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Mr. Morale & The Big Steppers: un intenso viaggio fra le parole di Kendrick Lamar

16 Maggio 2022

Esattamente 1855 giorni separano l’uscita di DAMN da Mr. Morale & The Big Steppers, il nuovo album targato Kendrick Lamar. Durante il corso di questo lunghissimo lasso di tempo il mondo è stato stravolto da accadimenti di portata epocale: guerre sfiorate, tensioni sociali dovute al razzismo, alla pandemia, alla recente guerra e a dibattiti in generale sempre più ridondanti e divisivi.

Così è stato anche per Kendrick, che dopo cinque anni e una carriera stravolta dal successo di DAMN, riesce a confermarsi poeta e cantore. Il suo status è cambiato: da bersaglio di Fox News e della scena rap per la scomodità e la profondità dei suoi testi, a “icona” delle più recenti generazioni americane. E così, questa volta, Lamar si scrolla di dosso il peso attribuitogli per parlarci in maniera cruda e introspettiva.

Le 18 tracce del nuovo album di Kendrick Lamar

Il nuovo disco si apre con “United in Grief“, un pezzo dalla sonorità dirompente, con cui riassume tutti i diciannove anni di carriera, i suoi alti e bassi, i suoi investimenti e i suoi acquisti, e tutto ciò che fama e ricchezza gli hanno portato dopo il successo: i soldi non hanno mai risolto i suoi problemi esistenziali e il Re, leale a sé stesso, decide di mostrarsi nudo. Proprio per questo si ritiene diverso da tutti gli altri colleghi ricchi e famosi:

Poverty was the case but the money wipin' the tears away, I grieve different" 
("La povertà non era la causa, lo erano i soldi per asciugarmi le lacrime, soffro diversamente").

Nella seconda traccia, N95, Lamar ha molto da dire al suo governo per quanto riguarda la gestione della pandemia: “You’re back outside but they still lied” (“Sei tornato all’esterno ma loro hanno ancora mentito”) o ancora con “The world in a panic, the women is stranded, the men on a run. the prophets abandoned, the law take advantage, the market is crashing, the industry wants” (“Il mondo nel panico, le donne arenate, gli uomini fuggono. I profeti abbandonati, la legge ne approfitta, il mercato in distruzione, l’industria pretende”) sottolineando la sensazione di disillusione e spaesamento di tutte le persone a causa di questo evento distruttivo, scagliandosi infine contro i falsi profeti politici e dell’industria musicale americana.

Nella terza traccia, “Worldwide Steppers”, introdotta da Kodak Black, Kendrick Lamar si concentra sui momenti più bui vissuti nei cinque anni di vita, segregato in casa. Il rapper non è quasi mai apparso pubblicamente e non ha quasi mai rilasciato dichiarazioni sui suoi progetti e sul disco: questo perchè ha vissuto un periodo molto cupo, oppresso dal blocco dello scrittore e impegnato a causa dell’arrivo dei suoi due nuovi figli (che lo hanno riportato alla realtà). In questa traccia l’artista parla di come la ritrovata fede lo abbia liberato dal lungo blocco creativo e affronta il suo passato facendo una disamina delle relazioni avute prima della paternità che ‘avrebbero fatto vergognare i suoi antenati’. Successivamente affronta a muso duro anche il tema della cancel culture: “I’m a killer, he’s a killer, she’s a killer. We some killer, walkin’ zombiet,ryna scratch that itch. Germophobic, hetero and homophobic, photoshoppin’ lies and motives, hide your eyes, then pose for a pic” (“Sono un assassino, lui è un assassino, lei è un’assassina. Siamo degli assassini, zombie che camminano, provando a grattare la ferita. Germofobi, etero e omofobi, photoshoppando bugie e ragioni, nascondi i tuoi occhi e poi posa per una foto“) scagliandosi duramente contro il killeraggio mediatico subito dalle personalità viste come ‘non pulite’ dai sostenitori della cancel culture, da lui stesso definite come zombie che, aggredendo gli altri, creano una società di morti viventi.

Le successive due tracce, “Die Hard” e “Father Time”, costituiscono una sorta di ciclo a sè stante: la prima riguarda i suoi problemi ad aprirsi e nel lasciarsi amare “I hope I’m not too late to set my demons straight, I know I made you wait, but how much can you take? I hope you see the God in me, I hope you can see” (“Spero di non essere in ritardo per mettere a posto i miei demoni, so di averti fatto aspettare, ma quanto potresti sopportare? Spero tu veda il Dio in me, spero tu possa vederlo“), mentre la seconda è una disamina sul come la mascolinità tossica venga trasmessa in maniera diversa, ma sempre continuativa, di generazione in generazione. Questa riflessione lo porta a convincersi di aver bisogno di psicoterapia per correggere alcuni suoi comportamenti tossici, che avrebbe potuto trasmettere ai suoi figli, consapevole della negatività che hanno avuto sulla sua psiche.

Il sound delle prime tre tracce è molto aggressivo: Kendrick sfoga tutta la sua rabbia sociale in maniera dura per poi melodizzare e ammorbidire le tonalità in occasione del passaggio a temi più delicati quali l’amore e la famiglia (non a caso in “Father Time” c’è la prima collaborazione dell’artista con il bravissimo e inconfondibile cantante soul Sampha).

La prima sezione dell’album è spezzata da “Rich-Interlude” che sfocia nel brano “Rich Spirit”. In questa traccia Kendrick si lascia andare su una strumentale che ondeggia fra sonorità trap e gospel, quasi in stile Kanye West, riuscendo a dare un’aria di leggerezza alla discussione di temi quali la mortalità, la lealtà, e il narcisismo. Lamar cerca un equilibrio fra le critiche che subisce dall’esterno e quelle che fa a sè stesso “Tryna keep the bilance, I’m stayin strong” (“Provando a mantenere l’equilibrio, sto tenendo duro”) riponendo tutta la sua fede in sè stesso e in Dio.

La traccia successiva “We Cry Together” costituisce un unicum in ambito musicale. Nella lunga canzone si scontrano lui e Taylor Paige nei panni di una coppia che affronta un litigio aspro, combattuto a colpi di insulti e cattiverie, ricordando quasi il film Malcom & Marie. Un’interpretazione che si può trarre dal brano è la seguente: Kendrick risponde agli insulti e alle angherie subite da fan, scena rap e critica per la sua lunga assenza dalla scena.

Lamar si mostra deluso e frustrato nei confronti di tutto questo “Wastin’ my time and energy tryna be good to you / Lost friend, family, gained more enemies ‘cause of you / shoulda followed my mind in ’09 and just move to Georgia” (“Ho perso il mio tempo e la mia energia nell’essere buono nei tuoi confronti / ho perso amici, famiglia e guadagnato nemici a causa tua. / avrei dovuto ascoltare la mia mente nel 2009 e trasferirmi in Georgia”) arrivando quasi a pentirsi, nel momento di massima frustrazione, dell’aver ottenuto fama e successo.

A conclusione del primo disco c’è “Purple Hearts”, una traccia dalla sonorità complessa e piacevole in cui figurano anche Summer Walkers e Ghostface Killah nel coro. Il brano tratta con vigore le tematiche dell’amore e delle droghe, che assuefano e distruggono le persone “I know y’all love it when the drugs talkin’, but shut the fuck up when you hear love talkin” (“So che tutti voi amate quando le droghe vi parlano, ma chiudete la bocca quando a farlo è l’amore”). Non a caso, il titolo corrisponde al nome di un’onorificenza militare americana conferita dalle forze armate a feriti e caduti in servizio.

Il primo disco, molto tormentato e intenso, è seguito dalla traccia d’apertura del secondo “Count me out”. In questo brano la sonorità si fa malinconica: Kendrick, sulle note del coro, parla di come il lasciar andare una persona a seguito di una relazione tossica lo abbia reso molto più felice. Il pensiero di liberazione lo ha ripagato molto più del tempo passato a ricucire ciecamente le ferite del precedente rapporto “I wanted my best version, but you ignored me / Then changed the story / Good energy in the room” (“Volevo la versione migliore di me, ma mi ignoravi / poi la storia è cambiata / energia positiva nella mia stanza”) o ancora “Lord knows I tryed my best, you said it’s not my best – spoke my truth, payed my debt” (“Dio sa che ho dato del mio meglio, tu hai detto che non era così – ho detto la mia verità, ho pagato il mio debito”) e “Let me loop I digress, this is me, and i’m blessed” (“Lasciami nel loop, sto divagando, questo sono io e mi sento benedetto”).

La musicalità nostalgica ma leggera si spegne totalmente con “Crown”, una delle tracce più profonde e tristi dell’album. Lamar dipinge la sua vita agiata e il suo successo per poi entrare in profondità fra le voci e i conflitti che abitano la sua psiche.

Il pianoforte, dalle note gravi e ripetitive, si scontra come uno scoglio sulla citazione di Shakespeare dall’Enrico IV, parte seconda: “Heavy is the head that chose to wear the crown / to whom is given much is required now” (“Pesante è la testa di colui che ha scelto di indossare la corona / a colui cui è assegnata, molto è richiesto ora”). Kendrick si descrive come un Re che sente l’enorme peso della corona che porta, concludendo il pezzo con la ripetizione, in crescendo, della frase “I can’t please everybody” (“Non posso accontentare tutti”). Kendrick vorrebbe poterlo fare e non sbagliare mai, ma non può e soffre per questo: non si sente all’altezza del peso che porta.

La canzone successiva “Silent Hill” vede la seconda partecipazione dell’artista Kodack Black. Il brano si contraddistingue per una vivace sonorità e ritmica trap, con la quale Kendrick sembra prendersi gioco dei suoi colleghi, i quali spesso parlano di tematiche e contenuti futili quali denaro, falsi problemi e false amicizie. Il rapper vuole smascherare la falsità che spesso si cela dietro la maggioranza dei suoi colleghi, che Lamar evita silenziando tutto ciò nella sua testa e sottolineando l’importanza di questo meccanismo psicologico di difesa.

Il contenuto di questa canzone trova seguito nei due brani successivi “Savior – Interlude” e “Savior”, brani che vedono la partecipazione di Sam Dew e Baby Keem. La traccia sembra riassumere buona parte dei contenuti finora presenti spaziando fra i problemi di razzismo, l’opposizione all’idolatria delle figure pubbliche, il politicamente corretto e la pandemia.

Il brano si contraddistingue per la sonorità molto viva e particolare anche grazie all’utilizzo di samples riprodotti al contrario e all’ottimo utilizzo dei bassi, concludendosi con il richiamo al titolo della canzone: Kendrick non si sente e non vuole essere considerato come un “salvatore” semplicemente perchè è innanzitutto un essere umano come tutte le altre figure pubbliche che lo circondano.

Siamo alla quart’ultima traccia, “Auntie Diaries”, che ancora una volta costituisce un unicum nell’ambito della scena rap. Per la prima volta un artista parla pubblicamente dei problemi che affliggono la comunità LGBT dandosi voce attraverso il racconto della vita di due persone transgender e contrapponendo l’uso improprio della N-Word (Nigga) con l’utilizzo improprio della F-Word (Faggot, “Finocchio”) da parte della sua stessa comunità.

Kendrick ricorda un episodio reale in cui chiese ad una ragazza di non cantare la parola “Nigga” ad un concerto: “That time I brung a fan on stage to rap but disapproved the world that she couldn’t say with me, you said Kendrick ain’t no room for contradiction. To truly understand love, switch position. “Faggot, faggot, faggot” we can say it together but only if you let a white girl say nigga” (“Quella volta che portai sul palco una ragazza e in cui disapprovavo l’utilizzo della parola che non poteva dirmi, mi diceste “Kendrick non c’è spazio per altre argomentazioni”. Per comprendere davvero l’amore mettiti nei panni degli altri. “Frocio, frocio, frocio” ci è consentito dirlo assieme, ma solo se lasci dire negro ad una ragazza bianca”) per poi criticare le posizioni del mondo ecclesiastico riguardo la comunità transgender “I said Mr. Preachman should we love thy neighbor? The laws of the land or the heart, what’s greater?” (“Dissi, Pastore dovremmo amare il nostro vicino? La legge della terra o del cuore, quale conta di più?”). Kendrick arriva dunque alla conclusione che c’è una disparità fortemente discriminatoria nell’utilizzo delle due parole da parte della sua comunità che dovrebbe, assieme agli altri, smettere di utilizzare la parola “faggot” con tale facilità. L’artista ci ricorda quanto le parole possano ferire le persone e che pesarle e mettersi nei panni degli altri è davvero fondamentale.

Mr. Morale“, il brano successivo, riprende l’episodio citato nella canzone precedente “It was one of the worst performances I’ve seen in my life, I couldn’t sleep last night” (“E’ stata una delle performance peggiori che abbia mai visto, non riuscivo a dormire la notte scorsa”) per poi trattare argomenti come il trauma generazionale e l’eccesso, citando su note aggressive e accattivanti il filosofo tedesco Eckhart Tolle e una delle sue opere più acclamate “A New Earth – Awakening to your life purpose” in cui viene affrontato il tema del dolore e del trauma generazionale.

La penultima traccia, “Mother I Sober”, è la canzone più triste e malinconica dell’album: un piano lento accompagna le parole stanche e quasi sussurrate di Kendrick che con voce rotta parla del “Razzismo sistemico” insito nel sistema politico americano, a suo giudizio instillato nelle istituzioni per mantenere l’una contro l’altra le persone di colore:

"They raped our mothers, then they raped our sisters / Then they made us watch, then made us rape each other / Psychotic torture between our lives we ain't recovered / Still livin' as victims in the public eyes who pledge allegiance" 
("Hanno stuprato le nostre madri, poi hanno stuprato le nostre sorelle / Poi ci hanno fatto guardare, ci hanno fatto stuprare fra di noi / Tortura psicologica fra le nostre vite, non ci siamo ripresi / Viviamo ancora come vittime, che agli occhi degli altri cercano lealtà")

Kendrick, in crescendo e quasi urlando, annuncia la sua liberazione riprendendo il tema del dolore generazionale trasmesso di generazione in generazione “So I set free the hearts filled with hatred, keep our bodies sacred” (“Così ho liberato i cuori pieni d’odio, manteniamo in nostri corpi sacri”) incitando così la sua comunità a scrollarsi di dosso questo malessere affinchè sia davvero libera dalle catene del passato segregazionale e del razzismo sistemico.

L’album si conclude con la traccia “Mirror”: Kendrick riassume la sua condizione psicologica e di vita. Il rapper ha scelto sè stesso e con lui i suoi figli, grazie a profonde riflessioni che lo hanno portato alla psicoterapia “Cause all of it’s toxic Girl, I’m not relevant to givin’ on profit / Personal gain off my pain, it’s nonsense / Darlin’, my demons is off the leash for a moshpit / Baby, I just had a baby, you know she need me / Workin’ on myself, the counselin’ is not easy” (“Perchè tutto questo è tossico ragazza, non mi interessa fare profitto / ho trovato guadagno dal mio dolore, non ha senso / Cara, i miei demoni sono liberi e sguinzagliati nella folla scatenata / Piccola, ho appena avuto un bambino, sai che ha bisogno di me / Sto lavorando su me stesso, la terapia non è facile”).

Possiamo concludere che il lascito di Kendrick è musicalmente, socialmente, politicamente e storicamente importante. Lamar si sveste di ogni abito e togliendosi la corona, che tutti gli avevano posto, analizza la sua comunità, gli eventi, il suo passato e con sé il mondo intero.

Così facendo, l’artista ci ricorda che siamo umani compresi i nostri idoli che spesso consideriamo divinità. La psicoterapia, il passato, l’illusione, la famiglia, il dolore generazionale e l’umanità sono tematiche centrali non per caso: Kendrick ci riporta alla dimensione di vita umana, fatta di sofferenza, sensibilità e liberazione, invitandoci alla riscoperta di noi stessi, così assuefatti dalle futilità dei tempi sempre più divisivi e frivoli che viviamo.

Proprio per questo sul suo profilo Instagram campeggia la seguente frase: “I Am. All of us”. Kendrick ci rappresenta tutti con i suoi dubbi, la sua rabbia e la sua fragilità per ricordarci cosa conta davvero.

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