Alla fine, il tanto agognato matrimonio tra PD e la federazione Azione-Più Europa si celebrerà. Ieri l’accordo è stato siglato da Letta e Calenda, oggi, probabilmente, arriverà quello con i Verdi e Sinistra Italiana, la federazione no-Nato e no-scienza. In settimana anche PSI, Demos e Articolo 1 avevano annunciato l’adesione al centrosinistra. Nello stesso schieramento sono nati Impegno Civico di Di Maio e Tabacci, Lista civica nazionale di Falasca e Pizzarotti e Ambiente 2050 di Crippa e D’Incà. Alla fine, il rassemblement “per sconfiggere le destre” si fa, restano fuori per motivi opposti Movimento 5 Stelle e Italia Viva.
L’accordo di Calenda e Letta
Sarebbe ipocrita negare che l’accordo sia molto favorevole a Calenda in proporzione alle effettive forze dei partiti. Gli uninominali saranno assegnati al 70% al PD, i restanti ad Azione e Più Europa. Inoltre, verranno escluse da tali posizioni personalità divisive. Letta e Calenda saranno considerati frontrunner delle proprie liste. Infine, sono diverse le concessioni che PD ha fatto sul piano programmatico, a partire dal mancato aumento della pressione fiscale.
Da un lato il centrosinistra acquista più forza elettorale, quindi mette a rischio la vittoria della destra sovranista che tutti davano per scontata. Dall’altro, questa è l’ennesima occasione persa. Non tanto perché sia cosa buona e giusta il terzo polo in sé, quanto perché l’unico vincitore è il bipolarismo, quindi la conservazione. Se qualcuno non se ne fosse accorto, e sarebbe segno di scarsissima lucidità, lo schema di gioco 1vs1 ha letteralmente devastato questo Paese.
Le ammucchiate per sconfiggere le destre non servono
Ma la questione non è solo tattica, è anche strategica. L’Italia è culturalmente più conservatrice che progressista, è evidente. Tanto è vero che l’unico, dicasi l’unico, collante delle varie fallimentari coalizioni di centrosinistra, elettorali o di governo che fossero, è sempre stato “sconfiggere le destre”. A parte far piangere i ricchi, sai che vanto, il leitmotiv è sempre stato questo. Ed è un enorme problema.
La peggiore destra europea
È così perché effettivamente in Italia abbiamo la peggiore destra europea. I tre partiti principali sono sostanzialmente coesi dal punto di vista programmatico, pur appartenendo a tre famiglie europee differenti di cui due, ECR e PPE, con una loro dignità storica e istituzionale. Le divisioni di quello schieramento sono legate per lo più a questioni personali e brame di potere, fatta eccezione per la nettezza con cui FDI ha scelto di stare dalla parte dell’Ucraina.
Ad ogni modo, la destra è rimasta orfana del proprio centro ed è diventata un fritto misto di peronismo, euroscetticismo e ignoranza. Detto in altre parole: amano aumentare la spesa, il debito e anche le tasse, (quello di nascosto), sono inaffidabili nelle relazioni internazionali, sono razzisti e omofobi. È diventata una cloaca priva di ogni briciola di credibilità.
Contendere gli elettori è più importante che demonizzarli
Chi ha letto l’ultimo paragrafo potrebbe chiedersi perché, se la penso così, sono contrario all’idea di costruire una coalizione contro quei buffoni, in gran parte responsabili della caduta del governo Draghi, non vada bene. Al di là delle considerazioni sull’eventuale fragilità e sulle contraddizioni interne che vivrebbe siffatta coalizione, il punto è che quella strategia porta inevitabilmente alla sconfitta.
Sono molto pochi gli elettori di centrodestra che sono disposti a finire direttamente nel centrosinistra. Sono quasi inesistenti se devono migrare per fermare dei (presunti) “fascisti”. Così, moderati e liberali hanno preso le più diverse strade. Pochi si sono spostati, altri si sono messi in attesa al centro, tanti hanno smesso di votare e, altri ancora, hanno seguito l’involuzione del centrodestra radicalizzandosi su posizioni nemmeno condivise. Non saprei dire quanti di costoro sono disposti a tentare una strada di centro, so per certo che sono quasi inesistenti quelli disposti ad allearsi con il ministro Speranza e la cricca dalemiana. Di Bonelli e Fratoianni non parliamone nemmeno.
Fascisti o liberali
Quel pezzetto di centrodestra contendibile, così come una buona parte degli astenuti, non è fascista. Semplicemente non è progressista, forse è liberale. In ogni caso non è disposto a votare a sinistra per tanti motivi. Il PD è necessariamente l’architrave della coalizione ed è visto, a ragione, come il partito delle tasse, dei bonus, dei dipendenti pubblici, del mercato del lavoro rigido. Ma è anche il partito delle ambiguità che contiene Gori e De Luca, Bonaccini ed Emiliano. Personalità diverse tra loro, con idee ai limiti dell’incompatibilità. Tutto ciò che è a sinistra del PD è visto come il male incarnato, forse è eccessivo, ma sicuramente è inconciliabile con il loro punto di vista.
Per togliere i voti alla destra, magari ampliando anche il bacino elettorale, non bisogna fare la collezione di figurine di ex ministri e parlamentari di Forza Italia, bisogna dargli qualcosa in cui credono, o almeno hanno detto di credere. Quindi meno tasse e meno sussidi, più infrastrutture e più rappresentatività del lavoro autonomo, ancoramento atlantico ancor prima dell’adesione convinta all’Unione Europea che non va considerata una divinità, ma un’istituzione che molto deve migliorare.
E sul progressismo, lasciatemi dire, che non è tacciando di omofobia chi vuole modificare un comma del ddl Zan che si cambiano le cose. Facciamo l’esempio dei matrimoni gay. Non bisogna proporli a costoro perché è giusto, è moralmente giusto nel nome della civiltà. Bisogna convincerli sul piano della libertà individuale, o almeno provare a farlo. E via discorrendo su altri temi più o meno simili.
La solitudine del liberale
Chi scrive è di fronte a una delle tante delusioni politiche, forse perché per la prima volta si stava palesando concretamente la possibilità di costruire uno schieramento favorevole alla crescita economica e alle riforme. Pur non essendo definibile liberale classico, come avrei desiderato, quella compagine avrebbe potuto contare qualcosa nel lungo periodo e rappresentare un’Italia che non si è arresa alla mediocrità metastatica dei sovranisti, del Partito Democratico e dei grillini.
Invece, Azione e Più Europa hanno deciso di confermare la loro storia. Nati dal PD per il PD. Per carità, è legittimo e finanche sensato. Ma risponde a una logica perdente, come spiega il professor Castellani, professore di Storia delle istituzioni politiche alla LUISS.
Anche perché un conto solo le alleanze post-elettorali, un altro quelle preelettorali. E non si dica che dipende dalla legge elettorale. Il Rosatellum è orrendo, okay, e penalizza le corse in solitaria, ma non le pregiudica né impedisce di fare ragionamenti un filo più complessi e di lungo periodo di “eh allora vuoi far vincere le destre”.
Tra Italia Viva e l’astensione
Per chi, come me, non è progressista né sovranista e rifugge la logica bipolare che ha contribuito a distruggere il nostro Paese, resta solo Italia Viva, almeno per ora. Parliamo di un partito personale, che ha vissuto e vive una marea di contraddizioni interne. Dall’Arabia Saudita alla nascita del Conte II, dalle scelte discutibili nelle amministrazioni locali alla non proprio eccelsa qualità di molti dirigenti. Nonostante questo, è anche il partito che più ha rappresentato il mondo di cui ho parlato in questo articolo e da cui non nascondo di provenire.
È rimasta letteralmente l’unica opzione per chi detesta la retorica del voto utile, Renzi potrebbe provare a catalizzare l’unicità del posizionamento e superare lo sbarramento al 3%. Inutile dire che sia quasi una mission impossible: un po’ per l’usura e la credibilità del leader e un po’ perché i sondaggi più favorevoli attestano Italia Viva al 2,9%. In tale quadro, forse vale la pena astenersi. Forse no, ma, da ieri, l’alternativa è sostanzialmente una sola.
Purtroppo il Macron della situazione che vince al centro attirando voti di moderati di destra e di sinistra lo puoi fare in Francia col Doppio Turno (fa sempre il mio preferito), non in Italia con le nostre leggi elettorali.