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I referendum bocciati e il populismo dei progressisti, di nuovo

Martedì 15 e mercoledì 16 febbraio la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibili il referendum sull’eutanasia e il referendum sulla cannabis. Secondo la Corte, che non ha ancora depositato la sentenza ma si è espressa tramite una conferenza stampa del presidente Giuliano Amato, la bocciatura è dovuta al fatto che entrambi i quesiti, per come sono stati formulati, non si sarebbero limitati ad agire chirurgicamente sui temi desiderati, ma avrebbero riguardato nel primo caso il generale omicidio del consenziente e nel secondo caso la depenalizzazione di tutte le droghe, comprese quelle pesanti.

Ora, è chiaro che all’interno di questi due immensi contenitori ci sono anche le questioni che a noi interessano, ma è come se un fine chirurgo si mettesse a operare con il coltellaccio del macellaio e poi, con aria beffarda, dichiarasse: «Per tagliare, ho tagliato».

Da questa vicenda emerge un fatto che molti si ostinano a non vedere: l’inadeguatezza del mezzo per il raggiungimento del fine. I referendum abrogativi prevedono la cancellazione di alcune parole o frasi da una legge già esistente e non ammettono la possibilità di fare delle aggiunte. Nulla a che vedere con la scrittura di una legge a partire da zero, dove si può circoscrivere il tema e precisarlo in libertà: con i referendum abrogativi bisogna adeguarsi a quello che altri hanno scritto prima di noi e si rischia, togliendo un tassello, di far crollare tutta la struttura.

Proprio questo è il caso del referendum sulla cannabis. Nel Testo Unico sulle droghe, non vi è distinzione tra chi coltiva piante di cannabis e chi produce le cosiddette droghe pesanti. Così, l’unico modo per depenalizzare la coltivazione della cannabis tramite referendum abrogativo era quello di depenalizzare tutte le sostanze presenti nel Testo unico.

Sembra assurdo doverlo specificare, ma il motivo per cui i due referendum sono stati dichiarati inammissibili non è ideologico, ma prettamente formale. La Corte Costituzionale non ha un ruolo politico: non esprime pareri sulla base di orientamenti progressisti o conservatori, ma è un organo di garanzia che si limita a giudicare la legittimità costituzionale.

Nemmeno il tempo di dirlo che i cosiddetti progressisti cominciano a gridare allo scandalo e ad additare la Corte politicizzata come nemica. Da Marco Cappato, promotore delle campagne referendarie, che parla di «micidiale colpo alle istituzioni e alla democrazia» a Fedez, che sul suo profilo Instagram commenta con la spavalda profondità di pensiero che lo contraddistingue: «Fate cagare».

Occorre una breve nota a margine per precisare che la Corte Costituzionale, il 24 ottobre 2018, in riferimento al caso Cappato-Dj Fabo, aveva chiesto alle Camere di legiferare sul fine vita per colmare il vuoto legislativo. Lo stesso Marco Cappato, quel giorno, dichiarava: «La Corte ha riconosciuto le nostre ragioni». In più di tre anni il Parlamento non ha accolto la richiesta della Corte, non ha voluto occuparsi del tema e ora Cappato accusa la stessa Corte, che sta dalla sua parte, di aver inferto un colpo micidiale alla democrazia.

I progressisti nostrani mettono in scena il solito lagnoso teatrino. Raccontano con trasporto la classica storiella del Paese arretrato, della mentalità retrograda, dei bigotti, dei fascisti, dei cattolici addirittura. Sembra che non siano mai usciti dalle assemblee di istituto dei loro licei. Sono adulti e vaccinati e ancora parlano di rivoluzione, con gli stessi slogan di un sedicenne esaltato.

Cambiano luoghi e personaggi ma il copione è sempre lo stesso, con le sue parole d’ordine e le sue frasi fatte. Prendono un tema semplice, divisivo, sul quale è facile armare le tifoserie e dividere la società in buoni e cattivi. Dipingono il nemico come il male assoluto. Ripetono le solite locuzioni trite e ritrite, tanto da farle diventare delle campanelle di Pavlov alle quali rispondono per riflesso condizionato. Eutanasia buona, cattolici cattivi; cannabis buona, destre cattive. Magari non sanno neanche il motivo per cui sono a favore, ma iniziano a salivare affamati, perché va di moda.

Uno dei più grandi paradossi di questi sedicenti progressisti è che si presentano come alfieri di battaglie per l’inclusione, ma sono i primi a escludere chi non la pensa come loro. Lo fanno in una maniera che è sottile ma perfida: chiamano qualsiasi cosa battaglia di civiltà. In questo modo da un lato si arrogano il diritto di non argomentare (non c’è bisogno: vorrai mica essere contrario a una battaglia di civiltà?), dall’altro escludono a priori il contraddittorio (se non stai con me sei un incivile). Il paradosso degli inclusivi che cancellano il dibattito: vero e unico luogo di inclusione.

Personalmente sono favorevole sia alla legalizzazione dell’eutanasia che della cannabis, ma sono curiosissimo di ascoltare le ragioni di chi la pensa diversamente da me. John Stuart Mill, uno dei padri del liberalismo, scriveva che «le convinzioni che riteniamo più sicure non poggiano su altra garanzia che il costante invito al mondo intero a dimostrarle infondate». Desumo che Fedez non abbia recepito.

Credo che sia sempre utile mettere in discussione le proprie certezze. Se le teniamo racchiuse in una bolla di cristallo e viviamo con la paura che questa si frantumi, se ci tappiamo le orecchie per evitare che la chiarezza che fingiamo di avere in testa diventi complessità, significa che quelle che abbiamo non sono certezze, ma dogmi.

Devo ammettere che sono sempre stato scettico sull’utilizzo dei referendum abrogativi per raggiungere l’obiettivo, e non lo dico per fare quello che «ve l’aveva detto». Sono uno all’antica: mi piacciono i partiti, i dibattiti parlamentari, l’élite; mi piace poco il popolo che decide direttamente e che dà dei «pagliacci senza palle» (Chiara Ferragni, Instagram, 27 ottobre 2021) ai nostri rappresentanti. Nonostante questo, dato che il Parlamento ha deliberatamente scelto di non occuparsi del tema, ho ritenuto comprensibile agire tramite referendum e avrei votato a favore nel caso si fossero tenuti.

La decisione della Corte Costituzionale va però rispettata e compresa, anche se fa arrabbiare, anche se abbiamo sudato sotto i banchetti e raccolto più di un milione di firme. Dovremmo ritenerci fortunati perché abbiamo avuto la conferma di vivere in un Paese dove vige lo stato di diritto e dove la Costituzione viene rispettata. Alle prossime elezioni, ricordiamoci di votare con coscienza, che è l’unico modo per cambiare veramente le cose. Intanto le regole rimangono lì e ci salvano dalle derive: evviva la democrazia!

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