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IL TRIPLETE IN CINQUE TAPPE

Caso vuole che il mio primo articolo coincida con l’anniversario dell 22 maggio 2010. Non posso quindi sottrarmi dal rivangare alcune “sliding doors” del triplete nerazzurro.

Da interista non posso che ricordare con assoluta delizia il 2010. Quell’ Inter fece una delle imprese più grandi della storia del calcio. Perchè il triplete ( ovvero vincere nella stessa annata Campionato, Coppa nazionale e Champions League) è un traguardo raggiunto solo da sette squadre nella storia del calcio.
Per il decennale della vittoria della Champions League voglio ripercorrere quella annata segnando cinque tappe che, per me, sono state le vere svolte nella stagione della squadra guidata da mister Josè Mourinho.

PRIMA TAPPA: IL MERCATO

Indubbiamente la rivoluzione fatta nel luglio 2009 è il primo, deciso passo.

Togliamoci subito un’osservazione: in successi simili non è tutto calcolabile, anche la fortuna ha la sua componente. Per esempio, l’affare Lucio. Il brasiliano non è la prima scelta sul mercato. Mourinho vuole completare il pacchetto arretrato con un suo pupillo, Carvalho. Vista l’impossibilità di arrivare al giocatore portoghese, la dirigenza dell’Inter ripiega come “seconda scelta” su Lucio. Scelta azzeccata visto il rendimento che avrà il giocatore in quella stagione, ma forzata dal rifiuto del Chelsea di vendere Carvalho.

Sempre rimanendo in tema buona sorte bisogna ringraziare il Real Madrid per avere praticamente costretto Wesley Sneijder ad accettare la corte dell’Inter. Chi ha buona memoria si ricorda lo sguardo mesto e abbattuto dell’olandese una volta arrivato a Milano. Da lì però cambia la musica e il fantasista diventerà uno degli elementi cardine del gruppo nerazzurro.

In quel mercato l’Inter decide di rinunciare alla sua star, Zlatan Ibrahimovic, in cambio di un certo Samuel Eto’o, fresco campione d’Europa, più 46 milioni. 46 milioni che vengono in parte investiti per prelevare due giocatori del Genoa di Gasperini: Diego Milito e Thiago Motta. Tutti questi elementi fortemente voluti da Josè Mourinho sono decisivi nella splendida annata nerazzurra.

La ciliegina sulla torta arriva a gennaio quando Goran Pandev viene prelevato dalla Lazio a costo zero. Con lui l’ Inter riuscirà a dare una svolta nel modulo da adottare. Ma è un punto che affronterò nelle prossime tappe.

SECONDA TAPPA:  DINAMO KIEV- INTER 1-2

In quella freddissima serata del 4 novembre 2009 l’Inter ha solo un imperativo: vincere. I nerazzurri si trovano ultimi nel girone di Champions League per colpa dei tre pareggi in altrettante partite. Devono trovare la prima vittoria in campo europeo.

Pronti via e l’Inter è subito sotto. A segnare per gli ucraini è un giocatore purtroppo noto a tutti i nerazzurri: Shevchenko. Un ex milanista sta condannando l’Inter all’uscita anticipata dalla Champions.

La partita è nervosa e piena di errori da una parte e dall’ altra. Una di quelle partite dove vuoi solo che arrivi il novantesimo per terminare quella agonia. Ma, per come intendo io lo “spirito Inter”, è proprio nella sofferenza e nel buio che l’Inter viene fuori. Citando Michele Serra ” L’Inter è una meravigliosa capriola nella vita.”

A cinque minuti dalla fine il risultato è ancora inchiodato sull’1-0. Poi Sneijder riesce a scodellare un pallone in mezzo su cui Milito si avventa e riesce a prendere in controtempo il portiere avversario. 1-1. Ma non basta, con un pari l’Inter sarebbe ancora ultima del girone a due partite dal termine.   Qualche istante dopo, ad un minuto dal termine, si completa la rimonta. L’1-2 arriva su un pallone sporco dopo una respinta sbagliata del portiere Bogush. Dopo un batti e ribatti sulla linea di porta è Sneijder, ancora decisivo, a buttarla dentro.  Qualche minuto di recupero e la partita finisce: l’Inter rimane in corsa per il superamento dei gironi. Superamento che arriverà come seconda del gruppo dietro al Barcellona campione in carica.

Senza dubbio però quel 4 novembre 2009 è una partita chiave del percorso in Europa della squadra di Mourinho che passa in tre minuti dall’eliminazione certa all’euforia per la vittoria.

TERZA TAPPA: CHELSEA- INTER 0-1

Il 16 marzo 2010 rappresenta per me forse il primo momento in cui ho capito che l’inter in Europa poteva dire la sua. L’Inter arriva a questa sfida tre giorni dopo aver perso in maniera netta e sorprendente contro il Catania per 3-1 in campionato.

In generale il periodo dell’Inter non è brillante, anzi: in campionato si sono persi parecchi punti e la rosa è ridotta a causa di diversi infortuni. L’unica cosa che fa ben sperare è il risultato del l’andata dell’ottavo di finale: l’Inter aveva vinto 2-1 a San Siro contro gli inglesi. Quindi si può giocare per due risultati su tre. Fatte queste premesse, visto il periodo e il risultato dell’andata, ci si aspetta una partita di sacrificio, guardinga, insomma un “catenaccio” in pieno stile italiano.

Invece Mourinho cosa fa? Basta con l’equilibrato 4-3-1-2, via un centrocampista e dentro un attaccante:    4-2-1-3. “E’ matto, questo è completamente fuori di testa.” Penso io, e ricordo come durante il prepartita anche in tv, seppur in maniera meno diretta, si sospetta la perdita del lume da parte del tecnico portoghese. Anche perchè l’allenatore del Chelsea non è il primo arrivato, è Carlo Ancelotti. Uno che fa della tattica il suo mantra, il suo punto di forza. Questo gli va contro con un trio Pandev-Milito-Eto’o? Roba da pazzi.

Invece no. E’ una partita dove l’Inter non sbaglia quasi nulla, anzi rischia molto meno dell’andata nonostante il peso offensivo notevole dell’11 titolare. Risulta molto più pericolosa l’Inter, che ricordiamo può giocare anche per il pareggio, piuttosto che il Chelsea. Il gol siglato da Eto’o dopo l’ennesimo passaggio illuminante di Sneijder è la naturale conseguenza di una partita vinta da Mourinho proprio nel terreno in cui Ancelotti ha costruito la sua fortuna, ovvero la tattica: I continui raddoppi di Eto’o e Pandev, autori di una partita di sacrificio encomiabile, un Cambiasso che con tutti i chilometri macinati non fa sentire la mancanza di un centrocampista nel modulo, insomma il 4-2-1-3 è la spinta che serve all’Inter per alzare l’asticella.

Il cammino è ancora lungo, ma da qualche parte bisogna pur iniziare.

QUARTA TAPPA: ROMA- SAMPDORIA 1-2

Ripeto quello che ho detto all’inizio: imprese sportive simili hanno bisogno anche della buona sorte. La buona sorte che il 25 aprile 2010 sorride all’Inter. I nerazzurri in campionato non sono padroni del proprio destino: troppi i punti persi, la Roma è davanti dopo una rimonta incredibile e si trova a +1 a 4 giornate dalla fine. Quella sera però succede l’imponderabile.

La Sampdoria sta facendo un’ottima stagione grazie alla coppia Pazzini-Cassano. La partita però si mette subito in discesa per la Roma che pare non volersi fermare più: dopo 14 minuti il capitano Totti batte Storari ed è 1-0. Da quel momento scompare la Sampdoria dal campo. La Roma è in costante proiezione offensiva ma la porta sembra maledetta. I giallorossi però sono tranquilli: in fondo stanno comunque vincendo, quindi il primo posto è sempre loro.

Poi all’improvviso come nel più classico dei racconti thriller, il colpo di scena. Colpo di scena che vede protagonisti proprio i due attaccanti sopracitati, Cassano e Pazzini.

E’ il minuto 52, Fantantonio riceve palla sulla fascia e senza nemmeno guardare mette un cross nel mezzo: sa che Pazzini in quel periodo è come una calamita per i palloni. Infatti è così, Pazzini sovrasta un disattento Riise e segna. 1-1 e tutto da rifare per la Roma. Il copione della partita però è lo stesso del primo tempo, i padroni di casa attaccano, creano ma Storari (il portiere blucerchiato) è in serata di grazia.  Arriva l’ 85mo minuto.

Chi ha giocato a calcio conosce una delle regole non scritte che determinano questo gioco: “Gol sbagliato, gol subito”. In poche parole se sbagli tanto sotto porta è matematico che verrai punito dagli avversari. Questa partita non fa eccezione. Contropiede della Sampdoria,pallone in area di rigore. Lì, ancora una volta, Riise si fa bruciare da Pazzini che con la punta del piede deposita il pallone in rete. 1-2. La partita finisce fra le lacrime dei giocatori giallorossi che sanno di aver buttato via la loro chance. L’inter torna prima e da lì non cambia più nulla con entrambe le squadre che vincono i restanti tre match e l’Inter festeggia il diciottesimo scudetto.

QUINTA TAPPA: BARCELLONA-INTER 1-0

Come ultima tappa avrei potuto mettere svariate partite: la finale col Bayern Monaco dove il “Principe” Milito diventa “Imperatore”, la finale di Coppa Italia, la partita di Siena decisiva per lo scudetto. Avrei potuto mettere quella che, a mio avviso, è la partita migliore che io abbia mai visto giocare dall’Inter ovvero la semifinale di andata col Barcellona terminata 3-1.

Ma voglio portare quella che secondo me è la “partita più interista”. “Ma Stefano, la partita più interista sarebbe una sconfitta?”. Proprio qui nasce l’Interismo. Uno non tifa inter per i grandi successi: per quelli ci sono Milan e Juventus che hanno sicuramente un palmares più ricco. L’Inter si sostiene per lo spirito, per la totale tendenza all’autodistruzione e al caos,da cui però possono nascere ogni tanto imprese bellissime come quella del 2010. L’Inter si tifa se per lo spettatore è importante non annoiarsi mai (d’altronde non viene definita “pazza” per caso). Quei 90 minuti nella bolgia del Camp Nou sono proprio questo: l’Apologia della sofferenza che si trasforma infine in estasi.

L’Inter arriva a questa partita di ritorno della semifinale forte del 3-1 maturato a S.Siro. Contro però c’è il Barcellona. Un Barcellona che nei gironi ci ha già battuto. Un Barcellona che già l’anno prima (e lo farà anche negli anni dopo) ha dominato in Europa e detiene il titolo di campione. Se c’è una squadra capace di fare la “remuntada” è sicuramente quella catalana guidata dal Maestro Guardiola che può schierare Ibrahimovic, Messi, Xavi, Piquè, Dani Alves, insomma un numero sconfinato di campioni.

Mourinho sa che lo aspetta una squadra che sul piano del palleggio è inarrivabile: l’arma per cercare di controbattere il tiki taka catalano è la fisicità. L’Inter mette subito corsa, raddoppi e grinta fin dal primo minuto. Forse troppa grinta: al minuto 30 Thiago Motta riceve un rosso “generoso” per una manata in faccia a Busquets. Inter in 10.

Eppure i minuti passano e nonostante la superiorità numerica il Barcellona non riesce a sfondare: il costante assedio risulta fittizio.

A 6 minuti dalla fine però Piquè, un difensore, riesce a sfondare il muro nerazzurro e trova l’1-0. Con un altro gol passerebbe il Barcellona.

I restanti 10 minuti (contando il recupero) sono allucinanti da vivere incollati al divano di casa propria. L’ Inter è talmente arroccata nei pressi della propria area di rigore che nelle rare volte in cui si trova in possesso palla deve per forza buttarla via vista l’assenza di giocatori offensivi. In pieno recupero il cuore degli interisti si ferma quando Bojan Krkic butta la palla in rete, ma il gioco è stato fermato in precedenza per un fallo di mano al limite dell’area.

Alla fine arriva il triplice fischio. La corsa di Mourinho verso lo spicchio di tifosi interisti è una delle immagini più belle ed emblematiche della stagione. L’Inter è ai cancelli dei grandi del calcio.

Perchè nessuno lo diceva per scaramanzia, ma dentro di noi, quella notte, è nata la convinzione che l’Inter la “Coppa dalle grandi orecchie” la avrebbe portata a casa.

Ed il 22 maggio 2010 così fu.

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