Le associazioni LGBTQI+ lombarde consegnano quasi 10mila firme al Presidente del Consiglio Regionale, Alessandro Fermi, a sostegno del progetto di legge n° 109.
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IN LOMBARDIA INIZIA IL PERCORSO DELLA LEGGE REGIONALE CONTRO L’OMOLESBOBITRANSFOBIA. SARÀ LA VOLTA BUONA?

Il 10 maggio sono state consegnate al Presidente del Consiglio Regionale della Lombardia quasi 10mila firme, raccolte dalle associazioni LGBTQI+ lombarde sulla piattaforma All Out, per sostenere il cosiddetto “PDL Nanni” – il progetto di legge n° 109 contenente norme contro la discriminazione determinata dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere. Il testo prende il nome da Iolanda Nanni, consigliera regionale e deputata del Movimento 5 Stelle venuta a mancare nell’agosto del 2018, che aveva iniziato ad occuparsi del tema nella precedente consiliatura. Il testimone è passato a Simone Verni, consigliere regionale M5S, primo firmatario del provvedimento presentato nel 2019.

Il PDL è stato firmato dagli altri 10 consiglieri regionali del M5S (più due ex grillini oggi nel Misto), da 6 dei 14 consiglieri regionali del Partito Democratico, dal consigliere regionale di Azione, Niccolò Carretta, e dal consigliere del gruppo Più Europa-Radicali, Michele Usuelli. Proprio Usuelli, a partire dal mese di dicembre 2021, si è attivato per la calendarizzazione del progetto di legge sfruttando il Regolamento del Consiglio Regionale della Lombardia, che garantisce ai gruppi consiliari di opposizione la possibilità di indicare come “prioritario” un progetto di legge da discutere. Nei mesi successivi il gruppo Più Europa-Radicali ha continuato a chiedere che il PDL 109 venisse inserito nel calendario dei lavori della Commissione Affari Istituzionali e della Commissione Sanità e Politiche sociali.

Il progetto di legge 109 fa espressamente riferimento ai principi di uguaglianza e non discriminazione che possiamo riscontrare non soltanto nella Costituzione italiana, ma anche nella Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo (CEDU) e in diverse fonti del diritto primario e derivato dell’Unione Europea. Alla base del PDL Nanni c’è il tentativo di promuovere l’uguaglianza e l’integrazione delle persone LGBTQI+ tramite un ventaglio di misure abbastanza variegato: una parte rilevante del PDL è dedicata alle iniziative che dovrebbe intraprendere la Pubblica Amministrazione, sia nella propria azione verso il pubblico per quanto riguarda i servizi erogati al cittadino sia al proprio interno, lavorando anche nell’ambito di una comunicazione istituzionale più rispettosa ed inclusiva; sono inoltre previste diverse azioni nel campo delle politiche socio-sanitarie, nel settore scolastico e in quello della formazione professionale. La legge regionale affronterebbe anche il tema della responsabilità sociale d’impresa con un’ottica di premialità e sostegno delle realtà aziendali attente ai temi della diversità e dell’inclusione (sempre nel rispetto della disciplina sugli aiuti di Stato).

Mercoledì 11 maggio si è tenuta la prima seduta congiunta delle Commissioni di cui sopra, Affari Istituzionali e Sanità e Politiche Sociali. Non si è affrontato il merito dei singoli articoli, ma già dal tenore di alcune affermazioni si può intuire l’approccio che probabilmente verrà assunto da una parte rilevante della maggioranza: alcuni consiglieri hanno sottolineato l’inutilità della legge regionale, poiché la vera necessità è quella di costruire una cultura più rispettosa ed inclusiva; basterebbe, tuttavia, leggere l’articolato per rendersi conto di come, proprio questo progetto di legge, intenda promuovere diverse azioni volte a costruire una cultura di maggior rispetto e riconoscimento delle persone LGBTQI+.

Un altro consigliere di maggioranza ha provato a sostituirsi all’ISTAT dicendo che delle 20 persone omosessuali che conosce soltanto uno è in rapporti davvero conflittuali con la famiglia, le altre 19 sono state accettate tranquillamente. Dinanzi alla solidità scientifica di queste statistiche fai-da-te hanno chiuso diversi istituti che si occupano di rilevazioni e sondaggi. Il terzo momento di teatro dell’assurdo è arrivato da una consigliera regionale – sempre della maggioranza –  che ha tirato fuori una perla abbastanza ricorrente: un progetto di legge regionale contro le discriminazioni che colpiscono le persone LGBTQI+ sarebbe ghettizzante proprio contro queste persone, sembrava quasi una canzone di Checco Zalone.

Ma le posizioni “pittoresche” si scontrano con un dato di fatto abbastanza interessante: se il Consiglio Regionale della Lombardia approvasse questo provvedimento non sarebbe la prima Regione d’Italia a dotarsi di una legge regionale contro l’omolesbobitransfobia, anzi. Provvedimenti simili esistono da anni in Toscana (dal 2004), in Liguria (dal 2009), nelle Marche (dal 2010), in Sicilia (dal 2015), in Piemonte (dal 2016), in Umbria (dal 2017), in Emilia-Romagna (dal 2019), in Campania (dal 2020). Esisteva una normativa analoga anche in Friuli-Venezia Giulia (dal 2017), poi la destra è arrivata al governo e l’ha cancellata. Possibile che la Regione più popolosa del Paese, che da più parti viene definita la “locomotiva d’Italia”, non abbia intenzione di inserirsi, seppur in ritardo, in questo gruppo virtuoso?

Le disposizioni regionali indicate non sono sostitutive di un’eventuale legge di respiro nazionale contro i crimini d’odio e le discriminazioni che colpiscono le persone LGBTQI+: Stato e Regioni hanno competenze notoriamente diverse. Sarebbe auspicabile un quadro normativo, almeno di massima, di livello generale, ma le Regioni possono fare già moltissimo in settori di primaria importanza (come sanità e formazione professionale).

Ovviamente bisogna guardare al contesto politico reale, non a quello ideale: pochi giorni fa è stato presentato al Senato della Repubblica un testo uguale al “vecchio” ddl Zan, che lo scorso anno è stato affossato proprio a Palazzo Madama dal voto segreto, ma le possibilità che questa legge Zan 2.0 venga approvata così com’è da entrambi i rami del Parlamento ed entro il termine di questa legislatura (inizio 2023) sono basse, questo va chiarito fin da subito per amor di verità.

Gli stessi problemi si ripropongono anche per la legge regionale lombarda contro l’omolesbobitransfobia. In primo luogo i partiti di destra godono di una “super maggioranza” all’interno del Consiglio Regionale: sul totale di 80 Consiglieri eletti nelle varie circoscrizioni elettorali della Lombardia ce ne sono ben 50 di centrodestra, dunque teoricamente contrari. Per avere qualche chance di approvazione le opposizioni dovrebbero essere compatte sul PDL 109 e al contempo dovrebbero riuscire a convincere una decina di colleghi della maggioranza (questo calcolo non tiene conto delle eventuali assenze al momento del voto).

Su questo punto potrebbe giocare a favore la natura stessa della legge regionale: a differenza del ddl Zan, il provvedimento depositato in Consiglio Regionale non va a modificare il codice penale – né potrebbe farlo, ovviamente. Questa circostanza neutralizza de facto tutte le obiezioni che per la legge Zan erano state sollevate in merito agli aspetti penalistici, ammesso che non siano obiezioni poste per mero pretesto.

Resta, invece, intatto il tema dell’identità di genere, presente sia nel ddl Zan sia nel PDL 109. Questa espressione, giova ricordarlo, non è una chimera inventata su due piedi da qualche attivista LGBTQI+, ma è stata recepita in modo pacifico persino dalla Corte Costituzionale – che non è esattamente un collettivo transfemminista – già nella sentenza n° 221/2015: “l’approdo di un’evoluzione culturale ed ordinamentale volta al riconoscimento del diritto all’identità di genere quale elemento costitutivo del diritto all’identità personale, rientrante a pieno titolo nell’ambito dei diritti fondamentali della persona”.

Eppure proprio sulla “questione identità di genere” si è concentrata una grossa parte dello scontro politico sul ddl Zan: quasi tutti i parlamentari di destra, con l’appoggio di diversi colleghi e colleghe di centrosinistra più sensibili alle suggestioni provenienti dagli ambienti del cosiddetto femminismo trans-escludente, si sono dimostrati totalmente contrari all’utilizzo di questa espressione, agitando lo spauracchio della teoria gender (che non esiste, esistono invece gli studi di genere, che sono un’altra cosa).

Insomma, tra contesto politico e dati numerici le chance che il progetto di legge 109 venga approvato, in questa formulazione o con modifiche non troppo drastiche, sono piuttosto basse. Ciò nonostante, credo sia doveroso che il Consiglio Regionale della Lombardia apra un dibattito trasparente sul tema, sperando (ma ci credo poco) che il confronto rimanga sul merito della legge senza scadere nelle volgarità e nell’ignoranza cui abbiamo già dovuto assistere tra Camera e Senato, sul ddl Zan di recente e sulle unioni civili qualche anno fa. Chi vive, studia, lavora, paga le tasse e vota in Lombardia ha tutto il diritto di sapere cosa ne pensano e come si comportano i consiglieri regionali che tra non molti mesi chiederanno nuovamente il loro voto.

A chi dice che “ci sono altre priorità” – perché un po’ di benaltrismo sta bene su tutto – rispondo molto serenamente: andate a spulciare il calendario dei lavori del “parlamento” regionale della Lombardia. Scoprirete che le stesse persone contrarie all’idea che si parli di omofobia o di transfobia trovano, invece, tutto il tempo del mondo per parlare della “valorizzazione della cultura e della tradizione lombarda dello spiedo bresciano e di altri preparati a base di selvaggina” (chi scrive si premurerà di assaggiare questa specialità quanto prima). Se possono parlare di spiedi possono trovare un po’ di spazio per occuparsi anche dei diritti delle persone LGBTQI+.

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