"The Music Lesson", John Smith, Rijksmuseum, http://hdl.handle.net/10934/RM0001.COLLECT.471320

LE GLORIE DELLA MONA. LA POESIA LIBERTINA DI GIORGIO BAFFO

6 Luglio 2021

Il veneziano Giorgio Baffo (1694 – 1768) fu il «Gran Poeta del Cazzo e della Mona». Attraverso poesie, testimonianze e analisi, esploriamo l’opera di uno dei grandi poeti libertini del Settecento.

BAFFO L’OSCENO

Venezia, 9 febbraio 1765. Giovanni Battista Manuzzi, un informatore del Tribunale degli Inquisitori, scrive una relazione sull’anziano poeta Giorgio Baffo (1694 – 1768). Secondo Manuzzi, Baffo «ogni qual tratto ha delle nuove poesie da far sentire alle persone, le quali poesie sono vere empietà, mentre frammischia nelle sue sporche e sordide composizioni Iddio, ponendo in ridicolo e osceno le ammirabili opere della sua Divina Onnipotenza».

Questo Manuzzi, che pedina assiduamente Baffo, è lo stesso confidente che dieci anni prima fa arrestare Giacomo Casanova con l’accusa di essere un imbroglione e un miscredente. Lo stesso Casanova ci parla nella Storia della Mia Vita dell’amico di famiglia Giorgio Baffo, che elogia come «poeta nel più lubrico dei generi, ma grande e senza pari», i cui «poemi, per osceni che siano, terranno sempre vivo il suo nome».

FUNZIONARIO PATRIZIO, POETA, PORNOGRAFO

Giorgio Baffo, nato a Venezia nel 1694 nell’antica famiglia patrizia dei Baffo, è uno dei grandi autori libertini del Settecento. Un «patrizio di second’ordine senza ambizione di carriera politica» che «passò attraverso le varie magistrature giudiziarie con immutabile assenteismo», riporta il Dizionario Biografico degli Italiani. Ma dietro questa attività ufficiale, si agita una seconda personalità di poeta e pornografo. O come si autodefinisce lui stesso: Gran Poeta del Cazzo e della Mona.

Baffo recita i suoi componimenti «scritti su dei foglietti che teneva in tasca insieme alla pezzuola gialla da naso e alla tabacchiera, introducendosi nei crocchi o avvicinandosi all’orecchio degli amici libertini», racconta lo scrittore Piero Chiara. Così, a libertini e perdigiorno della Serenissima Baffo declama versi come: «Me tira el Cazzo, che ’l me và in malora, / me pizza la capella, e più no posso, / l’è duro, come un ferro, come un osso, / adesso el se corrompe, adesso el sbora». Oppure rimprovera Madre Natura: «Eh no l’è stada pur cosa da pazzo / a metter tanta pelle nei Cogioni! / Perchè no farla in altrettanto Cazzo? // Che piaser, che solazzo / in un momento gaverìa la Dona, / sentendo un Cazzo in Cul, e un altro in Mona!».

Secondo Piero Chiara, la forza dei versi di Baffo, oltre alla schiettezza del dialetto veneziano, è il «gusto del parlare aperto, del chiamar le cose col loro nome, del fare scandalo per sollevare brutalmente il velo d’impostura che copriva i baccanali pubblici e privati di Venezia». Infatti, nel sonetto Progetto, Baffo espone il suo intento con una certa onestà: «Altri canta le Furie de Bellona, / altri le azion dei Cavalieri Erranti, / altri i casi, e i sospiri dei Amanti, / mi voi cantar le glorie della Mona. // Dove se puol trovar più bella, e bona / materia, che interessi tutti quanti? / Scriver sulla Moral dei Padri Santi / l’è un seccar i Cogioni a ogni persona».

LO «STIL SCOVERTO». BAFFO L’ILLEGGIBILE

Alcune eccezioni a parte – come versi filosofici o contro il clero –, la poesia di Baffo è un immenso inno al sesso. La filosofia che permea i versi riconosce nel sesso la soluzione dei problemi umani e che da all’atto sessuale una dignità di rito religioso. Nella Dedica, Baffo scrive: «Che i diga, che quà drento no ghe xè / nè critiche, nè offese alle persone, / che de Dio no se parla, nè dei Rè, / ma sol de cose belle, allegre, e bone, / cose deliciosissime, cioè / de Bocche, Tette, Culi, Cazzi, e Mone».

Inoltre, Baffo compie un’ulteriore scelta stilistica: quella di essere estremisticamente leggibile, come nota Pier Paolo Pasolini. In L’Autor Non Vuol Metafore, Giorgio Baffo aggiunge: «mi scrivo in tel mio stil scoverto, / come, che hà stampà Dio le Mone, e i Cazzi». Un erotismo schietto, senza figure retoriche e altre sofisticatezze stilistiche – a differenza di altri stimati libertini, come il grande John Wilmot, II conte di Rochester.

Tuttavia, in una recensione del 1974 sul Tempo, Pier Paolo Pasolini definisce Baffo “illeggibile”. Come il marchese De Sade, anche l’opera di Baffo è un’accumulazione ossessiva, sproporzionata, dunque “illeggibile”. La postuma Raccolta Universale delle Opere di Giorgio Baffo (1789) è infatti composta da 4 tomi straripanti di poesie licenziose. Secondo Pasolini, l’ossessione erotica rende Baffo “leggibile” nella pagina e al contempo “illeggibile” nell’opera. In senso morale, ossia intendendo con “leggibilità” la possibilità psicologica di leggere e con “illeggibilità” il rifiuto psicologico di leggere, Pasolini sostiene che «ci è facile dedurre come un sonetto del Baffo possa, materialmente, essere letto da un moralista – letto, s’intende, come una facile, vacua, spregiata pagina pornografica. Ma quello stesso moralista, mai potrebbe materialmente leggere l’intera opera del Baffo: il suo rifiuto sarebbe furente e omicida: perché si troverebbe di fronte non più alla Pornografia, ma all’enormità della sua Etica e della sua Estetica».

LA CULTURA ITALIANA L’HA CONDANNATO AL ROGO. ED EGLI È TUTTORA LÀ CHE BRUCIA.

Pasolini prosegue sostenendo che «la Cultura italiana l’ha condannato al rogo. Ed egli è tuttora là che brucia», e auspicando di «inserire questo Canzoniere, che nessun professore riuscirà mai a leggere, nella storia letteraria o nella storia tout court: trovare per questo infrequentabile De Sade, sia pure puerile, idillico e sedentario, il posto che gli compete».

Non è sorprendente che le poesie di Baffo abbiano scatenato reazioni disgustate. È pur sempre il poeta che del sesso scrive: «Pure un diffetto trovo in sto solazzo; / che più bisognerìa, che lù durasse, / oppur, che l’Omo avesse più d’un Cazzo, // che, quando mola l’un l’altro tirasse, / o che la gamba, i pìe, la man, e ’l brazzo, / la bocca, el naso, e ’l Cul tutto sborasse». Anche il Dizionario Biografico degli Italiani lamenta «la disperata insistenza su questo unico e squallido tema dell’amore carnale», sostenendo che la poesia di Baffo nasce da una «squallida indifferenza di fronte al valore delle più elementari idealità».

Eppure Baffo – seppur ossessivo, “sporco”, “illeggibile” – è in un certo senso moderno, modernissimo, nella libertà di cantare il sesso con dovizia di particolari. Le poesie di Giorgio Baffo sono una lettura semplice, libera, esilarante. Seguendo l’osservazione di Pasolini, lo si può sfogliare qua e là, come fosse semplice pornografia, anziché un’ossessiva e monotona erotomania. A meno che, volendo sfidare il moralista che è in noi, non ci si voglia confrontare con l’«enormità della sua Etica e della sua Estetica».

In ogni caso, la sua opera è liberamente leggibile via Wikisource, Liber Liber, o Internet Archive.

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