Epic Records, Public domain, via Wikimedia Commons

Minnie Riperton: una storia di musica e amore non quantificabile dal tempo

18 Novembre 2021

Negli Stati Uniti d’America si trova un quartiere della periferia sud di Chicago che in passato ha dato i natali a molte personalità illustri: si tratta di Bronzville, nome che probabilmente non dirà nulla ai più ma che agli appassionati di storia americana e di musica, dirà sicuramente qualcosa.

Questo poco considerato e umile quartiere ha dato le nascite a tanti membri di spicco della storia della comunità afroamericana, distintisi con passione e coraggio in tempi in cui era davvero difficile poter diventare qualcuno di importante per via del colore della pelle. Ma per i nati a Bronzeville nel secondo dopoguerra, nulla era impossibile.

Nel corso della storia hanno avuto almeno un legame con questo quartiere personalità del calibro di Bessie Coleman (la prima pilota di linea nera in assoluto), Gwendolyn Brooks (la prima persona afroamericana a vincere il Premio Pulitzer), attrici come Marla Gibbs e Jennifer Beals nonché figure di spicco della scena musicale Jazz e Soul come Sam Cook (definito in passato ‘il Re del Soul’) e King Oliver (uno dei mentori di Louis Armstrong).

Tuttavia, fra tutte queste figure c’è una cantante che sapeva raggiungere note talmente alte che la sua voce avrebbe potuto essere confusa con un assolo di chitarra o addirittura con un fischio. Da bambina prima e da ragazza poi, studia musica, recitazione e ballo al Lincoln Center di Chicago facendosi strada fra l’indigenza e le difficoltà che la circondavano.

Minnie Riperton, classe ’47, ultima di sette figli, ha un dono e lei e la sua famiglia se ne accorgono: supportata da Marion Jeffrey, che le insegna la dizione e il canto (aiutandola così a raggiugere con assoluta naturalezza quelle soglie vocali mostruose collocate oltre le cinque ottave che le appartengono), inizia ad esibirsi nel coro a cappella di una delle tante chiese di periferia. A 16 anni firma il primo contratto discografico entrando a far parte del gruppo The Gems, in cui subisce la contaminazione artistica del Blues e dell’RnB del tempo. Entra successivamente a far parte dei Rotary Connections, una band funk-rock con influssi soul divenendone la vera leader. Di lì a poco, la sua avventura con i Rotary termina e sarà seguita dall’insuccesso del suo album da solista ‘Come to My Garden’ del 1970, che però la farà guadagnare le attenzioni del grande Stevie Wonder.

Nel 1973 Minnie inizia a pensare al ritiro. Sposatasi con Richard Rudolph (produttore musicale dei Rotary), rassegnata dall’ultimo insuccesso e con due figli da poco arrivati, avrebbe voluto dedicare più cure a loro in prima persona accantonando definitivamente la sua più grande passione che l’aveva tradita.

Nonostante tutto la Epic Records decide di puntare con forza su di lei, trovando proprio in suo marito e in Stevie Wonder gli alleati per farla tornare a dedicarsi alla musica a tempo pieno: da qui nasce “Perfect Angel”, album coprodotto proprio con Wonder, che esplode clamorosamente a livello commerciale. Minnie raggiunge l’apice della sua carriera successivamente alla pubblicazione dei più noti singoli “Reasons” e “Lovin’ You”.

Finalmente arriva il successo sperato e meritato, Minnie diventa la star dalla voce angelica e perfetta che sa far sognare l’amore a chi l’ascolta e che dà forza a migliaia di donne americane. Nel 1975 esce l’album “Adventures in Paradise” contenente due dei singoli più iconici della storia della musica soul ovvero “My Love” e “Simple Things”.

Purtroppo, è sul più bello che come un fulmine a ciel sereno, nel 1976, Minnie stessa e in diretta dal The Tonight Show, annuncia di essere gravemente malata di tumore al seno (il tumore ha già attaccato il sistema linfatico lasciandole altri soli sei mesi di vita). Minnie probabilmente non lo sa ma sta facendo qualcosa di sensazionale: diventa uno dei primi artisti a parlare apertamente del cancro senza nascondere la propria malattia, divenendo una fra le prime artiste a fare campagna contro il tumore al seno.

Nonostante le previsioni e le raccomandazioni dei medici continua il suo tour musicale presentandosi a tutte le date, dando il meglio di sé e sopportando dolori lancinanti. Di lì a breve diventa anche portavoce ufficiale dell’American Cancer Society e viene investita di alcune onorificenze dall’allora Presidente Carter.

L’ultima esibizione di Minnie si tiene al Mike Douglas Show, in diretta televisiva. È quasi agonizzante dal dolore e ha un braccio bloccato: il cancro ha aggredito il sistema nervoso, è ormai spacciata, ma quando canta sembra quasi non sentire dolore eseguendo con estrema dolcezza il suo canto del cigno con “Lovin’ You”, il suo brano guida, citando anche i nomi dei suoi due bambini Marc e Maya.

I presenti e gli spettatori si commuovono, sanno che quella è la sua ultima esibizione dal vivo, sanno che sarà l’ultima volta che la vedranno: poco dopo entra in clinica il 10 luglio del 1979, morendo fra le braccia del marito appena due giorni dopo mentre ascoltava Stevie Wonder che cantava la sua Perfect Angel in TV, per lei. Il suo album postumo “Love Lives Forever” parla da sé e conta collaborazioni con Michael Jackson e il sempreverde Stevie Wonder: l’ultimo grande successo contenuto nel disco fu il singolo “Give Me Time” (brano registrato poco prima dell’ingresso in clinica).

Purtroppo, la vita ha deciso di non dare ulteriore tempo all’angelica Minnie, ma come canta in questo suo ultimo singolo ci ricorda come non sia il tempo in sé a quantificare la vita stessa che ognuno di noi ha vissuto:

“Yes, time is a treasure that we cannot buy

Time measures a life, and I don’t know why”

LASCIA UN COMMENTO

Your email address will not be published.