European People's Party/Flickr

UNGHERIA: UNA DEMOCRAZIA ILLIBERALE NELL’UNIONE EUROPEA?

19 Giugno 2020

Pensando alle sfide della pandemia, identifichiamo come principale quella economica. Tuttavia, questa crisi sanitaria ha toccato i diritti dei cittadini europei in diversi ambiti. In Ungheria il Primo Ministro Viktor Orbán ha colto l’occasione per rafforzare i propri poteri.

Attraverso il Trattato istitutivo dell’Unione Europea, nel 1992, i capi di Stato sottolineavano “il proprio attaccamento ai principi della libertà, della democrazia e del rispetto dei diritti dell’uomo, e delle libertà fondamentali nonché dello Stato di diritto”. Questo Trattato sanciva inoltre, tra i diversi diritti fondamentali della cittadinanza europea, il diritto di libera circolazione. Il 17 marzo 2020, il Trattato di Schengen (1995), che prevede la libertà di mobilità dei cittadini dentro i confini degli Stati firmatari, è stato temporaneamente sospeso. 

La stessa Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha dichiarato che l’unica soluzione per fermare la diffusione del virus fosse l’isolamento sociale. Attraverso l’imposizione del lockdown i governi di tutto il mondo hanno costretto i cittadini a rinunciare a diverse delle libertà capisaldi dei principi delle democrazie liberali. Anche la libertà di espressione è stata contestata a causa delle diverse fake news che circolavano nei social network. La circolazione di dati e informazioni false ha talvolta messo in discussione persino la credibilità delle ricerche scientifiche. 

Durante questo periodo di insicurezze, incertezze e paure, i capi di Stato e di governo di tutto il mondo hanno dovuto fare scelte che non sempre sono state facili. Molte di queste andavano appunto, in contrasto con i diritti degli individui in diversi sensi. Vista la situazione i cittadini si sono comportati nel rispetto dei provvedimenti presi dai governi, anche se in circostanze normali non sarebbero di certo stati tollerabili.
In questo contesto di smarrimento e agonia, però, c’è chi ha approfittato per farsi riconoscere importanti poteri, mettendo così a dura prova l’assetto democratico del proprio paese, come accaduto in Ungheria. Questo ci porta ad interrogarci anche sulla possibilità che momenti di crisi possano condurre le democrazie liberali a transitare verso democrazie illiberali, se non addirittura a trasformarsi in regimi autoritari.

Il caso ungherese

In Ungheria, il 30 marzo 2020, il parlamento ha concesso a Viktor Orbán di governare con pieni poteri per un lasso di tempo indefinito. Con il pretesto di effettuare delle scelte che tutelassero la nazione durante la crisi sanitaria, il Primo Ministro ha potuto sospendere qualsiasi legge esistente e attuarne altre con decreto, senza controllo parlamentare o giudiziario. Anche le elezioni sono state sospese. Inoltre, chi diffonde notizie false sul Coronavirus rischia di incorrere in sanzioni penali da uno a cinque anni di carcere. Con questa legge, l’Ungheria è diventata il primo Stato membro dell’Unione Europea ad abolire virtualmente tutti i controlli e gli equilibri democratici.

Dal momento in cui questa scelta è stata votata dal Parlamento ungherese, si può pensare che sia avvenuta democraticamente. Nonostante ciò, se si fanno dei passi indietro e ci si sofferma a un’analisi temporale del governo di Orbán, è evidente che questa sia stata un’altra occasione per rompere la stabilità democratica nel paese. Inizialmente, si pensava che l’adesione dell’Ungheria all’Unione Europea nel 2004 avrebbe consacrato la democrazia nel paese. Infatti, per entrare a fare parte dell’UE i paesi candidati devono soddisfare i criteri di ammissibilità, ossia i criteri di Copenhagen (1993). Tra questi, rientrano proprio la presenza di istituzioni stabili che garantiscano la democrazia, lo Stato di diritto, i diritti dell’uomo, il rispetto delle minoranze e la loro tutela.

Le libertà negate

Tuttavia, Viktor Orbán nel 2010, con il suo partito politico di estrema destra “Fidesz”, supportato da una maggioranza di due terzi in Parlamento, ha intrapreso una serie di riforme in direzione controcorrente rispetto a quella sperata. Negli ultimi 10 anni, il governo non ha risparmiato sforzi per frenare l’indipendenza giudiziaria, limitare le attività della società civile e ottenere quasi il pieno controllo. Oltre a questo, il partito di Orbán ha attaccato anche la libertà accademica. Nel 2018, è stata chiusa la Central European University, istituzione americana indipendente dal governo. Non solo, sono stati condannati anche gli studi di genere. Nelle università è vietato l’insegnamento di qualsiasi argomento collegato ai diritti delle donne, stereotipi di genere, transessualità.
Nel luglio 2019 è stata approvata una legge voluta da Orbán che ha smontato la Hungarian Academy of Sciences, istituzione che garantiva l’autonomia accademica. Questa legge ha modificato il sistema di governance che fa riferimento al controllo del sistema universitario e di ricerca ungherese. Attraverso questa modifica, il sistema venne centralizzato e messo sotto controllo politico. 

Le diverse misure prese da Orbán hanno sfidato i principio dello stato di diritto. A questo proposito, il 12 settembre 2018 l’Unione Europea ha deciso di attivare la procedura ex art. 7, par. 1, TUE nei confronti dell’Ungheria, sostenendo la violazione dei valori fondamentali dell’Unione Europea. La procedura è ancora bloccata. 

Le reazioni

I parametri di riconoscimento dello stato di diritto e le libertà di stampa sono precipitati così tanto che persino Freedom House, ONG americana che monitora il grado di libertà civili e diritti politici garantiti in ciascun paese, non considera più questo Stato una democrazia. Il rapporto Nations in Transit 2020 ha classificato l’Ungheria un sistema ibrido.
“L’adozione del 2020 di una legge di emergenza che consente al governo di governare con decreto a tempo indeterminato ha ulteriormente messo in luce il carattere non democratico del regime di Orbán”, si legge nel rapporto.

Freedom-House-Democracy-Hungary-Poland

L’Unione Europea ha reagito tutt’altro che positivamente di fronte alla legge di emergenza di Budapest. La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha sottolineato che gli Stati membri dovessero indicare anche i termini temporali entro cui circoscrivere le misure straordinarie adottate per fare fronte alla crisi sanitaria. 
Sebbene tramite l’art.7 TUE sopracitato i diritti di uno Stato membro possano essere sospesi, non esiste alcun meccanismo per espellere un paese dall’Unione Europea qualora questo adotti politiche antidemocratiche che vanno contro i valori dell’UE. Evidentemente, gli strumenti in mano alle istituzioni europee sono deboli. È plausibile che, qualora l’UE attivi la procedura dell’art.7, questa faccia la stessa fine di quella avviata nel 2018. Infatti, è necessaria l’unanimità in seno al Consiglio Europeo e il Presidente Orbán sa di poter contare sul voto dell’alleato polacco Andrzej Duda.

Il timore più grande era che questa legge fosse arrivata per restare, come già accaduto in passato. Nel 2015, durante la crisi migratoria nella quale centinaia di migliaia di richiedenti asilo attraversavano l’Ungheria, il governo ha introdotto una legge di emergenza sull’immigrazione. Questa è tuttora in vigore, sebbene non ci siano più migranti in Ungheria poiché i confini sono chiusi. Il governo ha di fatto continuato a prorogare questa legge ogni sei mesi, e l’ultima volta è stata a marzo. 
Il 16 giugno 2020 il Parlamento ungherese ha votato la revoca dei pieni poteri del Premier. Nello specifico, vi è stata l’approvazione di due provvedimenti. Il primo pone fine allo stato di emergenza legato alla pandemia. L’altro invece si riferisce all’ordine sanitario e prevede che il governo possa dichiarare di nuovo lo stato di emergenza qualora il Coronavirus colpisca ancora.

Tre ONG che tutelano i diritti umani – il Comitato ungherese Helsinki, l’Unione delle libertà civili ungherese e Amnesty International Ungheria – sostengono che si tratti soltanto di una “illusione ottica”.
“Se i progetti di legge vengono adottati nella loro forma attuale, ciò consentirà al governo di governare nuovamente con decreto per un periodo di tempo indefinito, senza le garanzie costituzionali minime”, scrivono.

La volontà nazionale

Il governo di Orbán ha attraversato troppe linee e ha trasformato il suo paese nella prima non democrazia dell’UE. Fidesz ha numeri molto solidi all’interno del Parlamento ungherese e questo dimostra la fragilità di questo Stato. Come risaputo, i partiti di estrema destra danno soluzioni molto semplici e rassicuranti, parlando a dei cittadini che hanno paura e sollecitando le loro paure. In questo modo ottengono enorme consenso elettorale.
Viktor Orbán si considera l’incarnazione di una volontà nazionale che trascende tutte le barriere, siano esse istituzionali o costituzionali. Nel violare il principio della separazione dei poteri, dell’indipendenza della magistratura e dei media, afferma di farlo per la protezione della Nazione. Il Primo ministro ungherese è il difensore di una democrazia cristiana illiberale, modello considerato necessario per preservare l’interesse nazionale in un mondo globalizzato e multiculturale. Pertanto, la volontà politica trionfa sulle leggi, l’interesse nazionale trascende i principi di giustizia e i diritti fondamentali dei cittadini. Nonostante si tratti più che altro di una democrazia illiberale, la nuova legge ungherese ha dimostrato di poter essere una carta bianca per l’autoritarismo. Se l’Europa non difenderà la democrazia e lo stato di diritto in Ungheria, il danno si farà sentire in tutto il continente.

Madalena Lima

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