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MISURARE IL TEMPO IN PREISTORIA

21 Maggio 2020

Il concetto di tempo è più antico di quanto si possa immaginare. Un calendario lunare, trovato a Velletri, conferma che già 10.000 anni fa gli uomini preistorici misurassero il tempo.

Tempus fugit” scriveva il poeta Virgilio nelle sue Georgiche. Questo articolo inizia con una citazione un poco “angosciante” della concezione di tempo. Viviamo in una società nella quale il ticchettio dell’orologio è una componente essenziale nelle nostre giornate. Lavoriamo e svogliamo i nostri incarichi “in tempo”. Questa è la visione moderna dello scorrere del tempo. Cerchiamo una lettura differente: andiamo indietro, indietro nel tempo. Entriamo nella mente di persone distanti da noi, gli uomini preistorici. Qualcuno si sarà mai chiesto: “Questi omoni pelosi e robusti, avevano concezione di ciò che gli accadeva intorno? Comprendevano il tempo che passava? Lo misuravano? ” Per tentare di rispondere a questa domanda si può prendere come spunto una caso studio del 2019, un Calendario Lunare inciso su un sasso.

È bene fare anzitutto un breve excursus sulle origini dei calendari, per poter sottolineare l’unicità della scoperta. I primi casi attestai in popolazioni di epoca storica provengono dalla Mesopotamia e dall’Egitto, rispettivamente del 2000 e del 3000 a.C. La loro numerazione era basata sulla manifestazione periodica di certi eventi naturali, astronomici o terrestri. Quello egizio utilizzava come Capodanno il girono dell’arrivo a Menfi della piena del Nilo. La città è non troppo distante da Il Cairo, per avere un inquadramento geografico. Questo “evento naturale” si verificava attorno al 20 giugno. Altri calendari, come quello Greco e Romano, erano basati sul ciclo lunare. È facile comprendere che sistemi di numerazioni di questo tipo non potessero essere cronologicamente perfetti. Condizioni meteorologiche sfavorevoli potevano impedire di osservare fenomeni astronomici, come appunto la luna o il sole. Nel caso egiziano, la piena del Nilo poteva tardare o anticipare di qualche giorno, andando a scombussolare tutto il calendario. Tutto questo sottolinea la volontà di trovare un ordine e di riuscire a contare i giorni.

Il calendario sopra anticipato è stato trovato a Velletri (RM), su Monte Cavo. Si tratta di un semplice ciottolo ma che ha avuto una risonanza enorme: è il più antico calendario lunare rinvenuto in Europa. La pietra è stata “decorata” circa 10.000 anni fa. Questa età è a cavallo tra due importanti periodi nelle datazioni archeologiche, denominati Paleolitico e Mesolitico. Per datare il ciottolo si utilizzano analisi “visive” con microscopi e strumenti affini. Si analizzano le tracce sui reperti, le quali evidenziano una particolare lavorazione di questi manufatti. Gli archeologi sanno che una precisa metodologia di lavorazione, con tracce specifiche, appartiene ad un determinato periodo. Il manufatto di Velletri era decorato da tre serie di brevi incisioni lineari, le tacche. Sono disposte in maniera regolare e simmetrica, per un totale di 27 o 28 ed hanno permesso di interpretare il “sasso” come calendario.

Il numero 27 corrisponde al numero dei giorni che la Luna impiega, per completare l’orbita attorno la Terra. Il periodo viene denominato mese sidereo. Altro modo per conteggiare il fenomeno è il mese sinodico, il quale prende come ulteriore riferimento l’allineamento della Luna con il Sole e la Terra. Per raggiungere questa posizione, deve compiere un angolo di 27° in più, in circa due giorni, per un totale di 29 gironi e 12 h. I numeri corrispondono a quelli incisi sul sasso (28 è una buna approssimazione). Il manufatto potrebbe quindi essere il più antico calendario basato sul ciclo lunare.

A conferma del dato si aggiunga che le tacche sono state realizzate nel corso del tempo, usando strumenti differenti. Non è difficile immaginare che il possessore abbia deciso di incidere, una volta al giorno, una tacca per la durata del mese lunare. Il suo obbiettivo era trovare un riferimento temporale per i mesi successivi. Inoltre, le analisi petrografiche hanno permesso di rilevare la composizione del ciottolo: calcare marnoso. La roccia non è tipico della zona in cui è stato scoperto. Quando in archeologia si trova un reperto a distanza dal suo luogo di formazione o di origine, i ricercatori diventano sospettosi. Il sasso era stato trasportato decine di km, a piedi, prima di posizionarsi nel luogo del rinvenimento. Il possessore aveva attribuito un valore al manufatto, per decidere di spostarlo così lontano. La zona della scoperta è nelle vicinanze di luoghi sacrali della società latina, come il Santuario di Giove Laziale e il Tempio di Diana. L’archeologo che ha trovato il reperto ha aggiunto in un intervista di Repubblica: “Evidentemente questi luoghi speciali hanno sempre attratto l’attenzione dell’uomo, anche durante la più antica preistoria, suscitando un senso di sacralità».

La certezza interpretativa in archeologia può essere traballante, soprattutto quando si parla di manufatti molto antichi. Gli archeologi rischiano di attribuire un valore ad un oggetto che in realtà non aveva; ma non sembra questo il caso. Si tratta di uno dei primi tentativi nella storia umana di comprendere e misurare lo scorrere del tempo. La scoperta può portare a riflettere sulle capacità cognitive dei nostri lontani antenati. Forse erano più “svegli” di quanto pensiamo. Avevano costruito una sorta di calendario “tascabile”, da consultare quando necessario.

Questo è l’affascinante mondo dell’archeologia e delle sue scoperte. Per chi fosse interessato ad ascoltare la stessa tematica in maniera differente, questo è il video YouTube:

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