Marco Verch/Flickr

PERCHÉ SI PARLA TANTO DI NFT?

30 Aprile 2021

Quando Vice scrive un articolo su un argomento, è segno che questo argomento sia diventato sufficientemente mainstream per suonare familiare alla maggior parte delle persone ma non ancora abbastanza da essersi svestito della sua aura di mistero. Quindi quando qualche settimana fa è uscito l’articolo sulle opere digitali e sugli NFTs ho deciso che era il momento giusto per parlarne. Ecco una breve guida for dummies su criptovalute, blockchain, NFT con la benedizione del filosofo di Königsberg.

Cosa sono le criptovalute

Una criptovaluta è una valuta digitale senza autorità centrali basata su un sistema di registrazione delle transazioni distribuito. Questa sorta di "libro mastro" si chiama blockchain ed è stata sviluppata da Satoshi Nakamoto, un misterioso sviluppatore la cui identità resta tuttora sconosciuta.

La blockchain, come dice il nome stesso, è una catena di blocchi di informazione organizzati in maniera cronologica. Ogni blocco rappresenta un contratto tra parti, e nel caso delle criptovalute il blocco rappresenta in particolare una serie di transazioni.

La blockchain, data la sua natura distribuita, fa sì che le transazioni non necessitino più la presenza di un intermediario ma che esse siano realizzate direttamente tra il mittente ed il destinatario della transazione. Se Bob deve inviare soldi ad Alice, non avrà più bisogno di passare attraverso una o più banche scrivendo un bonifico ma gli basterà aggiungere un blocchetto ad una catena che stabilisce lo scambio tra Bob e Alice.

Computet Icon By Ic2icon
Pickaxe Icon By Iconscout Freebies

Facciamo un esempio con la criptovaluta più celebre, il Bitcoin. La blockchain è unica: tutti gli utenti che scambiano Bitcoin fanno riferimento ad un unico libro mastro. Quando avviene uno scambio, viene inserito in un mucchio di altre transazioni che devono essere confermate. Ai computer che fanno parte del sistema e che minano le valute vengono assegnati un certo numero di transazioni, e questi computer devono risolvere dei problemi matematici estremamente complicati. Quando uno dei computer risolve un problema, il blocco di transazioni viene aggiunto al libro mastro e il libro mastro viene aggiornato su tutti i computer che appartengono alla rete. Il computer "vincitore" viene premiato con una quota di Bitcoin. Questa cosa avviene circa ogni 10 minuti per i Bitcoin.

Il resto delle transazioni assegnate agli altri computer semplicemente viene rimesso indietro nel mucchio di transazioni in attesa di essere confermate. Queste transazioni poi vengono riassegnate ai computer della rete e riprende il processo che abbiamo appena descritto. Questo vuol dire che affinché avvenga una transazione il sistema può impiegare un tempo lungo, e nel caso dei Bitcoin questo tempo di attesa si attesta sui 60 minuti (anche se negli ultimi mesi i tempi stanno fluttuando enormemente).

Il termine mining riferito alle criptovalute come nel caso dei Bitcoin è adatto a descrivere questo processo perché come i minatori scavano nelle miniere per estrarre l’oro, i computer risolvono questi difficili problemi matematici per trovare la risposta giusta. Il costo principale del mining, che nel caso dell’estrazione di oro corrispondeva al lavoro umano, è quello della potenza computazionale e di conseguenza l’energia elettrica che serve per risolvere le complicate operazioni matematiche.

In realtà queste complicate operazioni matematiche non sono fini a se stesse ma servono per il corretto funzionamento del sistema. Esse infatti servono a verificare l’autenticità delle transazioni, ovvero a sincerarsi che un Bitcoin non venga speso due volte. Per verificare l’autenticità di una banconota possiamo verificarne l’unicità del numero seriale e una cosa simile avviene con le criptovalute.

Cosa sono gli NFT

NFT sta per non-fungible token. Una risorsa è fungibile se un’unità di questa equivale sempre e comunque ad un’altra unità della medesima risorsa. Ad esempio i Bitcoin sono fungibili perché un Bitcoin a Roma equivale ad un Bitcoin a Dubai e via dicendo. Per questo motivo possono essere utilizzati come mezzi per transazioni di tipo economico.

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Canvas Icon By Kiran Shastry
House Icon By Vectors Point
Wine Icon By Kinder Toys Arts

Gli NFT sono sempre basati su uno schema di tipo blockchain, ma a differenza delle criptovalute sono risorse che non possono essere scambiate per equivalenza. Piuttosto che rappresentare il libro mastro degli scambi di monete, la blockchain negli NFT rappresenta la catena di chi possiede quella risorsa. In questo modo, che si tratti di opere d’arte o proprietà immobiliari, gli NFT portano i vantaggi delle criptovalute nello scambio di risorse fisiche garantendone una rappresentazione digitale.

Gli NFT rendono il mercato più efficiente perché permettono una transizione digitale dello scambio di risorse fisiche (e non) e perché rimuovono presumibilmente gli intermediari. Nel caso degli artisti, non vi è più la necessità della mediazione di agenti e vi è un contatto più diretto con chi usufruisce del contenuto. Inoltre sono potenziali strumenti che potrebbero migliorare le supply chains, come ha già fatto la firma di consulting EY con il vino.

Per l’appunto, in questo articolo Giuseppe Schiavone spiega come anche in Italia gli NFT inizino ad essere utilizzati per lo scambio di opere d’arte digitali, oltre che di altri asset totalmente immateriali come il primo tweet della storia al prezzo di 2.9 milioni di dollari o di gattini virtuali che in totale generano un giro di affari di circa 19.6 milioni di dollari.

Arte, estetica e criptovalute

Come succede spesso con le discussioni sulla tecnologia, attorno alle criptovalute negli ultimi anni e soprattutto agli NFT negli ultimi mesi si è creata una nube mistificante che ha reso difficile capire la vera entità innovativa di queste cose.

L’autrice Vicky Osterweil si è lanciata in un attacco particolarmente feroce contro le criptovalute e gli NFT. In particolare sottolinea come la narrazione offuscata e quasi magica che si fa di queste tematiche, spesso giustificata con la complessità dei meccanismi tecnologici che vi stanno alla base, in realtà nasconda delle innovazioni dalla rilevanza evanescente e che porti nel XXI secolo l’alimentazione di bolle speculative.

Come abbiamo già accennato, uno dei presunti obiettivi degli NFT in ambito artistico è di rimuovere tutta quella serie di intermediari (critici, galleristi, curatori, investitori, …) e rendere più vicini gli artisti ai fruitori. In realtà, argomenta l’autrice, l’unica conseguenza su quel fronte è di togliere il lavoro alle persone e sostituirlo con l’uso di energia elettrica.

Si tratta di un quantitativo ingente di energia elettrica: il consumo elettrico, effettivamente, è il dark side of the moon degli asset digitali scambiati via blockchain. Secondo una ricerca dell’Università di Cambridge, la stima del consumo energetico dei miners dei soli Bitcoin si attesta a circa 121.6 TWh di energia, che è comparabile ai consumi di paesi come la Norvegia e l’Argentina. Secondo una stima la creazione di un NFT può costare l’equivalente energetico di guidare un’automobil per mille chilometri. Per supplire alla necessità di potenza di calcolo persone in tutto il mondo si sono messe a costruire ammassi di supercomputer, spesso impiegando forza lavoro a basso costo, distruggendo gli ecosistemi circostanti e di riflesso mandando alle stelle il prezzo delle schede grafiche.

Oltre a questo aspetto estremamente dannoso nei confronti dell’ambiente, a detta di Osterweil gli NFT contribuiscono a rafforzare il dogma della bolla finanziaria: più persone si riescono a convincere del valore di un oggetto, e più l’oggetto assume valore. Come nel Seicento si creò una bolla speculativa attorno alla compravendita di tulipani e il loro prezzo di mercato schizzò rispetto al valore intrinseco, anche attorno agli NFT si sta creando un craze che ha tutte le credenziali per rappresentare una nuova bolla speculativa. Ciò che permette la creazione incessante di valore però stavolta è la sostituzione del lavoro umano con codice e elettricità, andando a detrimento della società come dell’ambiente.

D’altro canto i sostenitori dell’uso di criptovalute argomentano che quello del dispendio energetico sia un buon trade-off, in quanto porta con sè un valore innovativo e soprattutto economico che rende queste tecnologie incomparabili ai paesi del mondo. Ad esempio secondo un’analisi di Simone Brunozzi, Operating Partner presso Cota Capital le transazioni come le abbiamo conosciute finora hanno anch’esse un certo costo sull’ambiente. Esso comprende l’esercizio delle aziende che fanno parte dei sistemi di pagamento (Visa, Mastercard, ecc.) e delle banche.

Brunozzi puntualizza che comunque il confronto con i circuiti di pagamento sia fuorviante, in quanto i Bitcoin (e in generale le criptovalute) rappresentino più un modo di immagazzinare valore piuttosto che per scambiare denaro. A quel punto il confronto più adatto risulta quello con l’attività di estrazione dell’oro: questa è, a detta dell’autore, cinquanta volte più costosa del mining di Bitcoin ed anche considerevolmente più inquinante.

Forse l’avvento degli NFT è il segno che, anche se con caratteristiche tecnologiche, si ripresenta sotto i nostri occhi l’ennesima materializzazione dell’esperienza artistica. L’argomento kantiano dell’arte come priva di secondi fini, priva di alcuna utilità diventa uno strumento per riaffermare l’arbitrarietà del valore dell’oggetto artistico—salvo poi riportare questa mercificazione ad una dimensione puramente speculativa. Non sembra trattarsi di un passo avanti nel mondo dell’arte, piuttosto un passo di lato o anzi un passo indietro, in cui l’esperienza artistica viene fagocitata dalla furia tecnocapitalista a spese della società e dell’ambiente.

Al contempo, bisogna scongiurare una deriva luddista: troppo spesso leggere la realtà in modo troppo favolistico o antagonistico ci porta a compiere delle scelte sbagliate. L’impressione è che la situazione sia molto simile a quella della cosiddetta dot-com bubble, ovvero la bolla economica dovuto all’esplosione delle aziende tecnologiche. Anche in quel caso, dopo un primo momento di entusiasmo che sembrava dover durare in aeternum, in realtà si sia conclusa con una crisi (appunto, la dot-com bubble burst).

Le aziende tecnologiche e che operavano nel settore internet però non sono completamente fallite ed il mercato non si è per questo esaurito: sono cambiate solo le regole del gioco, sono emersi nuovi soggetti e si è consolidato un mercato che per un istante sembrava andato a rotoli. Facendo tesoro di questa esperienza dovremmo iniziare a riflettere sul futuro dell’opera d’arte nell’epoca dell’automazione: senza troppi preconcetti e soprattutto senza la pretesa di avere la sfera di cristallo.

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