PILLOLE DI BEHAVIOURAL ECONOMICS (PARTE PRIMA)

12 Ottobre 2020

Con la serie “Pillole di behavioural economics” vorrei provare a rendere più fruibile il concetto di economia comportamentale, una materia in crescita in diversi Paesi del mondo (soprattutto quelli anglofoni) ma che fatica a decollare nel Belpaese. Oltre a mostrarvi come è nata questa teoria economica, vorrei approfondire il concetto di politiche di nudging (o spinta gentile) e portarne quindi un esempio di applicazione in relazione ai sistemi pensionistici privati.

PARTE PRIMA – LA NASCITA DELL’ECONOMIA COMPORTAMENTALE

Le teorie economiche hanno solitamente bisogno di molto tempo prima di emergere ed esser considerate “mainstream”, ma l’economia comportamentale ha incontrato più obiezioni e battute d’arresto rispetto alle teorie più in voga. Questo è probabilmente dovuto dal fatto che modelli consolidati e rodati come quelli neoclassici e neokeynesiani vengono considerati come “intoccabili” dai detrattori di queste importantissime teorie economiche. In più, il funzionamento del comportamento umano – e le teorie psicologiche alla base di questo – è molto complesso da analizzare e spesso viene trattato marginalmente da buona parte degli economisti: questo conduce ad avere un certo scetticismo nell’affrontare il tema behavioural.

Tuttavia, oggi l’economia comportamentale è in crescita: numerose università (anche italiane) offrono master in behavioural economics, nudging e behavioural finance. La componente comportamentale ha impatti sulle scelte degli individui, quindi costruire modelli economici che – integrando quelli neoclassici e neokeynesiani – tengano conto dell’irrazionalità delle persone dovrebbe diventare una pratica sempre più usuale in futuro.

Veniamo al dunque di questa prima puntata di Pillole di Behavioural Economics: da dove nasce l’economia comportamentale e che ruolo ricopre oggi nel mondo?

DA KEYNES A KAHNEMAN

I modelli neoclassici consentono poche digressioni psicologiche, e secondo i teorici di questa “corrente” queste non sono particolarmente rilevanti. Infatti, la scuola neoclassica ha utilizzato il concetto di homo oeconomicus: un agente economico dotato di razionalità perfetta (sotto l’ipotesi di preferenze complete, transitive e con informazione perfetta).

John Maynard Keynes, con l’introduzione dell’incertezza nel lungo periodo, evidenzia come gli agenti siano mossi da aspettative soggettive, in quanto privi di strumenti per prevedere il futuro. Possiamo dire che il contributo di Keynes fu il primo di una certa rilevanza per l’economia comportamentale, che però allora ancora non veniva trattata come disciplina a sé stante. 

Il primo vero sviluppo nell’economia comportamentale arriva con la Prospect Theory (Kahneman & Tversky, 1979) che evidenzia delle anomalie nei processi decisionali degli individui nelle scelte economiche. Il risultato indica che gli individui utilizzano delle “scorciatoie” mentali (ovvero delle euristiche) quando devono effettuare delle scelte: la razionalità viene ostacolata da bias cognitivi che diventano sistematici in situazioni di incertezza. Una scoperta molto importante degli psicologi Tversky e Kahneman è il concetto di “avversione alla perdita”, la teoria per cui “perdite e svantaggi hanno un impatto maggiore (circa il doppio) sulle preferenze rispetto a guadagni e vantaggi”.

DA KAHNEMAN A THALER

L’economista di maggior rilievo nel campo dell’economia comportamentale è senza dubbio Richard Thaler, premio Nobel per l’economia nel 2017 per le sue scoperte in tal campo. Il suo approccio alla behavioural economics ha richiesto l’identificazione di due tipi di individui: gli Econi (soggetti totalmente razionali, dei computer a tutti gli effetti) e gli Umani (la controfigura irrazionale degli Econi). In altre parole, homo oeconomicus e homo sapiens

Partendo da questa distinzione, egli conia le definizioni di “architetto delle scelte”, “nudge” e “paternalismo libertario”. Ci sono però altri due campi in cui le teorie di Thaler hanno avuto un gran successo, ovvero la “contabilità mentale” (un metodo di organizzare le attività finanziarie di una famiglia che impatta sulle scelte: ad esempio, gli individui spendono più volentieri il denaro vinto al casinò piuttosto che quello derivante dallo stipendio mensile) e la finanza comportamentale (che ha evidenziato come le persone reagiscano in modo irrazionale e quindi inefficiente di fronte a eventi inattesi e drammatici), quest’ultima mossa in particolare da tre anomalie del processo decisionale degli individui: effetto dotazione, avversione alla perdita e bias dello status quo.

ESISTE IL LAVORO DELL’ECONOMISTA COMPORTAMENTALE?

L’economia comportamentale oggi svolge un ruolo di supporto alle discipline già esistenti. Come per il nudging (che vedremo nella prossima puntata), non è previsto un utilizzo della behavioural economics come disciplina a sé stante: l’idea è sempre stata quella di supportare e migliorare i modelli macroeconomici esistenti (e la vita delle persone, ma anche questo lo vedremo più avanti). 

In Italia il ruolo dell’economista comportamentale sembra non andare oltre alla ricerca universitaria, anche se è crescente la domanda nel mercato del lavoro di questo tipo di figure. Nonostante questa difficoltà nell’intravedere prospettive future rosee per gli economisti comportamentali, Daniela Mangini (2017) ha individuato alcuni possibili profili. 

I più interessanti – e realistici, a parer mio – sono l’architetto delle scelte (figura che ad esempio potrebbe progettare interventi di comunicazione per diminuire il costo della risposta e della ricezione del consumatore, in modo da accomodare l’avvicinamento al brand), l’analista comportamentale (il cui compito è quello di capire il contesto, l’evoluzione e il comportamento alla base di un dato statistico) e, infine, il designer dei processi (utile soprattutto nella gestione dei beni e servizi pubblici della Pubblica Amministrazione, che potrebbero essere valorizzati e innovati attraverso competenze come policy making e psicologia).

Alvise Pedrotti

PS: nella prossima puntata si parlerà di nudging e paternalismo libertario.

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