Ritrovare la politica per riformare la società a partire dal lavoro
La distanza che separa il primo giorno di università dalla laurea è un tempo sospeso di spensierata fatica, amici, sogni e incertezze. Poi arriva la corona, il brindisi, le lettere di presentazione, il Cv riempito con creatività, quanto basta e un po’ di più, nell’ingenua speranza di avere più possibilità di essere presi. Le ore passate sul telefono si concentrano su un “social” perverso, dove tutti sono i migliori in qualcosa e annunciano tronfi anche la fine del corso di cucina: LinkedIn.
Qui generazioni di lavoratori si scontrano, con l’estetica violenza dell’ego, a suon di esperienze, volontariato, corsi di formazione online, veri o fasulli conta solo che qualche responsabile HR visualizzi i loro post scritti con impegno e quel curriculum che neanche le loro mamme racconterebbero con tanto entusiasmo.
Un giorno, dopo tanti rifiuti, arriva un’e-mail: ”È con piacere che le comunichiamo che è stato selezionato per un tirocinio di tre mesi con retribuzione di 600 euro”. Hai studiato 5 anni, hai passato dieci mesi ad inviare candidature, avevi addirittura fatto un colloquio al bar sotto casa, per mettere qualche soldo da parte e non pesare sulla tua famiglia, ma ti era stato risposto che cercavano qualcuno che volesse fare carriera lì, nel bar. Hai dubitato delle tue scelte, hai sentito i tuoi genitori preoccupati per te. Hai 26 anni e quei 600 euro non puoi rifiutarli perché rappresentano il futuro, anche se crudele, su cui anni prima avevi deciso di investire e tu ci credi ancora. Accetti.
Sveglia alle 7, caffè, autobus, metro, alle 8:30 sei in ufficio. Sono ormai passati 6 mesi dal primo giorno. Prendi sempre 600 euro ma ti hanno promesso un contratto, presto: “sei bravo, qui puoi fare carriera, non devi pensare ai soldi ma ad impegnarti”. Esci dall’ufficio tutte le sere alle 20 e lasci il telefono acceso perché spesso il Direttore della tua unità la sera ti chiede qualcosa per il giorno dopo, come quella volta in cui eri al cinema, non prendeva e non hai risposto, ti ha cazziato: “se ti chiamo mi devi rispondere a qualsiasi ora, capito?”. Avevi capito, non puoi, tu ci credi ancora. Il telefono non stacca mai e tu non devi staccare. Per un anno intero non prendi giorni di ferie, hai smesso di frequentare luoghi in cui non c’è campo per paura di rimanere disconnesso. Hai quasi 28 anni, non puoi permetterti una casa, gli affitti sono troppo alti, lavori 50 ore a settimana ma finalmente il responsabile risorse umane ti convoca in ufficio. “Vogliamo premiare il tuo impegno di questo anno e mezzo insieme, ma abbiamo limiti di budget quindi ti proponiamo di metterti in partita Iva, 1300 euro al mese, orari, ferie, malattia, non ti preoccupare resta tutto uguale”. Tutto uguale. Avverti dentro di te una rabbia montante, sei incazzato contro i tuoi capi, l’azienda, il mondo, ma violentemente la sopisci. Tu ci credi ancora. Accetti.
Continui a lavorare nella speranza di un vero contratto, di uno stipendio giusto, di un futuro che significa magari una macchina, vorresti tanto quella nera che hai visto sui cartelloni per strada, una casa, forse una famiglia, del tempo libero per imparare a suonare la chitarra. Vorresti una vita normale, come tante, come te l’hanno raccontata, ma questa è la tua, la nostra ed è diversa.
Siamo la generazione a cui è stato detto che non ha voglia di fare niente, a cui è stato raccontato che la politica è inutile. Siamo la generazione dei tirocini gratuiti, della specializzazione, dell’iper-connessione senza contatto, del futuro senza speranza ma anche della fiducia, costantemente tradita, che continua ad animarci.
Il futuro ci appartiene per anagrafe ma non lo possiamo aspettare nel rischio di replicare Godot, lo dobbiamo costruire, ritrovando la convinzione che la politica sia lo strumento con cui cambiare le cose, a partire dal lavoro. Perché quella frustrazione, quei rifiuti, quella competizione esasperata, non è solo tua, è condivisa e la politica è questo: occuparsi dei bisogni delle persone, immaginare un futuro migliore e impegnarsi insieme per realizzarlo.
Perché noi ci crediamo ancora.