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THE LUMINEERS: IL CANTO LIBERATORIO DELLA MALINCONIA

16 Febbraio 2021

I The Lumineers sono una band che negli ultimi anni ha acquistato una grossa fama a livello mondiale. Che cos’è a renderli così speciali agli occhi del pubblico?

(via KIRA HELD/Flickr)

If the sun don’t shine on me today”

Scoprire i The Lumineers, per me, è stata una meraviglia assolutamente casuale (oppure l’ennesima vittoria del capitalismo, a seconda delle prospettive). Infatti se li ho scoperti è solo grazie all’algoritmo di YouTube. Sapete quando, a volte, accadono nella vita di tutti i giorni delle cose totalmente inaspettate ma che, nella loro semplicità e ingenuità, mettono seriamente di buon umore? Per capirci: quelle volte in cui trovi 5€ abbandonati da chissà quanto tempo nel cappotto, oppure quando Uber Eats decide di regalarti un buono sconto di 15€ perché percepisce la tua povertà di studente fuorisede. Ecco, ci siamo capiti. Sapete, poi, quelle volte quando si incontra una persona e dopo dieci minuti di chiacchiere ci si sente come se la si conoscesse da una vita? Come un migliore amico, praticamente. Perfetto, siamo a cavallo. Prendete questi due esempi e avrete la migliore spiegazione possibile di cosa siano stati i The Lumineers per il sottoscritto già dopo il primo ascolto. Una sera piovosa di novembre di qualche anno fa, YouTube decise di consigliarmi una canzone della band. Cliccai quasi per inerzia poiché mi piaceva molto la thumbnail. Fu amore a prima vista. Fu praticamente come se avessi incontrato un nuovo amico e questo mi avesse regalato un buono sconto di Uber Eats da 15€! La canzone era questa, buon’ascolto:

“May you return to love one day”

Prima di cercare di spiegare perché i The Lumineers sono per me così affascinanti, qualche informazione di base. I The Lumineers sono un gruppo indie-folk statunitense formato nel 2005 da Wesley Schultz e Jeremiah Fraites a Denver, in Colorado. La band è arrivata alle luci della ribalta nel 2010 per poi conquistare i quattro angoli del globo nel 2012 con l’uscita del primo album dal titolo omonimo: The Lumineers. 11 brani che hanno fatto emozionare, ballare e ridere milioni di ascoltatori con le loro note country e folk, mandolini e tamburelli. Senza contare che nella raccolta si trovano alcuni dei pezzi che sono ormai divenuti dei marchi di fabbrica dei The Lumineers come “Stubborn Love”, “Submarines” e il molto più famoso “Ho Hey”:

“I was Cleopatra, I was young and an actress”

Cleopatra” è il secondo album del gruppo di Denver. Uscito nel 2016 e subito schizzato in cima alla vetta di svariate classifiche (in particolare la “Bilboard 200” e la “UK Albums Chart) è indubbiamente l’album più amato dai fan. La tappa fondamentale del loro percorso. “Cleopatra” è una storia d’amore, di evasione, di libertà ma soprattutto di malinconia e solitudine. Tornava qui in maniera molto più opprimente quella tristezza latente che nella prima raccolta veniva attutita dal ritmo della danza e del canto. Cleopatra è un continuo guardare nell’abisso, osservare impotenti per poi liberarsi tramite la musica. Tuttavia, come ci ricorda Nietzsche, “quando guardi a lungo nell’abisso, anche l’abisso ti guarda dentro”. È inevitabile.

“Gloria, no one said enough is enough”

III”, e non ci vuole un genio a intuirlo, è il terzo album dei The Lumineers nonché l’ultimo pubblicato ad oggi. A Settembre 2019 viene rilasciato e non può che far discutere molto. Dov’è finito il folk? Dov’è quel ritmo dionisiaco che avvolge l’ascoltatore e lo costringe a ballare e cantare? Evidentemente, lo sguardo nell’abisso si era fatalmente tramutato in una caduta libera. “III”, in sostanza, racconta la storia della famiglia Sparks; una storia di alcool, droga, violenza, dolore e poi fuga, ricerca ossessiva della libertà e della felicità. Evito altri spoiler. Il violino ha preso il posto del mandolino. Il pianoforte, nudo e solo, fa da padrone dello spartito. Il lamento ha preso il posto del canto.

“Only love can dig you out of this”

Ho parlato dell’evoluzione dei The Lumineers come di una caduta, il che simbolicamente ha un forte effetto, ma si può andare ancora più nello specifico. Questa discesa nell’abisso è fondamentalmente una scelta stilistica. Il voler affrontare temi più seri, maturi e personali si ravvisa a 360° nella loro opera, dalla musica ai testi delle canzoni (perfino i videoclip su YouTube ne sono un esempio lampante). Tuttavia, e questa è l’idea di chi vi scrive, la ricerca e il metodo espressivo dei The Lumineers non riguarda il “semplice” dolore. Non si tratta, per l’appunto, solo di canzoni tristi, malinconiche e strappalacrime. L’universo The Lumineers rimane in fondo quello della danza, del canto e della leggerezza. Ecco, forse è proprio questo il punto. C’è un forte dualismo nella band tra la vita e la morte, la gioia e la tristezza, il leggero e pesante. Canzoni d’amore (come “Flowers in your Hair”) e canzoni drammatiche (come “Long way from home”) si alternano a comporre un viaggio inaspettato e sorprendente in emozioni così uniche, intense e contrastanti. L’evoluzione della band è quindi sì una caduta, ma una caduta in cui si diventa a tratti così leggeri da risalire, per poi continuare a cadere. Non è forse questa la cosiddetta insostenibile leggerezza dell’essere?

Cosa ci porteranno i nuovi album? Chi può dirlo! Certo è che tutti i fans sperano che la caduta duri ancora molto, perché alla fine i The Lumineers cantano l’abisso della vita per renderlo più leggero. E a noi va benissimo così.

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