monopolio e non può certo permettersi di spegnere il segnale a molti nottambuli, risulta scottante il problema di trovare riempitivi di palinsesto. Fra il film e il telegiornale della notte, sulla Prima rete del servizio pubblico, ecco dunque l’iniziativa di aprire Bontà Loro, una finestra d’“incontro con i contemporanei”, nel contesto di uno studio che definire disadorno sarebbe forse troppo generoso. Per frizzi e lazzi mancano tempo e denaro, perché la sfida di Bontà Loro sta nella qualità della “parola”, nelle interviste e nella raffinatezza della dimensione introspettiva che il gigante buono riesce a ricavare, che l’ospite in poltrona sia Giulio Andreotti, Vittorio Gassmann o Marcello Mastroianni.
Il connubio straordinario fra due geni come Angelo Guglielmi, il vicedirettore di una Rai Uno che non esiste più, e un giornalista all’epoca ancora soprattutto radiofonico non ha ben chiaro il significato del termine talk show nel momento in cui questo visionario esperimento televisivo va in onda per la prima volta. Costanzo stesso, per cui Bontà Loro diventerà battistrada per la televisione privata, racconterà di aver appreso dell’esistenza di questo format negli USA da una telefonata con Ivano Cipriani, critico televisivo del Paese Sera, quotidiano dove lui stesso aveva mosso i primi passi da redattore, ad appena diciassette anni.
And now, ladies and gentlemen…
Il presentatore in questione è – per inciso – lo stesso che, otto anni dopo, si ritroverà catapultato negli studi della CBS, ospite speciale del Late Night w. David Letterman, non il primo ma sicuramente il più fortunato dei late show a stelle e strisce, di cui il Maurizio Costanzo Show di Canale 5 diventerà il più celebre gemello europeo, al pari, forse, degli omologhi tedeschi Kölner Treff e 3 nach 9, lanciati dalla ARD quasi contemporaneamente. Prima ancora che a Letterman, però, Maurizio Costanzo ispira la sua nuova creatura televisiva in fieri a Jimmy Carson, inventore incontestato della tv di parola e per più di trent’anni volto del The Tonight Show, dove per la prima volta – in uno spettacolo televisivo – compare l’orchestra che, sotto la guida di Franco Bracardi e poi di Demo Morselli, diventerà una delle tante cifre iconiche dell’indimenticabile Show.
“Per capire un po’ di noi e un po’ di voi, e insieme, per raccontare l’Italia, quella vera, per capirla, per prenderla un po’ in giro. Lo show è fatto anche di queste piccole grandi cose.”
Maurizio Costanzo in un promo del suo Show.
Il dado è tratto: si parte sulla Rete4 di Mondadori, in prima serata. Un tasto del telecomando dopo, il cavalier Berlusconi sta però lavorando a emanciparsi dalla sua condizione di boss del mattone per diventare il dominus indiscusso della televisione commerciale. A questo scopo, recluta nomi di pregio, come Mike Bongiorno, Corrado Mantoni, il duo Vianello-Mondaini e, al prezzo di onerose contrattazioni, Costanzo, quinta istituzione della televisione ad approdare sul Biscione, ma primo giornalista. Ottenute le debite garanzie, il MCS trasloca su Canale 5 e “reinventa” la seconda serata nei palinsesti. Politici di grido, attori, cantanti, starlette e giornalisti dialogano in un clima frizzante, e le esuberanze del caso aggiungono un tocco nazional-popolare al tutto.
Maurizio Costanzo, l’eclettico scopritore di talenti
Fra le 22:30 e mezzanotte, dopo i programmi del prime-time, i lanci di piano di Bracardi diventeranno il confortante sottofondo della seconda serata di milioni di telespettatori, dal lunedì al venerdì e per più di vent’anni senza interruzioni. Maurizio Costanzo, dall’amato teatro Parioli, un padrone di casa dallo stile e dalle maniere inconfondibili, quasi come il patron di un ristorante accogliente, genuino e familiare a tutti.
Passano gli anni e il Maurizio Costanzo Show diventa un incubatore di talenti della vita televisiva e culturale del Paese: Valerio Mastrandrea, Alessandro Bergonzoni, Giobbe Covatta, Gioele Dix e Dario Vergassola sono solo alcuni dei “destinati a promettente carriera” nati al Costanzo Show e che oggi ancora animano il panorama intellettuale italiano. Giampiero Mughini ed Enrico Mentana sono di casa, da volti di punta di casa Mediaset. Fra coloro che s’illustrano, c’è anche un critico d’arte ancora sconosciuto ai più, tale Vittorio Sgarbi. A raggiungere la fama, sin dal giorno dopo un intervento al Parioli del dottor Gino Strada, sarà anche una neonata organizzazione umanitaria, Emergency, che in appena qualche mese comunicherà di aver raccolto 850 milioni di vecchie lire.
Il Teatro Parioli, tribuna libera dell’Italia contemporanea
Allorché riemergono continui dibattiti su cancel culture e libertà di espressione, è impossibile non ricordare come molte delle trasmissioni radiofoniche e poi televisive ideate e condotte da Costanzo abbiano funto da straordinarie tribune liberatrici della parola pubblica: per avere di ciò un affresco, senza ricorrere ai tanti archivi, è sufficiente pensare alla prima puntata del Maurizio Costanzo Show, dove un’ancora non nota Eva Robin’s (Roberto Coatti, di nascita) evocò la propria esperienza sul tema della fluidità di genere, o allo speciale dedicato, nel novembre 1992, alla drammatica proliferazione dell’AIDS. Tante sono state le tematiche tabù, all’epoca, affrontate sul palcoscenico del teatro Parioli non senza contezza del fardello etico-morale che le opprimeva e del proibizionismo strisciante che inquinava il dibattito pubblico di un’Italia che dai vizi di quegli anni non si è forse mai liberata del tutto.
L’impegno civile contro le mafie
Se dunque la parola, plurale e diretta, è stata per cinquant’anni il pilastro saldo di questa grande architettura televisiva, l’altro non può che trovarsi nell’impegno, essenza delle battaglie condotte da Costanzo sul piano civile prima ancora che politico, fra cui quella contro la criminalità organizzata. In un mondo in cui i media e i social media sono progressivamente diventati il riflesso più osceno della passività e dell’anestesia del popolo, è a dir poco singolare pensare alla potenza icastica di un gesto come appiccare le fiamme alla maglietta con la scritta Mafia made in Italy o di una scelta come quella di invitare Giovanni Falcone al Parioli, per la maratona Rai3-Canale5 in memoria di Libero Grassi, presentata congiuntamente da Costanzo e Michele Santoro.
L’amaro tributo di una battaglia senza precedenti
Pochi ricordano la presenza nel pubblico di quel monumento televisivo di Totò Cuffaro, non ancora Presidente della Regione (tale sarebbe diventato di lì a una decina d’anni) e di quando questi ebbe a contestare l’evento parlando di “giornalismo mafioso” finalizzato a “delegittimare la migliore classe dirigente della DC in Sicilia”.
Invero, è possibile aver rimosso, per una fugace dimenticanza, probabilmente, le allusive offese rivolte da Leoluca Orlando – ex sindaco di Palermo, nonché potente eminenza del Partito Democratico – allo stesso Falcone nel corso di quella trasmissione.
Questioni, quelle sopracitate, che la televisione di Costanzo deve aver somministrato anche a quella fetta di italiani che non aveva ancora votato Cuffaro e Orlando, al prezzo di un attentato con 40 chili di tritolo – fatti esplodere a Roma in Via Fauro il 14 gennaio 1993 – da cui il presentatore dello Show e la sua compagna Maria de Filippi sarebbero usciti illesi per una miracolosa coincidenza. “Questo Costanzo mi ha rotto i coglioni” avrebbe esclamato Totò Riina solo alcune settimane prima. Sono episodi dinanzi ai quali si stenta a credere che la Sicilia sia stata presa d’assedio dalla medesima classe dirigente espressione di Cuffaro e Orlando e che la televisione commerciale possa essere diventata di dominio di Mister “Buon lavoro, Ministro Lavrov” e Mario Giordano.
Costanzo fra potere, politica…
Certo, Maurizio Costanzo è stato anche uno straordinario orchestrale del potere, perché potente a sua volta e dunque non esente dagli aspetti più ruvidi annessi allo status in questione. Con la moglie, ha regnato sovrano sui palinsesti Mediaset anche per un tempo superiore a quanto sarebbe stato opportuno, e pur non ostacolandolo, ritardato il ciclo di modernizzazione dell’offerta del piccolo schermo successivo a quello da lui introdotto. Sarebbe ingeneroso non perdonargli di aver trascorso troppo tempo all’apparecchio con il Gran Maestro Licio Gelli – cosa di cui peraltro poi ammise d’essersi vergognato – e diretto un mattinale sensazionalistico sotto l’egida della Rizzoli piduista.
E aspetti critici
Sicuramente, fra i tanti pregi, è difficile invece non attribuirgli un difetto: l’eccessiva passività per il declino qualitativamente inesorabile della proposta televisiva nostrana. Proposta che lui stesso ha contribuito a plasmare e di cui, forse, non ha intuito le progressive degenerazioni. Di certo, poi, a Costanzo si devono almeno parzialmente le glorie di personalità che, se assenti dalla macrosfera televisiva, non avrebbero forse fatto sentire più di tanto la loro mancanza, ma la cosa meriterebbe un discorso a parte.
…A confronto con la tv di oggi
Nel florilegio di “sciò” odierni, il rialzo della voce e l’accavallamento non sono “strumenti”, pur se discutibili, come lo erano talvolta al Costanzo Show, ma l’argomento da contrapporre a un’intemerata polemica ancor più deplorevole e scadente. Così, la medietà è diventata mediocrità, lo spettacolo avanspettacolo e la caccia al pubblico s’è fatta pretesto per triviali zuffe a reti unificate. Il salotto comodo e accogliente e il teatro hanno lasciato spazio a studi freddi con coreografie posticce dai colori stroboscopici. L’aperto e galante patron di casa è oggi reincarnato in un povero Rubempré che annaspa con tono bacchettone fra i rumorosi schiamazzi di ospiti settari e irricevibili.
Se Costanzo cercava di passare il microfono a chiunque desiderasse intervenire, ad andare per la maggiore oggi è una surreale gara al maggior numero di microfoni zittiti. E pensare che l’Auditel, o chi per questo, c’era anche all’epoca. Gli italiani restavano svegli per guardare il Costanzo perché sapevano che lì sarebbero stati capiti e avrebbero capito quanto vi si discuteva: una zona franca di mutua comprensione, di reciproca intesa. Oggi, al massimo, agli ospiti sono concessi tempo e spazio appena sufficienti per uno uno sfogo, uno psicodramma o una plateale esibizione di tele-populismo che neanche un contenitore d’intrattenimento come Buona Domenica, a parer di chi scrive la ciambella senza il buco di Costanzo, avrebbe sdoganato con tale e tanta nonchalance.
Un esempio è nella persona di Vittorio Sgarbi, primo polemista televisivo nato dalla fucina costanziana: quando apostrofò una preside con l’aggettivo “stronza” e asserì di voler vedere morto Federico Zeri, destò scandalo e saltò più in alto nel trampolino verso la celebrità. Tutte cose che stimolerebbero crasse risate in un redattore di Charlie Hebdo per la loro mansuetudine, e che invece oggi vengono considerate più gravi di trasmettere un servizio sull’alimentazione agli insetti cui l’Europa vorrebbe indottrinarci.
“Non ti voterò mai, ma non parlerò mai male di te”
Nei riguardi delle ambizioni politiche di Berlusconi, Costanzo avrà sempre un misurato scetticismo: il patron del Costanzo Show ha convinzioni di sinistra, guarda con interesse alle battaglie radicali, ma nutre soprattutto preoccupazione per la propria autonomia dall’agenda politica del suo editore. Per questo, si schiererà col fronte dei “contrari” alla “discesa in campo” nell’alto notabilato Mediaset: con lui, Enrico Mentana, Fedele Confalonieri e Giorgio Gori. Mantenendo con tenacità e piene redini un’indipendenza ferma e assoluta, sia nella scrittura e conduzione del suo programma, sia nella direzione biennale di Canale 5.
Quell’epoca aliena in cui i giovani guardavano i talk show…
Una metamorfosi si è prodotta anche nel pubblico, laddove al Maurizio Costanzo Show parlavano anche e soprattutto i giovani, impegnati nell’associazionismo, nel volontariato, nelle piccole grandi imprese di tutti i giorni, mentre la televisione di parola odierna sembra essersi oramai conformata a una progressiva deriva senile, cui replica l’idea dominante che i giovani di oggi siano rappresentati dagli scapestrati di “Ultima Generazione” o dai siparietti della sciùra Ferragni. Caposcuola della tv pop, lo Show non avrebbe mai e poi mai sposato una narrazione così sterile e plasticosa.
Maurizio Costanzo è stato alacremente attivo fino agli ultimi giorni: non è mai venuto meno alla sua devozione all’amato lavoro che “da grande” avrebbe voluto continuare a fare, rispose in più interviste. “Se non disturbo”, con l’abituale postura da galantuomo. Solo a gennaio, aveva accettato con entusiasmo di partecipare al rilancio de L’Espresso contribuendo con una rubrica, oltre a firmare tutti i giorni il suo corsivo per Il Tempo e un appuntamento settimanale sulla storia della tv italiana con i lettori di TV Sorrisi e Canzoni. Ha continuato, infine, a condurre con tutte le forze che gli rimanevano la sua striscia radiofonica sulle frequenze di R101, Facciamo finta che.
Allo scoccare delle 20, “facciamo finta che tutto va ben, che tu sia qui con me” intonava la sigla della trasmissione sulle sempreverdi note di “Se penso a te” composte da Franco Bracardi. Difficile, per una generazione che appena ha fatto in tempo a ritrovarlo in radio e in tv, fare finta che un mito come lui sia ancora qui. Grazie, Maurizio, per tutto e nonostante tutto.