Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella con Mario Monti, Senatore a vita, in occasione della cerimonia dal titolo “La Bocconi, l’Italia, l’Europa. L’Università saluta Mario Monti" - Wikimedia Commons

L’apocalisse che verrà: tra debito montiano e incapacità politica

12 Maggio 2023

I 120 anni della Federazione dei Giovani Socialisti a Firenze sono stati un’opportunità storica per fare i conti col passato e, soprattutto, col futuro del socialismo in Italia. Tra i tanti intervenuti, soprattutto allo speed date, c’è stato chi ha fatto anche osservazioni sull’economia e sul metodo politico. Ed è proprio la questione economica quella che, per me, è più pressante.

Ero poco più che ventenne quando al posto di Silvio Berlusconi arrivò a palazzo Chigi Mario Monti. Il tecnico del rigore. Quel governo fece politiche “lacrime e sangue”, con il supporto del Popolo delle Libertà, che al tempo comprendeva anche il futuro partito di Giorgia Meloni, e del Partito Democratico, guidato al tempo dal “prodiano mancato” Pierluigi Bersani. Era il 2011.

Fu preso politicamente da più parti come un “golpe finanziario” e, effettivamente, le caratteristiche politicamente c’erano: pressione dai mercati finanziari; PIL in frenata, complici anche le follie franco-statunitensi in Libia e la primavera araba che destabilizzarono i nostri interessi nel nord Africa e misero un punto sui nostri trattati con l’estero; condotte assolutamente scorrette da parte dei garanti europei; pressioni per riforme sul governo italiano; approdo a palazzo Chigi di un nome gradito ai vertici europei di allora. 

Il differenziale di rendimento tra i titoli di stato ventennali italiani e quelli tedeschi era alle stelle. Ciò perché banche e operatori finanziari (prevalentemente di Francia, Germania e Belgio) vendettero i titoli in scadenza sul mercato secondario, quindi a prezzi ribassati, scommettendo sul default dell’Italia, e fu proprio quella condotta a costringere l’Italia a piazzare i BTP a 20 anni all’asta con interessi sempre crescenti. 

Il risultato è stato che il debito a vent’anni contratto a cavallo tra il 2011 e il 2012 avrà costi esorbitanti.

Le politiche di rigore di Monti, proseguite in parte dal governo Letta (anch’esso fatto con un patto di maggioranza tra il PD di Letta, Franceschini e Orlando e il PDL di Berlusconi e Alfano), hanno fruttato un passaggio del PIL dai 2.295 miliardi di dollari del Berlusconi IV a 2.162 miliardi del governo Letta. Il rapporto deficit-PIL, lasciato da Berlusconi al 119,7%, è passato al 135,4% dopo i governi Monti e Letta. L’unico a riuscire, in questo decennio, a far scendere il rapporto deficit PIL è stato il governo Renzi, che lo ha portato, timidamente, al 134,1%, per poi tornare a crescere.

Vedendo gli effetti disastrosi del rigore, la storia dà ragione a Draghi: esiste un debito buono e un debito cattivo. Il debito pubblico buono è quello che sostiene l’investimento privato ed evita l’indebitamento privato. Infatti, ciò che ci ha tenuto a galla durante la crisi mondiale del 2008, quella dei debiti sovrani del 2010-2012 e quella pandemica è stata l’enorme ricchezza privata italiana. 

Tuttavia dobbiamo chiederci: la nostra classe politica è capace di fare “debito buono”

Citando il laburista britannico Harold Wilson: “l’economia è fatta di numeri, e alla fine i numeri non mentono”. Negli ultimi dieci anni, solo quando la nostra classe dirigente è stata di caratura internazionale è stata capace di fare debito buono: Renzi, Gentiloni e Draghi ci sono riusciti, pur con approcci diversi. Gli altri no

Non lo è stato Monti che, terrorizzato dal debito, ha rallentato gli investimenti a debito e, con essi, l’economia. Non lo è stato Letta, che ha proceduto anche a diverse privatizzazioni parziali, una tra tutte Poste Italiane, con un PD che non era ancora renziano ma, al contrario, era saldamente in mano alla cosiddetta “ditta” a trazione ex DS. 

Non entro nel merito delle scelte di Conte, che in parte hanno rappresentato regalie di PIL a privati senza raziocinio (vicenda Ilva-ArcelorMittal, vicenda Autostrade, vicenda Alitalia, pseudo nazionalizzazioni eccetera), senza tutelare effettivamente disoccupati (il reddito di cittadinanza, misura utile, è stata ridotta a mero assistenzialismo con la paralisi delle politiche attive del lavoro) e lavoratori precari e a rischio (Whirpool, GKN, Caterpillar eccetera). Una cosa buona che gli va però riconosciuta è l’aver ottenuto i fondi destinati al Next Generation EU. 

Vi prego: non chiamiamolo PNRR, perché non è solo un piano di ripresa e resilienza. Come più volte detto, il fondo è destinato alle riforme per consegnare dei paesi europei sani alla prossima generazione. Chiamiamolo col suo nome: Next Generation EU.

Tornando al nodo centrale, siamo sicuri che la nostra classe dirigente sia in grado di gestire un debito buono? Considerando che il governo Meloni sta mettendo a rischio i fondi del Next Generation EU, complici, certamente, le condizioni economiche europee non positive dovute al conflitto russo-ucraino e alla speculazione sulle fonti energetiche, che il presidente Riccardo Nencini ha continuato a denunciare sin dal 2018. Ma si tratta di fattori complici, cioè che amplificano l’incapacità politica

E non possiamo neppure fare affidamento ad una classe politica parlamentare capace: se infatti al governo non abbiamo i migliori disponibili di quell’area politica, in parlamento siamo messi ancora peggio. Sia in maggioranza che in opposizione. Salvo i dovuti distinguo (Franceschini, Renzi, Soumahoro e pochissimi altri) i politici capaci nel nostro parlamento sono oggettivamente pochi.

E un debito fuori controllo, soprattutto un debito non buono, crea danni. Un debito per distribuzione e non per investimento è un debito destinato a indebolire l’economia, sia pubblica che privata. Il taglio del cuneo annunciato dal governo Meloni, per esempio, è bagatellare rispetto ai tagli fatti sotto il governo Renzi. E i fondi investiti in occupazione sono, effettivamente, inferiori per quanto nominalmente superiori. 

La dimostrazione è la contrazione costante di offerta lavorativa stabile nel paese, legata con l’aumento delle province in cui i pensionati superano i posti di lavoro disponibili (ad oggi 39). 

Questo scenario va proiettato dal 2011-12 al 2031-32. E io che ho vissuto la fine della mia adolescenza durante la crisi del debito e le buie politiche “lacrime e sangue”, ho il terrore di ciò che succederà tra nove anni. Scadranno titoli di debito ventennali con tassi d’interesse elevatissimi. E senza politiche serie di sviluppo e investimento, arriveremo a quella dead line con una economia fortemente indebolita, che subirà un urto pari a uno tsunami. 

Nella parte pagliaccesca della seconda Repubblica, ogni legislatura ha sempre mirato a disfare quanto fatto nella precedente, senza chiedersi se le misure fossero effettivamente positive nel medio e lungo periodo. Nella prima Repubblica l’andamento è stato tendenzialmente positivo per un semplice motivo. A dettare la linea non erano i governi o i leader, ma il parlamento. E il “compromesso” ha condotto a una crescita quasi costante, portando l’Italia da un paese da ricostruire ad essere la quarta potenza economica e industriale del mondo. 

Ciò perché “destra, centro e sinistra” dialogavano costantemente. Il parlamentarismo ha permesso, isolando post-fascisti e comunisti, lo sviluppo di politiche popolari, liberali, repubblicane e socialiste che hanno fatto crescere il paese in tutte le direzioni

Tornare indietro per andare insieme avanti è possibile? Non con questa incapace classe politica, e difficilmente con uno tsunami all’orizzonte.

LASCIA UN COMMENTO

Your email address will not be published.