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PARLA IL MAESTRO E TUTTI MUTI

Questa sesta edizione dell’Accademia per giovani direttori d’orchestra e maestri collaboratori è dedicata a due capolavori del repertorio verista, Cavalleria rusticana e Pagliacci, opere troppo spesso “maltrattate” da esecuzioni approssimative e tendenti alla volgarità. Si tratta quindi, credo, di un’edizione particolarmente delicata e preziosa, che potrà essere di grande aiuto per i giovani per riuscire a comprendere al meglio la sapienza compositiva, l’arte della strumentazione e la nobiltà delle linee del canto di due titoli fino a qualche decennio fa ritenuti ingiustamente non degni di attenzione. Per ovvie ragioni legate alla pandemia di questi mesi, questa Accademia non può che rivolgersi a giovani musicisti italiani o residenti in Italia, nonostante già da tempo molte fossero le richieste arrivate da ogni parte del mondo. Il mio saluto va anche a coloro che non possono essere con noi.

Riccardo Muti

Con queste parole il Maestro Riccardo Muti ha voluto inaugurare la sua Accademia, tenutasi, come da tradizione, nel magnifico Teatro Alighieri di Ravenna a fine luglio. E’ stata, come ha sottolineato la bacchetta di Molfetta, un’edizione particolarmente “intima”, se vogliamo. La riduzione del numero degli ammessi in sala e le stringenti misure di sicurezza però non hanno assolutamente intaccato il calore che ogni anno permea l’ambiente della Masterclass. Un contesto in cui ci si vuole immergere a pieno titolo nell’Opera, nella Letteratura e nella Storia d’Italia. In cui voler imparare dai grandi e dai capolavori è l’unica ambizione possibile. E tanto basta per sentirsi privilegiati.

Guida, faro, colosso e stella assoluta di questo evento il Maestro Riccardo Muti. Già direttore stabile del Maggio Musicale Fiorentino dal 1967 al 1980 e del Teatro alla Scala di Milano nel periodo 1986-2005, dal 2010 è alla testa della Chicago Symphony Orchestra, una delle Magnifiche Cinque degli Stati Uniti. Ha poi all’attivo direzioni delle più celebri compagini orchestrali del Mondo. Berliner Philharmoniker, Symphonieorchester des Bayerischen Rundfunks, Philharmonia Orchestra di Londra, Orchestre National de France, New York Symphony, Philadelphia Orchestra, sono tutte presenti sul suo curriculum. Spicca infine un glorioso rapporto con I Wiener Philharmoniker, che ha diretto ben cinque volte anche nel celebre “Neujahrskonzert” nella Sala d’oro del Musikverein.

Era il 2004 quando egli fondava l’Orchestra Giovanile Cherubini. Essa molto presto sarebbe diventata una luce in fondo al tunnel per la formazione culturale e musicale dei giovani di tutt’Italia, nonché oggetto di vari riconoscimenti a livello mondiale. Dal 2015 poi, cominciava un processo di condivisione ed insegnamento in ambito, appunto, ravennate, posando la prima pietra della sua Accademia. Obiettivo della “Riccardo Muti Italian Opera Academy” era, e rimane tutt’ora, quello di trasmettere l’esperienza e gli insegnamenti del Maestro ai giovani musicisti, a pochi giovani meritevoli direttori e al pubblico. Inoltre punta a far comprendere in tutta la sua complessità il cammino che porta alla realizzazione di un’opera.

Sul palco dell’Alighieri si sono susseguiti, negli anni, lavori di Giuseppe Verdi, Falstaff, La Traviata, Aida, Macbeth, Rigoletto, e di Mozart, Le Nozze di Figaro. Quest’anno, forse anche per le circostanze eccezionali a livello mondiale, si è colta l’occasione per virare su un repertorio probabilmente meno appariscente delle colossali produzioni Verdiane. Non per questo però meno conosciuto, e subito in grado di catturare l’attenzione generale, di corsisti e appassionati.

Sono state presentate “Cavalleria Rusticana” di Pietro Mascagni e “Pagliacci” di Ruggero Leoncavallo. Due opere brevi, eseguite quasi sempre in coppia, e appartenenti ad una corrente artistico-letteraria ben precisa: il Verismo. Dei due titoli parleremo presto sulle pagine di Alterthink, sull’approccio al Verismo spenderemo invece due parole qui e ora.

Leitmotiv dell’intera kermèsse è stata la volontà del Maestro Muti di trasmettere come queste opere, nonostante siano tra le più eseguite, quanto a frequenza, nel panorama mondiale, in realtà vengano sovente fraintese nel loro intento. La partitura e il colore delle vicende sono state e sono infatti, sempre secondo il Maestro, costantemente macchiate da artifici che non gli appartengono. Questi finiscono per rovinare l’aspetto del loro abito originale. Rispettare la volontà del compositore, e i tratti della “stanza” storica in cui si pone per quello che sono, e non adducendo interpretazioni fantasiose o capricci di forma, non dovrebbe essere solo un obiettivo. Dovrebbe diventare la missione di ogni musicista che si possa definire tale.

Immaginiamo di cambiare ambito. Immaginiamo di leggere un libro cambiando a piacimento una o più parole, per un mero gusto personale. Violeremmo il tempo e la fatica dell’autore, rischiando per altro di intaccare il senso generale dello svolgimento, o ancora di perdere per strada un elemento fondamentale a livello di trama o stilistico. Nessuno di noi lo farebbe mai. E allora, chiede Riccardo Muti, cosa da al musicista la libertà, invece, di farlo per conto suo? Il musicista, come il lettore o l’osservatore, il fruitore di un’opera d’arte, ne è in parte anche un custode. Senza un ricevitore, il senso offerto da un pezzo di Storia varia, o addirittura scema completamente. Sappiamo quanti danni, in passato, siano stati fatti da un’errata trascrizione di dati o testi, o dalla violazione di illustri capolavori artistici. Perchè allora variare il lascito preciso, nero su bianco, di un compositore?

Questo però, attenzione, non significa che l’opera non debba trasmettere emozioni. Lo chiarisce lo stesso Leoncavallo nel celebre prologo dei “Pagliacci”.

“L’autore ha cercato invece pingervi uno squarcio di vita. Egli ha per massima sol che l’artista è un uom e che per gli uomini scrivere ei deve. – Ed al vero ispiravasi.

Non è quindi una mera rappresentazione, quadrata e sterile. E’ vita. E vita, vuol dire passione, e sentimento, e coinvolgimento di anima e corpo. Vuol dire non solo pronunciare un testo di teatro musicale, ma capirlo ed esternare la linfa che gli scorre dentro.

“Per capirle a fondo, per cogliere l’essenza della loro drammaticità e violenza si deve conoscere l’humus culturale in cui affondano le radici, il tessuto culturale del sud dell’Italia: se non si ha coscienza di questo si rischia di cercare di mettere in luce la loro potenza espressiva esagerandole, brutalizzandole, in una parola volgarizzandole, in nome di un’idea del tutto sbagliata e decisamente grossolana di “italianità”. Per esempio, il senso dell’onore e della gelosia che le pervade entrambe, non va giudicato e preso inutilmente a pretesto per attualizzare improbabili letture registiche: piuttosto va messo in evidenza e contestualizzato conoscendo il mondo che lo esprime.”

Riccardo Muti

La “Riccardo Muti Italian Opera Academy 2020” può infine assumersi il vanto di definirsi un evento più che ben riuscito, considerando le premesse catastrofiche. Credo che a livello organizzativo si possa avere un più che buon motivo per brindare.

Non ha soltanto svolto con onore, come sempre del resto, il suo ruolo educativo e culturale intrinseco nella sua natura. Ha anche e soprattutto rappresentato l’emblema di un mondo, quello della Cultura Italiana, vivo più che mai, pronto a risollevarsi dalla batosta terribile di questi mesi. Ha fatto uscire allo scoperto l’Italia che funziona. Quella delle scelte coraggiose, della volontà di fare le cose e del rispetto delle regole. Delle lunghe battaglie senza esclusione di colpi, ma che meritano di essere tali in nome di un sano principio, dell’affidamento ai giovani. Ha messo in scena un concentrato di efficienza, eleganza e positività basato sul rispetto, e sulla reale, indiscussa, fervente voglia di una scossa.

Dall’esperienza dei grandi, nel rispetto degli altri, si è costruito un pezzo di futuro. Si voleva fare, si poteva fare, e alla fine si è fatto. Con qualche sacrificio, certo. Ma si è fatto.

E anche bene.

Qualcosa da imparare?

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