"Nicolás Dujovne, ministro de Finanzas de la Argentina, y Mario Draghi, presidente del Banco Central Europeo - 3era reunión de ministros de Finanzas y Presidentes de Bancos Centrales" by G20 Argentina is licensed with CC BY 2.0. To view a copy of this license, visit https://creativecommons.org/licenses/by/2.0/

NON CI MERITIAMO DRAGHI… E ALLORA?

11 Febbraio 2021

Replica all’articolo di Francesco Saverio De Marchi

Troppo spesso noi liberali, o più vagamente noi che apparteniamo al quarto quadrante del political compass, siamo troppo severi nel giudicare la realtà. Francesco, che stimo dal punto di vista intellettuale e invidio per il fascino, non fa eccezione. Per quanto condivida la sua tesi di fondo e apprezzi particolarmente la scelta del titolo, trovo che l’analisi possa essere integrata di ampi tratti meno pessimisti.

La prospettiva politica

Parto dalla conclusione. Parafrasando Jim Gordon, Francesco ha terminato il pezzo così: “Mario Draghi è il presidente di cui l’Italia ha bisogno, ma non quello che merita adesso”. É evidente che sia vero. Un Paese che era pronto a suicidarsi per il peggior premier della storia repubblicana, Giuseppe Conte, non può meritare Draghi, la personalità politica italiana più importante del mondo. Un Paese che meno di tre anni fa ha eletto un Parlamento in cui le forze populiste ed euroscettiche avevano la maggioranza assoluta, non può meritare l’ex Presidente della BCE che ha salvato l’Unione Europea.

Detto questo, tutto ciò è irrilevante. Come ha spiegato Michele Boldrin sul sito di Liberi Oltre, Draghi si trova di fronte a un bivio. Fare “il compitino”, ovvero organizzare un piano vaccinale efficace, scrivere un PNRR di alto livello e una finanziaria che non sfasci i conti pubblici, oppure dare una prospettiva politica al proprio esecutivo che vada oltre la legislatura. Nel peggiore dei casi, avremo evitato l’autodistruzione programmata dai giallorossi. Anticipo l’obiezione: non sarebbe un calcio alla lattina, ma un passo necessario per uscire dall’incubo Covid. Nel migliore dei casi, auspicato da Boldrin, non proprio un ottimista, abbiamo una speranza di fermare il declino.

Per la prima volta, infatti, oltre alla destra sovranista, ormai divisa, e al nuovo centrosinistra di ispirazione guevarista, si troveranno a lavorare insieme quelle forze politiche che, pur con sfumature diverse, afferiscono alla nostra frammentatissima area politico-culturale. Può essere un’occasione irripetibile per costruire una nuova offerta politica, che metta insieme mondi finora separati, ma che hanno una visione del Paese di lungo periodo sostanzialmente simile. Il fatto che Draghi possa o voglia metterci la faccia è solo un eventuale plus.

Il consenso liquido

Comprendo anche lo scetticismo sulla liquidità del consenso, che rischia di affossare Draghi prima del tempo e di consentire ai partiti di scaricarlo. Capisco la preoccupazione di Francesco, tuttavia, c’è anche il rovescio della medaglia. A giudicare dai flussi elettorali, gli italiani sembrano essere, e probabilmente sono, un (tentativo di) popolo privo di valori. Pare che l’interesse contingente e l’assenza di memoria siano le uniche costanti nel metro di giudizio elettorale.

Tuttavia, ciò significa che se Draghi, che verrà probabilmente dipinto come l’uomo forte che tanto fa sbavare l’italiano medio, presenterà nel modo giusto la propria azione di governo, potrebbe anche conservare e accrescere il proprio consenso. Se Arcuri, non proprio Leonardo da Vinci, ha convinto metà Paese dell’imprescindibilità dei banchi con le rotelle, forse anche l’ex presidente della BCE può farlo per delle riforme più serie.

Inoltre, è bene specificare (ahinoi) che Mario Draghi non è Milton Friedman. In altre parole, non proporrà delle riforme a cui i partiti si opporranno con veemenza eccessiva. A mio avviso, eseguirà un’opera di riordino, razionalizzazione e riforma apprezzabile, ma non radicale. Pur rimanendo inflessibile nei confronti dei contraenti dell’alleanza di governo, che proveranno a sopravvivere sulle rendite di posizione, non porgerà il fianco ad attacchi politici. Al contrario cercherà di rendere digeribili le proprie decisioni all’opinione pubblica con sobrietà.

Gli eroi non servono, ma Draghi non deve esserlo

Pur io, come tutte le persone minimamente assennate, desidererei di vivere in Paese che non debba ricorrere periodicamente al salvatore della patria di turno, salvo tornare ad accelerare il declino al termine della cura di cavallo. Anche io vorrei avere dei concittadini più consapevoli dei danni che un certo modo di fare politica ha creato. Io stesso vorrei che in Italia la libertà venga concepita nel suo senso più alto, che implica responsabilità e austerità.

Ma, caro Francesco, so che non è così. Inutile trastullarsi. Non ci sono i presupposti culturali affinché sia così. Affidare la Presidenza del Consiglio a Mario Draghi può essere la svolta: non perché l’eroe possa cavarci d’impaccio, ma perché può darci l’occasione di ricostruire il Paese e ridare dignità alla politica.

Non sto dicendo che tutto andrà certamente per il verso giusto, ci mancherebbe. Non nascondo che sono preoccupato dei rischi che il fallimento del governo Draghi comporterebbe, come lo sono della possibilità che i partiti rifiutino di assumersi le proprie responsabilità. Per una volta, tuttavia, c’è anche qualche ragionevole motivo di speranza: è inutile fasciarsi la testa prima di romperla, intanto mettiamo il casco. Citando in conclusione Lorenzo de’ Medici, del doman non v’è certezza…

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