Cosa succede se la fede per la propria squadra comincia a vacillare? E’ questo dubbio accettabile?
“Il calcio è la sola religione del mondo che ho intorno”. Recita così Brunori Sas, nel suo brano “Come Stai”. Una semplice frase che fa riflettere sull’importanza che si attribuisce al calcio in questo paese. Non c’è dubbio che in Italia il calcio sia lo sport più seguito, ne sono la prova l’importanza che i media danno ad esso, o l’esempio di certe tifoserie sfegatate e completamente dedicate all’adorazione della propria squadra.
A proposito di questo, il tifo ha diverse somiglianze con la fede religiosa, tanto che spesso, nel chiedere quale sia la squadra per cui si tifa, si usa il termine “fede calcistica”. Si cresce nella norma che avere a cuore una squadra senza avere dietro di sé troppe motivazioni logiche è normale, anzi, non è nemmeno necessario spiegare. La motivazione di risposta, se richiesta, è per la maggiore un racconto su chi ti ha tramandato la fede, e quando si ha cominciato a prendere coscienza di questa scelta: “sono cresciuto come juventino dalla nascita, mi è stato detto che la mia squadra era la Juventus da mio padre e così è stato fino al presente.”
Crescendo tuttavia è possibile che nascano dei dubbi sulla natura del proprio tifo. Ci si ritrova a chiedersi se è davvero quella la propria squadra, o se si è rappresentati dagli ideali che esprimono.
Capita talvolta di assistere al fenomeno di certe persone che rinnegano il proprio tifo, o cambiano fede, e la sensazione che si percepisce dell’ambiente circostante di amici o della cerchia coinvolta è la visione di una santa inquisizione che lapida questo atto come una vera e propria eresia. Non si può tradire il proprio credo. Non si deve. Ci è stato insegnato così. Far parte di una tifoseria porta con se certi dogmi che vanno a suo modo rispettati, come la considerazione per i vari conflitti, la demonizzazione del tale rivale e il possedere un certo tipo di ambizione.
E se qualcuno, alla luce delle sue riflessioni della sua presa di coscienza su questo possibile dubbio di fede, si riconoscesse di più, facendo leva sul classico esempio delle tifoserie calcistiche italiane, nell’animo combattivo e di cuore degli interisti? O nell’orgoglio milanista? Oppure nel complicato amore dei romanisti? Perché un improvviso, ma ragionato, cambio di fede non dovrebbe essere accettato?
La questione è che la fede non si sceglie. La fede ha per definizione insita una prova di fiducia, che in ambito sportivo porta il tifoso a mettere completamente il cuore in mano alla squadra in cui si crede. Una volta compiuta questa preferenza, volontaria o meno, non si torna indietro. Per questo un cambio di squadra può essere vista come forma di debolezza, perché in questo atto vi è dietro un sentimento di codardia, ovvero la rinuncia alla propria “missione”.
Questo dubbio però è innegabile nella sua esistenza, e non significa che sia da escludere a priori nel proprio ragionamento. Il dialogo interno che provoca il dubitare, genera una più attenta riflessione sulla comprensione delle altre tifoserie, e di conseguenza, si spera, un maggiore rispetto per esse. Mettersi in discussione alimenta un dialogo pià intelligente tra tifosi, e prova ad eliminare la componente dell’odio irrazionale a cui spesso si assiste, sostituendola con l’ammirazione della propria scelta, ma non con l’invidia.