“Bene: e Dio gli perdoni, e perdoni a tutti quanti noi.
Qualcuno sale in alto per i suoi peccati, altri cadono per le proprie virtù
qualcuno si tira fuori da un pantano di colpe, senza rispondere pur di una sola
un altro, per una sola è condannato a morte.“
William Shakespeare, Misura per misura, Atto II, Scena I.
Politica-Netflix
Il DDL Zan è stato definitivamente affossato a Palazzo Madama. Il Senato ha stabilito con scrutinio segreto di non procedere all’analisi degli articoli. Eppure questo progetto di legge è stata forse la prima grande dimostrazione del potere mediatico della cosiddetta politica-Netflix, neologismo coniato dal direttore di YouTrend Lorenzo Pregliasco. Quest’agosto in un periodo solitamente privo di grande attività politica il progetto di legge proposto da Alessandro Zan si era conquistato le prime pagine dei giornali e un posto al vertice dell’agenda mediatica dei politici grazie all’impressionante campagna social che lo aveva coinvolto.
Vari personaggi pubblici si erano esposti ed espressi sia in un senso che nell’altro. Chi in maniera goffa, chi in maniera seria e preparata. Tutti affermando la propria appartenenza a uno schieramento, a favore o contro. Il tema era e resta delicato perché la tutela dei diritti d’autodeterminazione individuale e il modo in cui questi vengono tutelati dallo Stato sono ormai il motore di un rinnovato interesse da parte dei più giovani per la politica. La questione incrocia l’attivismo queer, la quarta ondata di femminismo e la militanza politica sui social dove la dimensione informativa si confonde spesso e volentieri con quella propagandistica. A partire dal movimento #MeToo nel 2017 è diventato evidente il fatto che un tema qualsiasi, una volta politicizzato e reso virale sui social abbia effettivamente la capacità di smuovere alcuni elementi strutturali dell’ordine sociale. Anche se spesso più dal punto di vista formale che sostanziale.
Questa consapevolezza ha trasformato il modo di concepire i social per molte persone ed ha creato un dibattito riguardo alle grandi questioni relative all’autodeterminazione dell’individuo e al modo in cui la società debba relazionarcisi. Una primavera politica che ha permesso di rinnovare e svecchiare alcuni dei temi al centro del dibattito pubblico ed ha portato una ventata di freschezza nella discussione politica. C’è però un problema dietro l’angolo. Come tutte le idee sostenute da una solida percezione etica del mondo è infatti molto facile cadere nella trappola ideologica. Soprattutto se il mezzo di diffusione di queste idee sono i social, dove l’autoreferenzialità è favorita dagli algoritmi e la mancanza di profondità d’analisi è nota e strutturale.
Il risultato è un’ideologia posticcia, forte di molti soldati ma pochi leader e che esercita la sua influenza quasi esclusivamente sui nuovi media senza avere le capacità per interagire in maniera decisa con altre leve del potere. Quest’influenza social esiste perché vengono sfruttati gli stessi meccanismi che hanno portato la Lega salviniana dal 4% al dominio di Facebook e infine alla conquista di una fetta consistente dell’elettorato. Engagement e viralità attraverso indignazione, capacità di coinvolgere personaggi apparentemente apolitici, di dettare l’agenda mediatica, di dare un senso di urgenza esistenziale alle questioni. Tutto ciò unito a una convinta presunzione messianica di essere dalla parte del bene assoluto e ad una buona dose di squadrismo social.
Quanto possa la fortuna nelle vicende umane
Il meccanismo funziona ma è condannato ad essere minoritario. Il tasso di engagement e viralità si mantiene alto solamente se il dibattito è conflittuale. Se c’è un noi e un voi e si è contro. L’attivismo social negli ultimi quindici anni quando ha funzionato veniva portato avanti in questi termini. Il problema è che una volta accesa la locomotiva è difficile fermarsi dove si vuole. La scorsa estate c’è stata una sorta di rifiuto della dimensione pragmatica della politica e un’incapacità diffusa da parte dei sostenitori del DDL Zan di evitare che questo venisse strumentalizzato da ogni singolo partito dell’arco parlamentare. La destra per dire siamo di destra, la sinistra per dire siamo di sinistra, il centro per dire esistiamo. Tutto questo in un’epoca dove le grandi famiglie ideologiche novecentesche sono state rimpiazzate da qualcosa che non è ancora chiaro e che sicuramente ha una presa identitaria meno forte rispetto a quella dei vecchi paradigmi.
Ad agosto lo stesso Fedez era arrivato a spiegare una versione tutta sua della procedura parlamentare per calendarizzare una legge. Lo aveva fatto davanti a un pubblico che, a onor del vero, altrimenti non si sarebbe mai approcciato a un qualsiasi tema politico. La centralità della questione dal punto di vista mediatico era assoluta. Però alla fine non se ne è fatto niente. La colpa in un primo momento era stata data a Renzi per nascondersi dietro al dato oggettivo, cioè che in parlamento non c’erano i numeri per approvare una legge del genere. Soprattutto se ideologizzata e presentata come granitica necessità etica per l’avanzamento della società. L’onda partita dagli Stati Uniti, dimostrazione tra l’altro del per nulla decadente dominio americano in campo di soft power si è assestata anche in Italia negli ultimi anni. Istituzionalizzata forse per la prima volta da Alessandro Zan si è però scontrata contro la politica grigia e noiosa. Quella che decide.
Si poteva decidere di scendere a compromesso, di provare a spoliticizzare la questione o di tentare di abbassare i toni ma tutte le parti coinvolte hanno rifiutato queste opzioni e si è preferito portare avanti la politica di piazza. Piazza social in questo caso. Il risultato è che le persone che sarebbero state tutelate da alcuni articoli del DDL Zan continuano a non essere tutelate e l’Italia sul tema rimane indietro rispetto a molti paesi europei. Questo Parlamento difficilmente sarà mai favorevole ad una legge di questo tipo, il Governo è disinteressato e la scarsa presa istituzionale della questione prefigura esclusivamente la via referendaria o la pazienza. Colpa di tutti, colpa di nessuno. In pieno stile gattopardesco.