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REPETITA IUVANT: LA LETTERA DI TRE MAESTRE AD ALTERTHINK

Due giorni fa è arrivata alla mail di Redazione un pezzo, o meglio, una lettera firmata da tre maestre di una scuola primaria sarda. “In questo particolare momento”, ci hanno scritto in premessa alla lettera, “si sta puntando solo a far ripartire il turismo. E mentre il tema del ritorno a scuola è urgente, temiamo che il tempo per agire, specie se in assenza di linee guida chiare, stia svanendo”. Così anche noi, nel nostro “piccolissimo” proviamo a sensibilizzare più persone possibili, se ancora ci fosse bisogno, sull’emergenza scolastica (che la pandemia ha messo in risalto, ma che è in atto già da tempo). Per questo pubblico qua sotto la lettera nella sua interezza firmata da Giovanna Magrini, Lourdes Ledda e Daniela Marras. Buona riflessione.

«Ben prima che l’acronimo DaD facesse la sua comparsa nella lingua italiana, ben prima che i decreti ministeriali ne facessero menzione, gli insegnanti, in modi differenti, avevano già escogitato strategie didattiche che consentissero di tener viva la relazione pedagogica con i propri alunni; il loro zelo e i loro sforzi non han potuto, tuttavia, rimpiazzare la Scuola vera, luogo concreto in cui avviene l’elaborazione concettuale della realtà e dove, tramite legami affettivi e cognitivi che si vengono a creare, si matura insieme nel rispetto dei ritmi e delle specificità di ciascuno. La variante online della scuola, nonostante l’impegno profuso da chi l’ha sperimentata in toto, ha assunto per lo più le fattezze di video-conferenze popolate da volti sfocati e da discorsi intermittenti che, per giunta, hanno tagliato fuori proprio chi, per svariati motivi, aveva più bisogno di essere incluso; le varie piattaforme fornite dalla rete (e utilizzate su base volontaria dalle istituzioni scolastiche o dai singoli docenti) si sono inoltre dimostrate vulnerabili e non adatte a gestire i dati sensibili di minori e non … E mentre maestri, maestre, professori, professoresse, genitori e associazioni segnalavano queste criticità sin dai primi giorni, c’è stato l’assordante silenzio della politica, dei sindacati e di buona parte della stampa. Poche testate giornalistiche, pochi programmi televisivi ‘di nicchia’ e pochissimi sindacati (quelli con scarso potere contrattuale) hanno, infatti, sollevato il problema dell’emergenza scolastica.

È stato invece più semplice imbonire l’opinione pubblica convincendola che la scuola digitale fosse la panacea di tutti i mali o, se non altro, il male minore: è stato meno dispendioso (o forse no) dare a vedere, a suon di hashtags, che la scuola non si è mai fermata. Più onesto, ma difficile da ammettere, sarebbe stato e sarebbe tutt’ora dire la verità all’Italia: mai si è speso abbastanza per le esigenze strutturali della scuola pubblica; quest’ultima, come la Sanità, non producendo beni di consumo tangibili, ha incessantemente subìto, al contrario, drastiche misure di depotenziamento, il cui risultato è sotto gli occhi di tutti: precarietà dei caseggiati scolastici, precarietà del personale docente ed ATA: precarietà del servizio. In questi giorni, proprio mentre stiamo affidando a voi le nostre riflessioni, alcuni sindacati si son destati dal letargo invernale, dopo aver invitato i loro iscritti e simpatizzanti a scioperare l’8 Giugno 2020, cioè solo dopo essersi già seduti al tavolo della contrattazione, ancora una volta senza aver consultato gli “operai” dell’istruzione. Forse è troppo auspicare che, preso atto delle crescenti proteste, ultimamente anche di piazza, chiedano finalmente a gran voce quanto da vent’anni serve alla scuola pubblica per essere davvero definita buona. Cosa serve? Anche se la risposta è ormai nota non solo agli addetti ai lavori, ma anche ai meno addetti, è sempre vero che repetita iuvant:

  • servono più docenti: occorre stabilizzare i PRECARI che, con tutte le carte in regola, lavorano da anni ed hanno già dimostrato il loro valore sul campo, pur non avendo mai compilato test a crocette;
  • occorre più personale ATA: l’assenza di una vigilanza quantitativamente sufficiente ha prodotto le conseguenze che si son potute leggere sulle prime pagine dei quotidiani di nemmeno un anno fa;
  • servono Dirigenti Scolastici che conservino la memoria di quand’erano a loro volta insegnanti (e magari reclamavano le stesse cose che chiediamo noi ora e non venivano ascoltati). Magnifico sarebbe poi se i D.S. fossero l’espressione diretta della volontà collegiale e non una sorta di casta con tanto di staff asservito al seguito;
  • servono più classi e meno ‘pollai’ per una maggior efficacia del processo d’insegnamento/apprendimento, oltre che per il distanziamento preventivo;
  • servono più edifici, più spazi sicuri, più carta ed anche carta igienica;
  • non occorre INVALSI, perché gli insegnanti preferiscono, piaccia o no, formare menti pensanti (che sappiano dire NO oppure Sì con preparazione e rispetto) piuttosto che addestrare meccanicamente dei burattini;
  • non occorrono ulteriori investimenti nella DaD: lede diritti, viola privacy e non piace nemmeno ai ragazzi/bambini stessi.

Se il sistema educativo nazionale regge ancora, il merito va alla professionalità di un qualificato corpo docente che lavora con abnegazione, non certo a leggi, leggine e decreti vari. Gli insegnanti italiani di ogni ordine e grado invitano, pertanto, quelli che si dilettano a screditare la loro categoria, a visitare più spesso le scuole del territorio per toccare con mano come e in quali condizioni si lavora, si apprende, si cresce.»

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