In attesa degli esiti, molto poco politici in realtà, delle amministrative, i risultati delle elezioni europee mostrano uno tsunami politico.
Astensionismo
Il primo dato drammatico è rappresentato dall’astensionismo: nello stivale vota quasi il 49,7% degli aventi diritto; considerando i residenti all’estero e i fuorisede, la quota scende al 48,2%.
Un elettore su due, complessivamente, non vota. Questo dato è specchio di un’amarissima disillusione del “popolo” nei confronti della democrazia liberale. Bombardati dalla retorica becera della eterodirezione della politica, l’elettorato abdica al suo ruolo di sovrano. C’è chi magari lo fa per cause di forza maggiore, impossibilitato dai limiti dell’ordinamento o dagli ostacoli di ordine economico e logistico. Ma non illudiamoci: non è tutto il 44% ad essere stato impossibilitato!
Chi ha vinto
Se chi non vota sceglie di trasformare la democrazia in una oligarchia (od oclocrazia, a seconda delle visioni), chi sceglie dà segnali particolari.
Resuscita Forza Italia, alla buon’ora. Non arriva ai livelli storici di quando Berlusconi era, anche ultraottantenne, mattatore della politica fatta di talk show, polemiche e moralismi ipocriti di una parte contro di lui. L’inversione di tendenza c’è. Risorge soprattutto nelle isole (20,2%), trascinato da giovani fuori dalle logiche della classe dirigente ex Publitalia80 e da personalità moralmente e culturalmente imponenti come Caterina Chinnici.
Il Partito Democratico risorge, prima volta in controtendenza dall’andamento complessivo iniziato dopo la guerra ai segretari iniziata dopo il 2014. Riprende territorio in centro Italia, si afferma come primo partito dell’Italia meridionale.
Fratelli d’Italia tiene bene botta, anzi guadagna elettorato. Ma non così tanto. Le forze di governo apprezzate dalla popolazione, come abbiamo visto le scorse tornate, volano molto oltre il 30%. Nel 2014, il PD convinse un 15% di elettorato in più rispetto alle politiche. Nel 2019 la lega guadagnò oltre 17 punti percentuali. Il partito di maggioranza relativa si consolida, ma non vola. Guadagna, in media, meno del 3% rispetto alle politiche, con quasi un milione di voti in meno.
Alleanza Verdi e Sinistra, in maniera assolutamente insperata, vola al 6,7%. Probabilmente non sintomo di fiducia nelle proposte, ma dal consenso generato da soggetti imputati e condannati, in barba alla Severino (finalmente, ma ipocritamente dopo trent’anni di retorica fondata sul giustizialismo e sulla questione morale). Mimmo Lucano, sindaco di Riace indipendente condannato (in un processo capestro e politico), e Ilaria Salis, sotto processo per un capo d’imputazione che sarebbe procedibile anche in Italia, trainano la lista.
Chi ha perso
Chi ne esce con le ossa rotte è sicuramente il Movimento 5 Stelle. Giuseppe Conte è il primo sconfitto delle europee: il suo partito dimezza i consensi, da 4,6 milioni di voti a 2,3 milioni. Il partito è letteralmente imploso, sfiduciato anche dalla moltitudine di persone che sono sopravvissute con (se non di) reddito di cittadinanza e superbonus 110%, i cui costi continueremo a pagare.
Ha perso la Lega di Salvini, e Salvini stesso. È riuscito a dissipare il 75% dei consensi in tutto il Nord, comprese le roccaforti leghiste da oltre vent’anni. È riuscito a far fuggire l’anima stessa del settentrionalismo bossiano. Eppure, non rinnegando l’antimeridionalismo, di cui l’autonomia differenziata è figlia, è riuscito a mantenere una percentuale non indifferente anche nel mezzogiorno.
Hanno perso Renzi, Bonino e i socialisti, che non arrivano alla soglia di sbarramento malgrado un progetto credibile per qualche migliaio di voti. Ha perso Calenda con la corte di superstiti di guerra che si è creato, con la quale ha condotto una campagna elettorale all’insegna dell’autoscontro.
Conseguenze del voto e scenario comunitario
Ciò che le urne delle europee ci dicono è che, tra i grandi paesi, l’unico il cui governo esce rinforzato è quello italiano.
Macron in Francia implode con l’exploit di Marine Le Pen, al punto di sciogliere il Parlamento e convocare elezioni legislative. I socialdemocratici tedeschi finiscono sotto AfD e sono costretti a ripensare interamente all’agenda politica. In Spagna il PSOE regge malgrado l’avanzata di Vox e i Popolari primo partito. Macron, Scholz e Sanchez indeboliti. Meloni, invece, no. Dato da non sottovalutare.
Altro dato che esce: l’Italia si sta trasformando in un oligopolarismo imperfetto. Imperfetto perché il centro si è politicamente suicidato, il Movimento 5 Stelle ha fatto una fine più ingloriosa e ignominiosa persino della gioiosa macchina da guerra e le forze dell’ex alleanza di centrosinistra non riescono a stare insieme.
C’è quindi l’impossibilità di costruire un secondo polo e un terzo polo. Se infatti a destra riescono a stare insieme malgrado gli asti personali, a sinistra l’odio personale diventa pregiudizio politico. Così Calenda fa la crociata morale contro Renzi; Schlein propone una nuova agenda senza inseguire Fratoianni e Bonelli; Renzi e Bonino costruiscono un’agenda di sinistra più concreta e credibile di quella di Fratoianni e Bonelli; Schlein prosegue nella linea dell’isolamento nei confronti di Renzi attribuendogli colpe di Letta e della classe dirigente post-bersaniana.
L’unità (possibile?) delle sinistre
Insomma, per odio personale si dividono. Quando invece una coalizione costruita, come quelle messe in piedi da Bersani e Prodi, attorno a liberali, socialisti, popolari e radicali è quello che serve. È più credibile, ma nessuno ce la fa.
O meglio: ci hanno provato Più Europa, Italia Viva e Partito Socialista Italiano. Con un progetto che, a parere di chi scrive, rimane valido e da salvare malgrado la debacle alle urne. Dovrebbe, anzi, diventare una componente da coltivare per garantire spazio ai piccoli e una nuova area laica al centrosinistra.
Il PD deve superare la mentalità fagocitante e tornare, come al tempo di Bersani, un ponte per far dialogare centro ed estrema sinistra. Essendo il partito maggiore del PSE e tra quelli d’opposizione, ha il dovere di riunire socialisti, liberali, socialdemocratici e popolari. E soprattutto, a maggiori numeri corrispondono maggiori oneri: uno tra tutti quello di essere garante dell’esistenza dei piccoli.
Superare l’alchimia tossica con il Movimento 5 Stelle, che è probabilmente più affine a moralismi preconcetti e al leghismo che pur l’ha fatto piangere dal Papeete. Costruendo un asse che compatti Renzi, Bonino, Schlein e Fratoianni.
E Calenda? È quello che è andato col PD per entrare in Europa per poi abbandonarlo alla prima colpevolizzazione utile; è quello che ha fatto un’alleanza con Più Europa durata quanto un gatto in tangenziale per le ultime politiche; quello che ha voluto un’alleanza con Italia Viva per rottamare poi il Terzo Polo a poltrona ottenuta e a primo screzio con il leader; è quello che ha creato un cartello elettorale-carosello con decine di sigle che scaricherà appena possibile. Non c’è Azione senza Calenda, ma Azione c’è malgrado Calenda.
Grandeur Meloni (ma Salvini…)
Il centrodestra è sempre più stabile e forte. Forse la voce moderata si rifarà forte, ma tutto dipende da quanto sarà in grado di tirare Forza Italia, e quanto si sarà in grado di isolare le ali più estreme della coalizione. A partire da frange della Lega preoccupanti fino ad ali di Fratelli d’Italia che si dimostrano costantemente legate ad una storia ideologica contro cui è stata costruita la Repubblica e la Costituzione stessa.
Quel che è assicurato è che l’Europa ha, oggi, un’Italia più forte. Ma anche un’Italia più debole. Un governo stabile e riconfermato è comunque molto più debole, visto l’allarmante astensionismo.
Se non altro “Giorgia”, eletta, non andrà al parlamento europeo (tradendo il mandato elettorale? Valuti il lettore). Però non ne esce con le ossa rotte e con una bomba politica sotto la poltrona, come Scholz, Macron e Sanchez… o forse si? Un leghista in difficoltà è più o meno pericoloso di un leghista al 35%?