Da oggi, giovedì 24 dicembre, l’Italia intera torna ad essere zona rossa, fino al 6 gennaio, ma solo nei festivi e prefestivi. Restrizioni quindi alla Vigilia (auguri!), a Natale, a Santo Stefano, e domenica 27 dicembre. Poi, nuova stretta il 31 dicembre e il primo gennaio. Più 2 e 3 gennaio, un sabato e una domenica, e il 5 e 6 gennaio. Le nuove norme decise dall’esecutivo vieteranno o consentiranno, a seconda del colore e del giorno, spostamenti e visite ma anche aperture di negozi, ristoranti e altre attività. Saranno feste all’insegna del rigore, come è giusto che sia: ma la vittoria della linea dura, sulla via del paradosso, ha portato con sé non poca confusione.
Quattro chiacchiere con Vitalba Azzollini.
Nella serata di giovedì 3 dicembre Giuseppe Conte illustrava in conferenza stampa le nuove misure per il contrasto e il contenimento dell’emergenza da Covid-19 in vigore dal 4 dicembre al 15 gennaio 2021. Il Provvedimento manteneva la diversificazione delle restrizioni, già adottata dal Dpcm 3 novembre 2020, nelle tre zone gialla, arancione e rossa, corrispondenti ai differenti livelli di criticità nelle Regioni del Paese. “È un sistema che si sta rivelando efficace”, ha dichiarato il Presidente Conte durante la conferenza stampa e che permette di adottare misure adeguate e proporzionali all’effettivo livello di rischio dei territori, evitando quindi un lockdown generalizzato che sarebbe “molto penalizzante per tutto il Paese sia in termini economici che sociali”. In occasione della presentazione dell’ultimo decreto, 18 dicembre 2020, il Presidente Conte ha ribadito la bontà e l’efficacia di tale suddivisione. Come si spiegano dunque l’improvviso abbandono e la ritrattazione di tale strutturazione? Sono mutati gli indicatori di rischio? Cosa si sa oggi che non si sapeva il 3/12, data del Dpcm natalizio?
«Il problema del nuovo decreto non è solo di merito – misure confuse e poco coerenti – ma di metodo. Ciò che più ha disorientato negli ultimi giorni è stato, da un lato, il dietrofront del Governo rispetto al tanto vantato sistema dei 21 indicatori; dall’altro, il cambiamento della portata e dell’estensione temporale delle misure restrittive, senza alcuna spiegazione trasparente. La situazione non è cambiata, di certo non è peggiorata, rispetto al Dpcm del 3 dicembre. Quasi tutta Italia è diventata zona gialla, eppure il Governo dispone limitazioni tali da renderla zona rossa durante le feste. E motiva il nuovo decreto con quanto si legge nelle premesse (già richiamato anche nel decreto-legge del 2 dicembre): “l’evolversi della situazione epidemiologica”. Ma non è dato sapere quale sia questa evoluzione. Anzi, il Presidente del Consiglio, nella conferenza stampa di presentazione del decreto, ha spiegato che la situazione è in miglioramento». Ma perché citare una situazione che diviene sempre più rassicurante per giustificare la “necessità e l’urgenza” del nuovo provvedimento, e dunque di nuove e più stringenti costrizioni? «Di scientifico in questo non c’è niente. Luigi Di Maio, in un’intervista, ha giustificato le nuove restrizioni dicendo che “appena le Regioni hanno iniziato ad allentare le misure abbiamo cominciato a vedere i Corsi principali delle città piene di assembramenti”. Premesso che un provvedimento normativo che ha impatti rilevanti sulla vita delle persone non può essere basato sulle foto delle vie dello shopping, il ministro ha detto una cosa errata: le Regioni non hanno allentato nulla. Il comma 16, art. 1, d.l. 33/2020, modificato da d.l. 125/2020, consente alle Regioni solo misure più restrittive, non ampliative». Esponenti del Governo usano l’argomentazione secondo la quale nelle feste sono maggiori le occasioni conviviali, e di conseguenza occorrono argini rafforzati. «Insomma, nulla che già non si sapesse quand’è stato emanato il decreto precedente. E allora, visto che non è cambiato niente, il rispetto della fiducia dei cittadini imponeva che ci si attenesse alle regole già dettate per Natale, anziché creare più disorientamento di quanto già ce ne fosse. Anche perché disporre limiti e restrizioni, senza spiegarne la proporzionalità rispetto alla situazione di pericolo in atto, ma motivandoli con la mera precauzione, è una deriva pericolosa». Il rischio insomma è che in qualunque altra occasione si giustifichi la soppressione di libertà e diritti con la motivazione che “altrimenti potrebbe andare peggio”: postulato della prudenza.
Eppure, un mese fa l’obiettivo era far scendere l’indice RT sotto l’1 per salvare il Natale. Ora, con un indice a 0,86 e dopo un mese di sacrifici, ci attendono 15 giorni di ulteriori inasprimenti. Da «se a novembre rispetteremo le regole riusciremo ad affrontare Natale con maggiore serenità», si è passati a «solo regole più restrittive durante le festività potranno evitare una terza ondata di contagi». E sebbene in tutta Europa si assista ad un inasprimento delle restrizioni, è favola tutta italiana quella del salvataggio del Natale, portatrice di aspettative e, al contempo, scaricatrice di responsabilità sui cittadini. Questione di trasparenze?
«Questo è uno degli argomenti che alcuni governanti usano per giustificare le più recenti restrizioni natalizie: in tutta Europa si dispongono nuove limitazioni. Ma, prima di usare tale motivazione, sarebbe meglio mettere a confronto sia la situazione che c’è altrove sia le misure adottate in altri Paesi rispetto a quanto accade in Italia. L’esterofilia nostrana non può estendersi fino al punto di reputare bastevole la spiegazione “così fan tutti”, senza spiegare se davvero le limitazioni siano commisurate al rischio che si corre. Per “il bene del Paese” si può decidere qualsiasi cosa, ma cambiare continuamente idea e decreti crea solo un clima esasperante. Le persone si erano organizzate, alcune avevano pure sostenuto esborsi finanziari, fidandosi del Dpcm precedente. È poco serio creare un affidamento nelle regole adottate, e poi disattenderle– come detto – senza fornire evidenza che vengono modificate perché gli indicatori di rischio sono mutati». Eppure alcuni esponenti del Governo continuano a dire che quanto fatto finora ha funzionato, ma sanciscono restrizioni come se fosse l’opposto. «La gente si sente presa in giro, e ciò alimenta la sfiducia collettiva verso chi esercita il potere. E la sfiducia è l’ultima cosa di cui c’è bisogno. La pandemia ha colto tutti di sorpresa, il disorientamento di chi avrebbe dovuto tenere saldo il timone del Paese, registrato nella cosiddetta prima ondata, era giustificato. Oggi non lo è più. Oggi si pretende un Governo coerente, che segua con razionalità una linea di condotta improntata a criteri trasparenti, che si assuma la responsabilità delle proprie scelte e anche dei propri sbandamenti, come altri leader hanno fatto. Sarebbe una forma di rispetto verso i cittadini. Invece, i governanti continuano a dare la colpa a questi ultimi, anziché assumersi la responsabilità del mal funzionamento di meccanismi che sarebbero dovuti scattare a tutela della salute di tutti».
Le misure adottate in Italia per il contenimento del contagio durante le festività sono molto simili a quelle adottate, ad esempio, in Germania. Sono misure che in larga parte fanno leva sul buonsenso dei cittadini, in quanto aggirabili insinuandosi tra pieghe e spiragli che permettono a gruppi di amici di ritrovarsi nei giorni immediatamente successivi al Natale. Appurata la confusione delle indicazioni a cui si accompagnano margini poco chiari di azione, che generano anche forte disuguaglianza – se si hanno più case, e più di una macchina, si è più liberi di muoversi e di aggirare alcuni parametri – secondo lei c’è qualcosa di “sbagliato” anche nell’intenzione con cui i cittadini si approcciano, o potrebbero approcciarsi, ai nuovi provvedimenti? La raccomandazione è uno strumento poco efficace in senso assoluto o in special modo in Italia?
«È stato poco serio fissare criteri “oggettivi” di classificazione delle Regioni per zone di rischio, con restrizioni commisurate al rischio stesso, stabilire regole per il periodo di Natale e poi derogare con disinvoltura a tutto questo, all’ultimo momento, ricorrendo alla contrattazione politica – l’antitesi della “oggettività” – per decidere la nuance del colore della penisola durante le feste. Se i decisori fossero un minimo più coerenti forse le norme godrebbero di maggiore riguardo e i decisori stessi di più elevata considerazione». Chiuse le piste da sci, lo sport del Natale sarà lo slalom tra i divieti. «È ormai chiaro a chiunque che si devono evitare incontri non necessari e molto altro. Se è vero che le regole giuridiche sono farraginose e aggrovigliate, le regole di buon senso ognuno dovrebbe ormai riuscire a darsele da solo, dopo dieci mesi di pandemia». Invece così non è, evidentemente.
«Forse abbiamo questi decisori perché ce li meritiamo».
In conclusione, una riflessione che riguarderà anche il nostro futuro più prossimo, «speriamo»: i vaccini. La gestione di una situazione emergenziale si struttura in maniera sostanziale sulla base di una forte dicotomia: volontarietà o obbligatorietà? La società in cui viviamo è la democrazia che abbiamo scelto, questa scelta implica la tacita accettazione di regole di convivenza e di comportamento che prevedono che chi le vìola sia punito sulla base delle leggi che sono determinate dal nostro ordinamento. Ci si è soffermati a lungo, come opinione pubblica, come esperti, come cittadini, su ciò che ci è stato concesso e su ciò che ci è stato vietato, analizzando nei minimi dettagli ogni decreto e ogni parola del Presidente del Consiglio. Il sentimento di comunità, la volontà di proteggersi e proteggere i propri cari, sono sembrati spesso essere tenuti in vita unicamente da ciò che stava bene e chiaramente scritto nei decreti e, con forza uguale e contraria, depauperati da ciò che abbiamo trovato confuso e contraddittorio. In una situazione di profonda emergenza, è davvero ed unicamente necessario che vi siano regole cogenti, ben scritte e che coprano tutto lo spettro delle possibili azioni umane, o qualche piccola o grande lacuna in tal senso dovrebbe essere colmata dal sentimento di “affetto” per i propri concittadini?
«Va premesso che una legge impositiva dell’obbligo di vaccino anti-Covid non è incompatibile con l’art. 32 Cost., se – come afferma la Consulta – esso “è diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri; se si prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze che appaiano normali e, pertanto, tollerabili; e se, nell’ipotesi di danno ulteriore, sia prevista comunque la corresponsione di una equa indennità”. In buona sostanza, la Costituzione non riconosce un’incondizionata e assoluta libertà di non curarsi o di non essere sottoposti trattamenti sanitari quali sono i vaccini, perché la decisione individuale di non curarsi può danneggiare la salute di molti altri esseri umani e, in particolare, dei più fragili. Il legislatore può valutare discrezionalmente se usare la tecnica della raccomandazione o quella dell’obbligo e, in questo secondo caso, calibrare variamente le misure, anche sanzionatorie, per garantire l’effettività dell’obbligo stesso. Detto ciò, personalmente credo nella forza della “persuasione”, quale valorizzazione dell’autodeterminazione. Mediante una adeguata informazione, si possono sensibilizzare le persone affinché considerino l’interesse sociale legato alle vaccinazioni, così come al rispetto delle indicazioni per contrastare l’emergenza sanitaria. Indurre un sentimento di corresponsabilità e di cooperazione per il bene comune può far sfumare la demarcazione tra persuasione e imposizione. Ciò che forse è mancato in questi mesi, e che dovrebbe essere idoneamente sottolineato nei prossimi, è la valorizzazione del principio di solidarietà previsto dalla Costituzione. Rafforzare il patto di solidarietà tra individuo e collettività a tutela della salute, quale bene individuale e collettivo, dev’essere il cardine della prossima campagna vaccinale e, più in generale, l’obiettivo di ogni esecutivo nei prossimi anni».
Sottolineando, se ancora ce ne fosse bisogno, come la fiducia dei cittadini, tra loro e verso chi li governa, è un bene prezioso e va di pari passo con la tutela di ciò che conta veramente.