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Come è cambiata Hong Kong ad un anno dalla National Security Law

7 Settembre 2021

Il 22 maggio 2020 l’Assemblea Nazionale del Popolo della Repubblica Popolare Cinese ha votato la contestata Legge sulla Sicurezza Nazionale di Hong Kong che ha eliminato l’ultimo residuo di autonomia dell’ex Colonia britannica. Da quando la legge è stata promulgata il 30 giugno 2020, gli abitanti della città cantonese hanno visto restringersi le libertà fino ad allora garantite dalla Dichiarazione congiunta sino-britannica che introdusse il principio “un paese, due sistemi”. Come è cambiata la città di Hong Kong dall’emanazione della National Security Law?

Meno di un anno fa scrivevamo sulle pagine di AlterThink “Hong Kong è caduta”. Una frase scontata che partiva dall’assunto che l’ex colonia britannica, dopo l’imposizione della Legge sulla Sicurezza Nazionale, voluta dal Partito Comunista Cinese (PCC) e votata dall’Assemblea Nazionale del Popolo in seduta plenaria, è scivolata sempre più in un vortice repressivo, inusuale anche per le città della stessa Cina continentale.

Il punto di partenza del Partito Comunista era semplice: dopo più di un anno di proteste, alcune molto partecipate come la marcia del 16 giugno 2019, altre particolarmente dure e violente come l’assedio dell’università di Hong Kong del novembre dello stesso anno, le autorità centrali avevano capito che la città cantonese era un “virus” che andava isolato il prima possibile, per evitare che la popolazione della Cina continentale iniziasse a dubitare della capacità del governo di garantire la stabilità del paese.

Hong Kong dal canto suo, abitata da una popolazione che si sentiva e si sente diversa dalla Cina continentale, non era riuscita ad accettare di far parte di un paese che si muoveva con regole proprie e diverse da quelle pattuite tra il PCC e il Regno Unito nella Dichiarazione congiunta sino-britannica del 1984.

Sia ben chiaro, che la legge sulla sicurezza nazionale servisse a “normalizzare” la situazione di Hong Kong, oramai in tumulto da mesi, era qualcosa di ovvio e scontato. Quel che forse ha sorpreso di più chi osserva Hong Kong da fuori è la ferocia con la quale la repressione si è abbattuta sugli abitanti della città.

A poco più di un anno dalla contestatissima promulgazione della legge, le autorità cittadine, braccio armato del Partito Comunista Cinese, hanno attuato una serie di misure che hanno penetrato e demolito il fronte democratico di Hong Kong così come lo stesso sistema istituzionale cittadino, la cui autonomia era già stata messa seriamente in discussione fin dal passaggio della città sotto sovranità cinese.

Quel che più sorprende, oltre al numero enorme di persone che sono state arrestate o processate dall’inizio delle proteste – il South China Morning Post a luglio del 2021 contava almeno 173 attivisti nel campo dell’opposizione, inclusi 108 consiglieri distrettuali, arrestati per vari reati fin dallo scoppio delle proteste antigovernative nel 2019, mentre la BBC ne contava più di 100 per presunta violazione della Legge sulla Sicurezza Nazionale – è che le autorità cittadine abbiano scelto obiettivi altamente simbolici per tagliare le gambe al movimento democratico e demoralizzare l’opinione pubblica.

La National Security Law (NSL)

È doveroso fare un passo indietro e spiegare innanzitutto cosa sia questa National Security Law, entrata in vigore ad Hong Kong alle ore 23:00 del 30 giugno 2020. La data è altamente simbolica: la legge è stata promulgata esattamente un’ora prima del 23º anniversario del passaggio di Hong Kong dalla sovranità britannica a quella cinese, a testimonianza che il PCC considera Hong Kong una città cinese a tutti gli effetti, al punto tale da poter imporre una decisione del genere senza che nessuno possa fare alcunché.

La Legge sulla Sicurezza Nazionale, composta di 66 articoli, contiene nel suo nucleo centrale, previsioni legislative che vanno a punire gli atti di secessione, sovversione, terrorismo, collusione con le potenze straniere. Sulla carta nulla di anomalo, dal momento che tutti i paesi, democratici o meno, hanno leggi che perseguono questi reati. L’anomalia della National Security Law di Hong Kong però, si articola su due piani.

Il primo, di natura formale e procedurale, riguarda il potere del governo cinese i poter imporre una legge del genere alla città autonoma di Hong Kong. La Basic Law, una sorta di mini-costituzione cittadina, prevede, all’articolo 18, che “Le leggi nazionali non si applicano nella regione amministrativa speciale di Hong Kong ad eccezione di quelle elencate nell’allegato III della presente legge. Le leggi ivi elencate si applicano localmente mediante promulgazione o decreto legislativo della Regione.

Il Comitato permanente dell’Assemblea nazionale del popolo – prosegue l’articolo 18 – può aggiungere o eliminare dall’elenco delle leggi di cui all’allegato III previa consultazione del proprio Comitato per la Legge fondamentale della Regione amministrativa speciale di Hong Kong e del governo della Regione. Le leggi elencate nell’allegato III alla presente legge si limitano a quelle relative alla difesa e agli affari esteri, nonché alle altre materie al di fuori dei limiti dell’autonomia della Regione come specificato dalla presente legge.

Contemporaneamente però, l’articolo 23 stabilisce che La Regione amministrativa speciale di Hong Kong emanerà leggi per vietare qualsiasi atto di tradimento, secessione, sedizione, sovversione contro il governo popolare centrale o furto di segreti di Stato, per vietare a organizzazioni o organismi politici stranieri di svolgere attività politiche nella regione , e vietare ad organizzazioni o enti politici della Regione di stabilire legami con organizzazioni o enti politici stranieri.

A prima vista quindi, la Basic Law attribuisce alle autorità cittadine, e non quindi all’Assemblea Nazionale del Popolo, il potere di emanare leggi sulla sicurezza, ma il PCC, con un’azione che potrebbe essere considerata un escamotage interpretativo, si è arrogato il potere di imporre la National Security Law, giustificando la scelta anche con l’inerzia delle autorità che per anni hanno provato senza successo a promulgare autonomamente una legge al riguardo, di fatto superando definitivamente il principio “un paese, due sistemi” che vige ad Hong Kong fin dalla restituzione avvenuta nel 1997.

La seconda criticità, di natura sostanziale, è la vaghezza del significato attribuito a parole come secessione, sovversione, terrorismo e collusione con potenze straniere che, come in molti temevano, ha permesso al governo centrale, per tramite delle autorità cittadine, la polizia e la magistratura, di sopprimere il dissenso, riconducendo qualsiasi azione invisa a Pechino come una minaccia alla sicurezza nazionale.

Un esempio su tutti: il 1° luglio del 2020 Tong Ying-kit, 24enne abitante di Hong Kong, ha guidato la sua moto per le strade cittadine sventolando la bandiera con scritto lo slogan delle proteste “Liberate Hong Kong, revolution of our times”.

Tong Ying-kit ha poi concluso la sua corsa cadendo dalla moto dopo che un gruppo di agenti di polizia gli ha sbarrato la strada. Ebbene nel giugno di quest’anno Tong Ting-kit è stato giudicato colpevole di “terrorismo” e “incitamento alla secessione” e condannato a 9 anni di reclusione.

La condanna così dura per un comportamento che rappresenta più un caso di guida pericolosa che di terrorismo, testimonia il fatto che la Legge sulla Sicurezza Nazionale è chiarissimamente uno strumento di repressione del dissenso che serpeggia tra gli abitanti della città.

Gli effetti della National Security Law

In poco più di un anno dalla promulgazione della legge, la città di Hong Kong ha subito un severissimo restringimento delle libertà che fino a poco prima erano garantite ai suoi abitanti. La repressione ha raggiunto tutti gli ambiti della vita sociale di Hong Kong, non risparmiando nessuno dei più feroci critici di Pechino.

Elencare tutte le notizie che si sono susseguite in un anno è un’operazione difficilissima; tanti sono stati gli arresti e gli attacchi contro le varie associazioni e partiti pro-democrazia. In questo articolo, lungi dall’essere esaustivo, verranno raccontati gli episodi che a nostro avviso illustrano maggiormente le conseguenze patite dagli abitanti di Hong Kong a causa della liberticida National Security Law.

Joshua Wong, Agnes Chow e Ivan Lam

Uno degli arresti più simbolici è certamente quello di Joshua Wong, avvenuto nel dicembre del 2020. L’attivista, volto noto del fronte democratico e protagonista della “Rivoluzione degli ombrelli” del 2014, è stato arrestato e condannato a 13 mesi e mezzo di reclusione per aver preso parte ad una manifestazione del 2019. A maggio di quest’anno è poi arrivata una nuova condanna a 10 mesi. Anche in questo caso l’accusa è di aver partecipato ad una manifestazione, quella del giugno del 2020 in ricordo della strage di piazza Tienanmen del 1989.

Joahua Wong, leader dell’organizzazione pro-democrazia Demosistō, scioltasi dopo la promulgazione della legge, è stato condannato insieme a Ivan Lam e Agnes Chow, quest’ultima rilasciata a giugno dal carcere femminile di Tai Lam. Agnes Chow, anch’essa volto noto in città, è diventata una vera e propria eroina del fronte democratico, con i suoi sostenitori che l’hanno soprannominata la “dea della democrazia” e “la vera Mulan”, in riferimento alla leggendaria eroina cinese.

Solo uno dei giovani leader di Demosistō, Natan Law, è sfuggito all’arresto, decidendo di lasciare la città e di rifugiarsi nel Regno Unito non appena è stata promulgata la legge.

Save 12 HK youths

Altra notizia che ha molto colpito i cittadini di Hong Kong è l’arresto di dodici attivisti democratici che, a fine agosto del 2020, tentarono di rifugiarsi a Taiwan a bordo di un’imbarcazione.

Gli arrestati includono: Andy Li, un attivista che è stato arrestato il 10 agosto ai sensi della legge sulla sicurezza nazionale e accusato di “collusione con elementi stranieri”; Quinn Moon, Wong Wai Yin, Li Tsz Yin e Li Yu Hin, Kok Tsz-Lun e Huang Lam-Phuc, quest’ultimo di soli 17 anni al momento dell’arresto. Ancora oggi non è chiaro se gli arrestati siano stati intercettati nelle acque territoriali cinesi.

Particolarità del caso è che gli arrestati sono stati detenuti non ad Hong Kong ma a Shenzhen, nella Cina continentale, città al confine con l’ex colonia britannica. Qui i 12 sono rimasti reclusi per oltre 50 giorni senza che i legali ed i famigliari potessero mettersi in contatto con loro.

Proprio per questo il 12 settembre, alcuni componenti delle famiglie dei detenuti hanno indetto una conferenza stampa chiedendo invano alle autorità di Hong Kong di mediare con le autorità di Pechino e di garantire il ritorno dei ragazzi nella città cantonese.

Amnesty International ha riferito che quattro avvocati assunti da una famiglia nella Cina continentale hanno abbandonato il caso dopo essere stati minacciati dalle autorità cinesi. Gli avvocati hanno riferito di essere stati seguiti, molestati ed avvertiti dai funzionari della sicurezza di abbandonare il caso. Inoltre gli stessi avvocati hanno riferito di essere stati informati dal centro di detenzione di Shenzhen che i 12 avevano assunto dei propri avvocati da un elenco fornito dal governo, gettando il sospetto che gli stessi siano stati obbligati dalle autorità cinesi a prendere questa decisione.

Il 10 ottobre la polizia di Hong Kong ha poi arrestato altre nove persone accusate a vario titolo di aver aiutato i dodici a fuggire fornendo loro alloggio e fornendo la barca con la quale hanno tentato la fuga. Tutti e nove rischiano fino a dieci anni di carcere se ritenuti colpevoli di “aver aiutato la fuga dei fuggitivi”.

Primarie democratiche

A stretto giro un’altra notizia ha scosso l’opinione pubblica cittadina ed internazionale. Il 6 gennaio più di 50 attivisti pro-democrazia sono stati arrestati con l’accusa di sovversione ai sensi della legge sulla sicurezza nazione. L’accusa è quella di aver organizzato o partecipato alle primarie del luglio precedente, la cui data, già fissata in precedenza, cadeva a pochi giorni dalla promulgazione della legge.

Le autorità hanno poi confermato l’arresto per 47 attivisti, i quali potenzialmente rischiano condanne all’ergastolo qualora il caso venisse trasferito all’Alta Corte, dotata del potere di infliggere pene più severe agli imputati.

Le primarie del fronte democratico sono state viste come una sorta di messaggio al governo centrale, specie dopo che le elezioni del consiglio cittadino sono state posticipate di un anno, ufficialmente a causa dell’epidemia da Covid-19, ed hanno visto un’ampia partecipazione popolare, con stime che arrivano fino a 600.000 persone che si sono presentate per votare i candidati. Le primarie indette dal fronte democratico di Hong Kong hanno scatenato le ire delle autorità cittadine e nazionali le quali, a distanza di 6 mesi, hanno utilizzato la National Security Law per infliggere un colpo durissimo al fronte democratico.

A seguito dell’accusa dei 47 attivisti, si è registrato un vero e proprio esodo di consiglieri distrettuali che, in poco più di un mese, hanno portato alle dimissioni di più di 200 consiglieri del campo democratico.

Veglia per il massacro di Piazza Tienanmen

Come detto, l’azione di repressione delle autorità cittadine – leggasi Partito Comunista Cinese – ha avuto obiettivi altamente simbolici. Non sorprende quindi lo psicodramma che ha vissuto la città in concomitanza di uno degli eventi più sentiti, le commemorazioni per il massacro di piazza Tienanmen del 4 giugno 1989. Fin da quel tragico evento, ogni anno ad Hong Kong si è tenuta una fiaccolata per ricordare le migliaia di vittime fatte dall’Esercito Popolare di Liberazione. Già nel 2019 le autorità cittadine vietarono la veglia che si è tenuta ogni anno a Victoria Park, anche in quell’occasione adducendo pretesti legati al diffondersi del virus, ma nel 2020 si è assistiti ad una recrudescenza del fenomeno.

Già a partire dal mese di maggio in molti in città si sono interrogati sull’eventualità di tenere la veglia annuale per accendere le candele in memoria delle vittime, ma ad ogni richiesta dei movimenti democratici le autorità cittadine rispondevano picche.

Gli incontri e la processione pertinenti sono assemblee non autorizzate – ha avvertito in una nota l’Ufficio di sicurezza -. Nessuno dovrebbe prendervi parte, né pubblicizzarlo, altrimenti potrebbe violare la legge”.

L’evento che più ha colpito è stato certamente l’arresto di Alexandra Wong Fung You, conosciuta ad Hong Kong come Grandma Wong, un’attivista democratica veterana di 65 anni. Il 31 maggio Grandma Wong viene arrestata per aver organizzato una protesta solitaria in ricordo del massacro di Tiananmen. La polizia ha comunicato di aver arrestato l’attivista per “aver partecipato consapevolmente ad un’assemblea non autorizzata e aver tentato di incitare altri a parteciparvi“.

Il giorno fatidico più di 200 poliziotti hanno presidiato Victoria Park per impedire ai cittadini di radunarsi per la fiaccolata. Nella vicina area di Causeway Bay, diversi residenti sono scesi per le strade con in mano candele accese o con le torce dei propri smartphone. Alcuni tra i più coraggiosi hanno anche intonato lo slogan caratteristico delle ondate di protesta degli ultimi anni “liberate Hong Kong, revolution of our times“, che le autorità hanno definito illegale secondo la Legge sulla Sicurezza Nazionale. Durante la giornata la polizia ha mostrato degli striscioni che avvertivano la folla di disperdersi per non correre il rischio di violare la legge.

Anche in questa occasione si sono verificati diversi arresti tra i cittadini, mentre 20 consiglieri distrettuali hanno ricevuto lettere di avvertimento dal Dipartimento degli affari interni per le attività relative al 4 giugno.

Il Civil Human Right Front

È notizia recente lo scioglimento del Civil Human Rights Front (CHRF), organizzatore del raduno annuale del 1 luglio – anniversario del ritorno di Hong Kong in Cina – e delle marce che nel 2019 portarono milioni di cittadini a protestare contro la legge sulle estradizioni.

Nell’ultimo anno, il governo ha continuato a usare l’epidemia come scusa per respingere le richieste di dimostrazione da parte del CHRF e di altri gruppi”, si legge nella nota.

Il gruppo, fondato nel 2002, è pervenuto alla decisione di sciogliersi anche per timore che i propri membri potessero essere arrestati ai sensi della Legge sulla Sicurezza Nazionale o per la partecipazione ad assemblee non autorizzate, come successo al leader del CHRG, Figo Chan, oggi in carcere.

Stretta alla libertà di stampa

Uno dei settori più colpiti dalla legge sulla sicurezza nazionale è certamente quello dei media. Nonostante il partito comunista avesse garantito che la libertà di stampa nella città cantonese non sarebbe stata messa in discussione, dalla promulgazione della legge sono stati numerosi gli attacchi ai giornalisti ed editori.

Jimmy Lai e Apple Daily

L’arresto più importante è stato certamente quello di Jimmy Lai, magnate e fondatore di Next Digital, società che pubblicava il tabloid Apple Daily, conosciuto per le sue feroci posizioni contro Pechino.

Che Jimmy Lai fosse inviso al potere centrale era noto, ma il magnate è stato sicuramente la persona più colpita dalla legge sulla sicurezza nazionale. La svolta è avvenuta il 10 agosto del 2020 quando gli agenti di polizia si sono presentati a casa di Lai e lo hanno arrestato con l’accusa di aver violato la Legge sulla Sicurezza nazionale. Lo stesso giorno più di 100 agenti di polizia – qualcuno ha riferito che fossero addirittura 200 – hanno fatto irruzione nella sede di Next Digital e perquisito gli uffici della società. Immagini filmate dagli stessi giornalisti hanno mostrato il numero impressionante di agenti così come l’arrivo nella sede di Jimmy Lai in manette ed accompagnato dalla polizia.

Lai verrà poi accusato anche di cospirazione e collusione con forze straniere, di assemblea illegale e di aver collaborato per permettere il tentativo di fuga verso Taiwan dei dodici giovani.

La sua creatura Apple Daily subirà un destino altrettanto crudele. Il 17 giugno le autorità hanno arrestato il caporedattore e di cinque membri della dirigenza, è nello stesso periodo la società ha deciso di interrompere la pubblicazione del giornale. Il 24 giugno in vari punti della città si sono registrate lunghe code per acquistare l’ultimo numero di Apple Daily.

Pochi giorni dopo, il 27 giugno, Fung Wai-kong, editorialista senior dell’Apple Daily, viene arrestato all’aeroporto mentre cercava di lasciare Hong Kong per il Regno Unito. L’accusa, come al solito, è di presunta collusione con forze straniere ai sensi della Legge sulla Sicurezza Nazionale.

Radio Television Hong Kong

Non solo Apple Daily. Molti media di Hong Kong hanno registrato un restringimento della libertà di stampa a seguito della promulgazione della legge. Dalla fine di febbraio Radio Television Hong Kong (RTHK), servizio pubblico di radiodiffusione, ha visto nominato alla direzione Patrick Li Pak-chuen il quale, a pochi giorni dalla sua nomina, ha confermato di aver impedito la messa in onda di diversi servizi di vari programmi televisivi che riteneva sbilanciati. “Siamo stati informati che nessuna storia politica è consentita“, rivelerà sotto forma di anonimato un giornalista della RTHK.

Dalla nomina del nuovo direttore si susseguiranno poi una serie di dimissioni e cancellazioni di programmi di attualità tra i quali spicca quello in lingua inglese “The Pulse”. Il conduttore Steve Vines ha affermato che alla sua squadra non è stato permesso di comunicare al pubblico che la puntata del 2 luglio sarebbe stata l’ultima.

Gli altri media nel mirino del PCC

Dopo la promulgazione della legge sulla sicurezza nazionale, diversi i media hanno cessato la propria attività e rimosso articoli e rubriche online che avrebbero potuto mettere a rischio la libertà dei giornalisti. Tra questi “HKChronicles”, “Post852” e “Stand News”.

Non solo questo, lunedì 10 maggio il Dipartimento dei servizi per il tempo libero e la cultura (LCSD) ha ordinato alle biblioteche pubbliche di rimuovere nove libri scritti da sei esponenti della democrazia e critici di Pechino per evitare di infrangere la legge sulla sicurezza nazionale.

Il giorno dopo Leung Zhen, una giornalista di Epoch Times, giornale molto critico nei confronti del governo cinese, viene attaccata da uno sconosciuto con una mazza da baseball fuori casa sua.

Nel rapporto sulla libertà di stampa del 2021 di Reporter Senza Frontiere, la città di Hong Kong si colloca all’80° posto su 180 paesi. Solo nel 2002 la città si era classificata 18esima.

Politica, sistema istituzionale e pubblica amministrazione

Le autorità di Pechino, grazie alla National Security Law, hanno sferrato pesanti attacchi anche e soprattutto sul versante politico ed istituzionale di Hong Kong.

Dimissioni di massa dei consiglieri democratici

A metà novembre del 2020 i membri democratici del Consiglio Legislativo di Hong Kong hanno rassegnato in massa le dimissioni dopo che il Comitato permanente del Congresso nazionale del Popolo ha approvato una risoluzione che afferma che qualsiasi legislatore che sostiene l’indipendenza di Hong Kong, rifiuta di riconoscere la sovranità della Cina sulla città, minaccia la sicurezza nazionale o chiede a forze esterne di interferire negli affari della città dovrebbe essere squalificato. Il tutto è avvenuto nello stesso periodo in cui il governo di Hong Kong ha squalificato quattro legislatori dal Consiglio Legislativo: Alvin Yeung, Dennis Kwok, Kwok Ka-ki e Kenneth Leung.

Revisione del sistema elettorale

La modifica più rilevante è certamente la riforma del sistema istituzionale cittadino. L’11 marzo del 2021 l’Assemblea Nazionale del Popolo (ANP) con, 2.895 voti favorevoli, nessuno contrario ed una sola astensione, ha approvato la riforma elettorale di Hong Kong che, tra le varie modifiche, ha sancito il principio de “i patriottici governano Hong Kong”. La riforma ha istituito una commissione chiamata a giudicare il patriottismo e la lealtà alla Repubblica Popolare da parte dei candidati al Consiglio Legislativo cittadino.

Una modifica altamente simbolica, che si inserisce in un più ampio disegno di riforme che ha modificato radicalmente non solo il sistema elettorale, ma la composizione stessa del Consiglio Legislativo. Con le nuove modifiche, i consiglieri passano da 70 a 90, in questo modo diminuendo il numero dei consiglieri eletti a suffragio universale, che fino alla modifica rappresentavano la metà dei seggi disponibili.

Con il nuovo sistema elettorale, invece, i consiglieri eletti democraticamente saranno 20, mentre i restanti saranno nominati in parte della Commissione elettorale ed in parte dai rappresentanti dalle industrie, dei sindacati e dei professionisti, notoriamente e storicamente a favore di Pechino.

Aumentano anche il numero dei componenti della Commissione elettorale, chiamata a scegliere il governatore della città e a nominare, che passa da 1.200 a 1.500.

Fedeltà al governo

La pervasività del sistema autoritario cinese ha colpito anche i funzionari pubblici. Il 12 maggio, infatti, il Consiglio Legislativo di Hong Kong ha approvato con 40 voti favorevoli ed un solo contrario un disegno di legge che richiede ai funzionari pubblici, compresi i consiglieri distrettuali, di giurare fedeltà al governo e di sostenere la Basic Law. In base alla legislazione modificata, i membri dei 18 consigli distrettuali – controllati prevalentemente dal campo pro-democrazia, ma sostanzialmente svuotati a seguito delle dimissioni di massa –, così come gli alti funzionari governativi, dipendenti pubblici, legislatori e giudici, sono ora soggetti a giurare lealtà.

La novità legislativa introduce due elenchi contenenti i comportamenti ritenuti conformi o contrari al giuramento di fedeltà. I comportamenti ritenuti contrari al giuramento ricomprendono anche quelli introdotti dalla National Security Law, tra i quali non riconoscere la sovranità della Repubblica Popolare Cinese su Hong Kong, così come collusione con governi stranieri, atti che mettono in pericolo la sicurezza nazionale e così via.

Per coloro che rifiutano di prestare giuramento o violano l’impegno è prevista una squalifica e l’incompatibilità con la carica pubblica, con la previsione di un periodo di 5 anni durante i quali colui che ha rifiutato di prestare giuramento non è candidabile.

Educazione patriottica

Sul versante dell’istruzione, particolarmente inquietante è l’implementazione dell’educazione patriottica nelle scuole e nelle università.

Le autorità di Hong Kong hanno ordinato alle scuole di adottare un programma di insegnamento di stampo patriottico volto ad inculcare il patriottismo ai bambini fin dall’età della scuola materna. Secondo le direttive, questo insegnamento avverrà attraverso il “racconto di storie, giochi di ruolo, disegno, canto, ballo e altre attività“.

Non solo, fin dall’età di sei anni, ai bambini di Hong Kong verrà insegnato a memorizzare i reati puniti dalla National Security Law. “I fondamenti dell’educazione alla sicurezza nazionale – ha scritto in una nota l’Ufficio per l’istruzione di Hong Kong – sono sviluppare negli studenti un senso di appartenenza al Paese, un affetto per il popolo cinese, un senso di identità nazionale, nonché una consapevolezza e un senso di responsabilità per la salvaguardia della sicurezza nazionale“.

Come parte della campagna di promozione dell’educazione patriottica, il governo ha prodotto un video di animazione di 7 minuti con protagonista un gufo che spiega agli studenti il concetto di sicurezza nazionale. “È diritto e dovere delle autorità centrali emanare la legge sulla sicurezza nazionale“, dice il gufo nel video.

Inoltre il 15 aprile 2020 il governo ha anche proclamato la “Giornata dell’educazione alla sicurezza nazionale”, che prevede di dare agli studenti dell’asilo materiali promozionali per celebrare la Giornata della sicurezza nazionale che elencano i 16 aspetti chiave della sicurezza nazionale.

Successivamente, nel mese maggio, l’Ufficio per l’istruzione di Hong Kong ha delineato delle linee guida per i programmi di insegnamento di Economia, Storia cinese, Storia generale e Studi sociali, in un’ottica di rispetto e promozione dei principi sanciti dalla National Security Law.

Il nuovo programma includerà anche una maggiore spinta all’insegnamento del cinese mandarino e dei caratteri semplificati [ndr: ad Hong Kong si insegna il sistema di scrittura cinese tradizionale] e scambi con la Cina continentale “per coltivare il concetto di stato, identità nazionale e senso di responsabilità degli studenti nei confronti del nostro paese e della nostra gente“, secondo il quadro generale per l’educazione alla sicurezza nazionale della città.

Il Capo dell’Esecutivo di Hong Kong, Carrie Lam, in luglio ha promesso di “portare avanti coraggiosamente” l’educazione patriottica, definita come un’importante politica che la città non è riuscita ad attuare, portando a gravi conseguenze come la mancanza di identità nazionale tra le giovani generazioni.

Gli insegnanti sono stati anche avvertiti dal Segretario per l’Istruzione Kevin Yeung Yun-hung che “in nessun caso” dovrebbero promuovere opinioni politiche personali in classe, pena il licenziamento con divieto a vita di reintegro nel posto di lavoro.

In aggiunta, le autorità hanno anche consigliato agli insegnanti di segnalare eventuali violazioni della legge sulla sicurezza nazionale della città. La notizia, evidentemente accolta con sfavore dal corpo docenti della città, ha generato un profondo sconforto tra gli insegnanti.

Secondo un sondaggio condotto ad inizio maggio dalla Hong Kong Professional Teachers’ Union (PTU), ora sparito dal sito del sindacato, quattro insegnanti su dieci hanno deciso o sono inclini a rassegnare le dimissioni.

Il dieci per cento dei 1.178 insegnanti intervistati ha rivelato che si sarebbe dimesso nel corso dell’anno, mentre la maggior parte di coloro che cercavano di restare ha indicato la famiglia e le finanze come motivazione principale.

Ad agosto il PTU ha informato della decisione di sciogliere l’organizzazione, citando “enormi pressioni” da parte delle autorità di Hong Kong e di Pechino e, come dichiarato dal presidente Fung Wai-wah, “i drastici cambiamenti nell’ambiente sociale e politico” come causa principale della scelta.

Tra gli attacchi più pesanti al sindacato sono da annoverare sicuramente gli articoli scritti il 30 e il 31 luglio dai media statali cinesi, rispettivamente dal People’s Daily e da Xinhua, che si sono riferiti al sindacato come un “tumore maligno” che deve essere “sterminato“.

Stretta alla libertà accademica

I tentacoli della National Security Law hanno cinto strettamente anche le università di Hong Kong. Il 18 marzo 2021 Ian Holliday, vicepresidente per l’insegnamento e l’apprendimento presso l’Università di Hong Kong (HKU), ha inviato una lettera al personale docente senior avvertendo che l’Università dovrebbe operare ai sensi della Legge sulla Sicurezza Nazionale, pur ribadendo il sostegno alla libertà accademica.

Riaffermando l’impegno fondamentale della University of Hong Kong per la libertà accademica e l’autonomia istituzionale – ha detto Holliday –, questo documento raccomanda la creazione di due meccanismi per garantire che, nella sfera di insegnamento e apprendimento, questi valori siano salvaguardati nella massima misura possibile nel quadro della Legge sulla Sicurezza Nazionale”.

A distanza di poche settimane l’University Grants Committe ha chiesto alle università di rendere obbligatoria l’educazione alla sicurezza nazionale, che diventerà l’indicatore per valutare l’allocazione delle risorse nell’ambito del meccanismo di “assegnazione competitiva”.

In una conferenza stampa, Carrie Lam ha affermato che le università di Hong Kong sono state “penetrate da forze straniere” con il proposito di fare il lavaggio del cervello agli studenti spingendo una narrativa anti-cinese.

A seguito di questa stretta alla libertà accademica, sindacati ed organizzazioni studentesche si sono viste costrette a sciogliersi oppure a limitare fortemente le proprie attività.

Hong Kong è Cina

Come risulta evidente, tutte le nuove riforme e misure implementate dal PCC testimoniano la volontà delle autorità di Pechino non di sopprimere solo le libertà di Hong Kong, ma anche e soprattutto di uniformare la città agli standard di tutte le altre città cinesi affinché nessuno dei sui abitanti si consideri diverso dai cittadini della Repubblica Popolare. Questa volontà, con misure molto più cruente e criminali, si registrano anche nelle cosiddette “province ribelli” dello Xinjang, Tibet, e Mongolia meridionale.

Il messaggio è chiaro ed ormai è stato recepito anche dai cittadini della città. Non a caso molti hanno deciso di lasciare Hong Kong per trasferirsi altrove, in particolare nel Regno Unito dato il legame culturale ed il fatto che le autorità britanniche hanno concesso percorsi agevolati per l’ottenimento del visto a tutti i cittadini che detengono lo status di cittadino britannico d’oltremare (British National Overseas).

Il Ministero degli Interni britannico prevede che fino a 153mila persone con status di cittadino britannico d’oltremare e i loro famigliari arriveranno nel Regno Unito nel primo anno, con una previsione di 322mila nell’arco di cinque anni. Ad oggi sono già circa 65mila persone ad aver già fatto richiesta per il visto.

Con amarezza non si può fare altro che constatare che gli abitanti di Hong Kong hanno solo due strade da percorrere: lasciare il paese o accettare il giogo di Pechino. Tertium non datur.

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