Non sono solito scrivere la mia opinione in un pezzo, però credo sia giusto farlo in questo caso, perché politicamente è successo un fatto che, per quanto sia limitato alla coalizione di centrosinistra, è molto importante per ridefinire lo scacchiere politico.
La politica, come ho anche scritto nell’ultimo articolo uscito per AlterThink, deve essere pragmatica e guardare alla realtà senza ideologie. Personalmente credo che l’accordo tra i leader di Azione – +Europa e Partito Democratico sia un’espressione di quanto ho appena scritto: è senz’altro molto utile a Calenda, è molto utile alla coalizione di centrosinistra e, se riesce a vincere, sarà utile a tutto il paese.
I punti dell’accordo
Una sintesi efficace dei contenuti dell’accordo l’ha fatta Leonardo Accardi nel suo pezzo uscito ieri, che critica invece il patto tra Letta e Calenda. Consiglio di leggerlo per avere una visione d’insieme sull’argomento
Ricapitoliamo però: oltre alla garanzia di non candidare esponenti divisivi come i leader di partito o i fuoriusciti di Forza Italia e Movimento 5 Stelle, l’accordo prevede la divisione delle candidature tra un 70% spettanti al PD e alleati minori (Alleanza Verdi Sinistra e Impegno Civico di Di Maio) e un 30% per Azione-+Europa.
Questo è per quanto riguarda i nomi; è da notare però che l’intesa tra i due partiti insiste molto più sui temi che sulle candidature: vi è infatti ampia convergenza sul programma politico, in particolare sui temi economici (con al centro il salario minimo e la correzione di misure come Reddito di Cittadinanza e Bonus 110%), sui diritti civili (approvazione ius scholae), sulla politica estera (sostegno all’Ucraina ed europeismo) e sull’importantissimo tema della transizione ecologica, con la realizzazione delle infrastrutture che servono all’indipendenza energetica e alla trasformazione verde.
Insomma, a chi critica l’accordo come una spartizione di poltrone, basta leggerlo più attentamente per rendersi conto che i temi comuni contano molto più delle personalità in campo.
Allargare il campo
La strategia di allargare il campo della coalizione di centrosinistra al centro è lungimirante, e fa sì che il bacino di voti sia molto più ampio: senza la componente di Azione, questo centrosinistra sarebbe stata una coalizione schiacciata a sinistra, e avrebbe attirato meno elettori. Inoltre storicamente il centrosinistra italiano ha sempre avuto 3 anime principali: una più radicale a sinistra, rappresentata dalla Sinistra Verde, una socialdemocratica, ovvero il PD, e una liberale-centrista, in questo caso Azione – +Europa.
Fare coalizioni ampie di centrosinistra è comune a molti altri paesi europei: il primo pensiero va subito alla coalizione semaforo in Germania tra Verdi, SPD e i liberali del FDP, che sono stati in grado di formare un governo con una solida agenda progressista, ecologista e riformatrice.
In molti però hanno pensato: in quale altro paese europeo i liberali fanno un’intesa pre-elettorale con i socialdemocratici e la sinistra? È presto detto, ci sono due esempi lampanti in altrettanti paesi dove la destra è storicamente molto forte: il primo è l’Ungheria, dove la coalizione “Uniti per l’Ungheria” ha tallonato il populista di destra Viktor Orban nel corso di tutta la campagna elettorale; o ancora la Slovenia, dove la Coalizione dell’Arco Costituzionale con a capo il primo ministro Robert Golob ha battuto il premier conservatore uscente Janez Jansa.
Come frontrunner di queste due coalizioni citate sopra era stato scelto un candidato moderato, e possiamo dire che Letta è in continuità con questi profili: a differenza di come hanno sostenuto alcuni esponenti di Italia Viva, Letta non è un Jean-Luc Mélenchon in salsa italiana, ma è molto più vicino a Macron di quanto possiamo immaginare, basta vedere le sue posizioni su economia e politica estera. L’esperienza a Sciences Po (fucina di tantissime candidature macroniane) ha sicuramente influito molto sul Letta di formazione democristiana che abbiamo conosciuto in passato.
E allora la sinistra?
Tantissimi hanno attaccato Calenda e Azione dicendo di aver fatto un patto con la Sinistra Verde, partito che non ha votato la fiducia a Draghi e ha votato contro l’invio di armi in Ucraina: beh, è vero, non si può dire di certo il contrario. Però è altrettanto vero che nella coalizione l’Alleanza Verdi e Sinistra pesa per il 2 o 3%: difficilmente saranno accontentati da partiti come PD e Azione che hanno posizioni, ad esempio, sull’Ucraina che sono totalmente diverse dalle loro.
Stiamo quindi parlando di posizioni minoritarie, che sono strumentali per essere competitivi con la coalizione di destra: effettivamente, il maggior pregio di questo accordo è far si che ora il centrosinistra possa raggiungere percentuali più vicine al centrodestra, di modo che si possa provare a vincere queste elezioni cruciali per il nostro paese. E il programma presentato da Azione – +Europa e dal PD è coerente e può essere attuato, a differenza delle promesse irrealizzabili della destra.
Il nodo Italia Viva
Le maggiori critiche all’accordo, come prevedibile, sono arrivate dal partito che si contende lo stesso elettorato di Calenda, ovvero Italia Viva: i sostenitori di Renzi infatti auspicavano un terzo polo, staccato da destra e sinistra, per competere insieme. Sinceramente penso sia molto bello parlare di unità dei liberali, però come ho scritto all’inizio credo che sia necessario essere realisti e abbandonare le ideologie: se c’è la chance di costruire un’alleanza competitiva e seria, bisogna prenderla al volo.
Inoltre l’idea di “terzo polo” è poco utile per il paese e per il panorama politico: abbiamo visto come storicamente in Italia tutti i progetti di coalizioni autonome staccate da destra e sinistra siano falliti miseramente. Dal Patto Segni del 1994 fino a Monti nel 2013, passando per il Terzo Polo del 2008, è ormai chiaro che l’Italia non è né come la Francia del 2016 dove Emmanuel Macron, presentatosi autonomo dai due schieramenti di socialisti e républicains, vince, e non è nemmeno come l’America del 1992, quando Ross Perot in solitaria fa si che i dem di Bill Clinton trionfino.
In ogni caso, chi vuole una proposta politica più centrista può votare per Italia Viva. Lasciatemi però dire che le lezioni sulla coerenza e sulla morale da chi ha cambiato idea tantissime volte nel corso di pochi anni lasciano il tempo che trovano, anche considerando il fatto che nessun politico è stato veramente coerente durante questa pazza legislatura.
Italia Viva vuole tentare di attirare i voti dei delusi del centrodestra, però Renzi è troppo divisivo per essere il Macron italiano, e molto probabilmente il suo astro è tramontato: se supererà la soglia di sbarramento, si limiterà ad essere il kingmaker, sperando solo che il centrodestra non vinca a valanga.
Una scelta
La politica però non può essere solo di “se”, “forse” o “speriamo”: in alcune occasioni bisogna prendersi le proprie responsabilità e fare scelte ritenute da alcuni impopolari ma che in realtà sono coraggiose e lungimiranti.
E qui Calenda ha fatto una scommessa win-win: se la coalizione di centrosinistra vincerà (difficile, ma non impossibile), avrà vinto la sua partita. Se invece perde, avrà comunque contribuito a svecchiare il centrosinistra italiano, e a costruire una nuova alternativa. E in ogni caso, il terzo polo può sempre rinascere, ma questo dipende dalla volontà di Italia Viva, a cui vanno i miei auguri di buona riuscita della campagna elettorale.
Adesso credo sia il tempo di finire con le polemiche e provare a convincere che la destra si può e si deve battere, a colpi di proposte e temi concreti e realistici.