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QUESTIONE DI EREDITÀ

27 Maggio 2021

La proposta del segretario del Partito Democratico Enrico Letta di istituire una “dote” una tantum per i diciottenni, finanziata da una revisione delle imposte di successione, ha infuocato gli animi interni alla maggioranza e riportato in auge un dibattito divisivo nel Paese. Al di là del marketing politico delle parti e delle legittime perplessità sulla concreta fattibilità della misura, l’imposta di successione sulle grandi eredità è una misura fondamentale, liberale e di giustizia sociale. Le aliquote applicate in Italia sono molto lontane da quelle applicate in altri Paesi comparables, mentre le recenti ricerche di alcune tra le più importanti istituzioni globali, come Fmi e Ocse, indicano come redistribuire la ricchezza tassando equamente le grandi eredità possa generare benefici significativi sulla mobilità sociale e nel contrasto alle crescenti disuguaglianze, a maggior ragione dopo lo shock pandemico.

L’imposta di successione

La proposta di Letta consiste nell’istituire una dote annuale per neomaggiorenni meno abbienti, ammessi sulla base dell’ISEE familiare, per un costo annuo complessivo di 2,8 miliardi di euro. La dote sarebbe spendibile per formazione e istruzione, lavoro e piccola imprenditoria, casa e alloggio. La misura verrebbe finanziata da una “revisione in senso progressivo delle aliquote su successioni e donazioni superiori a 5 milioni di euro”. Oggi in Italia l’imposta di successione distingue la tassazione secondo:

  1. il grado di parentela fra chi dona e chi beneficia della donazione;
  2. l’ammontare trasferito;
  3. la tipologia di patrimonio trasferito.

La struttura della tassazione è la stessa per le donazioni in vita o per successioni in caso di morte. Nel caso di trasferimenti in linea diretta, sono soggette a tassazione con aliquota al 4% solo le quote ereditarie o le donazioni che superano 1 milione di euro. I trasferimenti di ricchezza superiori a 100 mila euro sono soggetti ad una aliquota proporzionale del 6%. La tassazione sale al 6% senza esenzioni per i trasferimenti da parte di parenti entro il quarto grado, all’8% per tutti gli altri, anche per i piccoli trasferimenti. In sostanza, un lavoratore medio che guadagna 23.000 euro annui dovrebbe lavorare 45 anni per ottenere 1 milione di euro al lordo delle tasse, in quanto chi riceve in eredità 1 milione di euro dispone all’istante dell’intera somma, senza pagare alcuna imposta.

Di fatto, nel regime attuale la progressività è minima, anche per via dell’effetto combinato di un’unica aliquota proporzionale oltre la soglia di esenzione e di ampie esenzioni fiscali previste su determinate categorie di trasferimenti (quote di società, rami di aziende, titoli di Stato, quote fondi pensione e fondi assicurativi). I democratici propongono un aumento fino al 20% dell’imposta di successione per le eredità superiori ai 5 milioni di euro. La misura riguarderebbe una percentuale molto piccola della popolazione e, tenendo conto dello scarso coordinamento internazionale in materia fiscale, bisognerebbe considerare il rischio di elusione o la cosiddetta “fuga di capitali”.

Il report dell’Ocse e il contesto internazionale

Ad ogni modo, secondo l’Ocse nel 2019 l’Italia si è classificata tra i Paesi con più basso gettito fiscale derivante dalle imposte su eredità e donazioni. L’aliquota applicata negli USA è pari al 40%, in Francia si va dal 5 al 45%, in Spagna dal 5 al 35%, mentre in Germania l’aliquota massima è al 30% e in Corea del Sud si arriva al 60%. In Italia, l’imposta pesa sul gettito fiscale per una quota dello 0,2%, contro una media Ocse dello 0,5%. In testa ci sono Corea del Sud, Belgio, Francia e Giappone con una quota che si attesta sull’1,5%.

Ocse / https://www.oecd.org/tax/inheritance-estate-and-gift-taxes-could-play-a-stronger-role-in-addressing-inequality-and-improving-public-finances.htm

Complessivamente, il gettito italiano non raggiunge il miliardo di euro l’anno, irrisorio rispetto ai 7 della Germania, i 14 della Francia, i 2,7 della Spagna e i 6 della Gran Bretagna. Secondo il Fmi un aumento delle imposte di successione garantirebbe risorse da destinare alla sostenibilità dei debiti pubblici, aumentati sensibilmente con la pandemia e a seguito degli interventi statali a sostegno delle economie.

La proposta del Forum Disuguaglianze e Diversità

La proposta di una dote per i maggiorenni finanziata da un aumento delle imposte di successione richiama quella più organica ed articolata di “eredità universale” lanciata nel 2019 dal Forum Disuguaglianze e Diversità. Quest’ultima prende ispirazione dalle proposte avanzate nel corso degli anni da illustri economisti studiosi delle disuguaglianze, in particolare da Anthony Atkinson.

La versione del Forum prevede una dotazione annuale universale di 15.000 euro destinata a tutti i neomaggiorenni e senza condizionalità nell’impiego della somma. Anche in questo caso la misura verrebbe finanziata da una revisione della tassazione su eredità e donazioni in vita, definite “vantaggi ricevuti”. In particolare, la riforma prevedrebbe la riduzione del numero di persone soggette all’imposta, dalle circa 110 mila attuali alle 30 mila, e l’applicazione di aliquote crescenti all’aumentare dell’importo (uguale alla somma dell’eredità e delle donazioni ricevute in vita) con franchigia fissata a 500 mila euro: aliquota marginale del 5% tra i 500 mila euro e 1 milione di euro, aliquota marginale del 25% tra 1 milione e 5 milioni di euro, aliquota marginale del 50% oltre i 5 milioni di euro. Le risorse raccolte in questo caso ammonterebbero a circa 9 miliardi e verrebbero distribuite annualmente a 580 mila neomaggiorenni.

L’ascensore sociale è fermo 

In Italia è più che mai urgente introdurre un’imposta di successione progressiva, in un contesto storico contraddistinto dal blocco dell’ascensore sociale e dalla scarsa mobilità sociale. Secondo il rapporto annuale sulla mobilità sociale del World Economic Forum del 2020 siamo il fanalino di coda tra i principali Paesi industrializzati, mentre i dati sull’abbandono scolastico e sulla crescita dei neets non sono incoraggianti. La pandemia, generando uno shock sia da domanda che da offerta, ha scombussolato un già fragile mercato del lavoro, mentre con la didattica a distanza il digital divide (insieme all’accresciuto gap di opportunità formative e professionali) ha accentuato le preesistenti disuguaglianze e ne ha generate di nuove.

In questo contesto, i differenti punti di partenza sono sempre più determinanti per le prospettive di vita dei giovani e questo va a discapito proprio del merito e della valorizzazione dei talenti. Allo stesso tempo, se nel passaggio generazionale la ricchezza continua a concentrarsi sempre più e senza alcuna forma di redistribuzione, la società tende a cristallizzarsi: la disuguaglianza di ricchezza delle famiglie di origine incide sulla distribuzione della ricchezza futura e la disuguaglianza dei risultati oggi si trasforma in disuguaglianza di opportunità domani. C’è anche un altro fattore da considerare nell’analisi delle disuguaglianze, ovvero il background familiare.

Secondo gli studi in materia questo fattore contribuisce a definire: qualità dell’istruzione, abilità cognitive, esperienze di vita, soft skills e relazioni sociali. Inoltre, i figli dei genitori più abbienti hanno, in media, un titolo di studio più elevato e la possibilità di essere maggiormente remunerati dal mercato del lavoro per via di una specie di effetto “glass-ceiling”. Questo fenomeno si verifica quando la carriera di una persona è limitata da barriere sociali, razziali o sessuali. È il caso, ad esempio, della disparità di reddito tra un laureato figlio di un laureato e un laureato figlio di un diplomato.

Dunque, è evidente l’urgenza di un intervento del policy maker per riavviare l’ascensore sociale. Quella di una dote per i neomaggiorenni è una delle tante proposte che potrebbero essere introdotte per affrontare il problema. Certamente presenta delle criticità e dei rischi e occorre attentamente valutarne costi e benefici. Ma è ora di aprire un dibattito pubblico laico sul tema della ridistribuzione delle opportunità. Potenziare gli strumenti esistenti che premiano il merito è senz’altro auspicabile (ad esempio aumentare le borse di studio per i migliori talenti) ma non è autosufficiente. La vera sfida è creare le condizioni per liberare le ambizioni dei giovani dai meriti o demeriti delle famiglie di appartenenza, di cui non si è artefici ma passivi beneficiari.

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