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DIRE NO, MA NON IN PIAZZA

26 Agosto 2020

Ci si prova sempre: arginare a valle nella speranza di far dimenticare che sta a monte il problema. Mettere delle rotelle ai grattacapi nella speranza che vadano e scivolino provvidenzialmente nel verso giusto.

Così si tentò di far passare la riforma della prescrizione come una ristrutturazione globale della giustizia, così ora l’oggetto di un referendum che si limita a fissare ad una nuova cifra il numero dei parlamentari viene spacciato per soluzione e regola di garanzia di un nuovo equilibrio del sistema. L’importante è che sul monte la nebbia resti fitta, così da potersi attardare sempre e comunque a discutere con toni accesi e spreco di energie su questioni irrisorie, tralasciando l’urgenza assoluta di affrontare temi vitali per la democrazia. E mentre monta la marea, s’indugerà sulla moralità del taglio della poltrona.

Che i mali del Parlamento siano altri è ben noto a tutti, in primo luogo a chi, politici e giornalisti, si confronta sul nulla nei dibattiti televisivi. In barba all’effetto iper-selettivo che limiterà sensibilmente la voce in Parlamento delle forze minori distorcendo la rappresentanza a vantaggio dei territori più popolosi, in barba a gruppi parlamentari che diventerebbero più piccoli e facilmente controllabili da leader e segretari, in barba ad un’Italia che diventerebbe uno dei paesi europei con il Parlamento più piccolo in proporzione alla popolazione: in mancanza del coraggioso parresiasta che col il sereno soffio della ragione e della verità fa crollare il castello di carte, ecco che la democrazia si fa mera quantità: mi fa 600? M’è scappato 945, che faccio, lascio? Anticasta e risparmio: ecco la grande burla di chi, dal voler aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno, è incespicato nel caviale. 57 milioni l’anno, va da sé poco più della metà di ciò che dichiarano i sostenitori del sì, pari allo 0,007 per cento della spesa pubblica italiana. Un caffè ciascuno: contenti voi.

In Italia c’è un problema: se si prova a guardare oltre l’assenza dell’offerta politica progressista italiana di qualunque promettente proposta alternativa alla palude attuale si vede il nulla. Il popolo italiano, con la limitatezza del suo orizzonte, ha un problema: consegniamo la nostra verve intellettuale e critica a una manciatina di parole polemiche, alle petizioni di change.org e ci fingiamo “la resistenza” nei momenti di svago, seduti sul cesso, scorrendo le homepage dei mille migliaia di social network. Quelli che vengono oggi chiamati “populisti”, perché coltivatori di ignoranza per i propri interessi pareva brutto, hanno annullato le ambizioni progressiste di dare a tutti le opportunità di conoscere e capire le cose. Perché il popolo non ha bisogno di strumenti né di occasioni né di opportunità: va bene così. La zona grigia andrebbe svegliata e recuperata da una cultura di sinistra. Se non fosse che in Italia pure la sinistra ha un grosso problema: si adagia su una presunzione di diversità antropologica, discorsiva e morale, per poi sacrificare qualsivoglia principio, criterio, valore per il raggiungimento di un ulteriore ed elevato obiettivo: pare siano tornati i fascisti da combattere a tutti i costi. Questa sinistra, per la quale sarebbe stupido lasciare al nemico delle armi solo per il fatto di ritenerle sbagliate, è entusiasta di essere uguale alla destra. Perché a sinistra non si dovrebbe mentire, se lo fa la destra? Perché a sinistra ci si dovrebbe sottrarre a demagogie e strumentalizzazioni, se non vi si sottrae la destra? Perché essere “diversi” e migliori, se i migliori sono sfigati e perdono? Ne esce un mappazzone uniforme, brodoso, populista, senza bandiera. E se si vince con il populismo, è il populismo che vince.

Io voto no.

E chiedo cortesemente che coloro che siederanno al mio fianco non portino la loro convinzione in piazza: quando nel gioco si vince di testa, i più si ostineranno a tifare e a giocare “de panza”. L’atmosfera attorno al referendum è stata scaldata dalla pubblicistica grillina che ha sponsorizzato il rimbambimento anti-parlamentare, e ora è densa e puzzolente: #iovotosì fotografa una diffusa volontà di punizione e vendetta, contro la quale non varrà alcun argomento razionale, #iovotosì vuol dire fargliela pagare, a quei fannulloni, incapaci, assenteisti, parassiti. Sia chiaro: la democrazia italiana potrebbe funzionare, magari anche meglio, con un terzo in meno di parlamentari, ma è lampante che prima e dopo tale affermazione andrebbero molti “se” che al momento sono assenti. Perciò l’Italia che si è stufata dei furbi e dei cinici, di sconti e scorciatoie con i propri doveri e vuole iniziare a fare sul serio, voti ciò che vuole, ma inizi a diradare le coltri di nebbia che stanno a monte: senza urlare in piazza, senza tergiversare su questioni di poco conto. Anche questo referendum passerà, e si sa già come. E fallirà inevitabilmente ogni prospettiva di seria riforma. E si tornerà ancora a giocare alla lotteria dei numeri. Peccato che nessuno vincerà: non è e non sarà mai una questione di numeri.

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